lunedì 16 giugno 2014

"E ritaglia una lunga speranza in un breve spazio". I ricordi stranamente archetipici di Michel Rabagliati in "Paul ha un lavoro estivo", l'amore, la montagna e gli scout.

Per molti e molti anni (e i molti e molti anni sono da imputarsi a vari motivi complessi e lunghi che peraltro a me, ora, sembrano per la maggior parte cretini e/o inspiegabili), ho frequentato gli scout. Faccio questo coming out. Non sono una di quelle che dice quelle frasi del tipo "Una volta che sei scout sei scout per sempre" o se ne vanta, come se ce ne fosse un motivo, tipo Renzi.
Ecco, io non sono mai stata gioiosa come Renzi quando
andavo alle uscite
 Non c'è merito nel vantarsi di una cosa del genere, visto che la maggior parte delle volte ti ci spediscono quando sei un pargolo incosciente, e non si acquisiscono capacità particolari se non quella di montare una tenda, fare qualche nodo, cucinare trapper e sviluppare una straordinaria resistenza a qualsiasi virus sulla faccia della terra (se non contrai il tifo durante un campo scout allora puoi star certo che non lo contrarrai mai più). Peraltro, temo che Renzi abbia dei ricordi molto migliori dei miei su quel tragico periodo. Da bambini la cosa è anche divertente, l'aria aperta ti fa bene e dormire fuori una notte con gli amici ti aiuta persino a crescere un minimo indipendente, il dramma si scatena, o almeno per me si scatenò durante il periodo adolescenziale.
 La logica vuole che se metti un gruppo di adolescenti, maschi e femmine, in uno spazio ristretto, qualcosa deve avvenire per forza. Bene che va si scatenano degli amorazzi, male che va si scatenano dei bullazzi e allora sono guai. Poichè  la maggior parte delle volte sei in mano a dei ventenni che o pensano ad amoreggiare o comunque non è che abbiano una laurea in pedagogia (è comunque volontariato) il crimine in tal senso è difficile combatterlo. In più se aggiungi a tutto che in Italia almeno, la principale organizzazione scoutistica, l'Agesci, è cattolica in un modo praticamente fanatico, abbiam messo la ciliegina sulla torta.
 Se avete avuto la straordinaria fortuna di saltare la naja scout o di farla divertendovi, per darvi un'idea di quello che può passare un adolescente preso di mira dagli altri in un contesto del genere, basti pensare a quei telefilm sulle scuole superiori americane in cui i tipi popolari come le cheerleader (che rimangono poi prontamente incinte) e i giocatori fichi di football prendono la gente che considerano sfigata e la buttano in un cassonetto o gli scrivono sugli armadietti. Se condite il tutto con una confusione sentimental-sessuale e dei "capi" talmente bigotti da dirvi che l'omosessualità è una malattia o è più comprensibile la zoofilia dell'interessarsi allo stesso sesso, allora avrete un quadro completo del mio incubo.
 La domanda allora è: va bene la sindrome di Stoccolma, ma per quale motivo una persona sana di mente dovrebbe continuare a frequentare un posto o persone del genere?
 A parte il fatto che se vieni da un paese, le stesse persone che vedi ogni sabato alle riunioni scout sono nella grande maggioranza dei casi le stesse che ti tocca incontrare tutti i pomeriggi o tutte le mattine a scuola, in realtà me lo sono domandata per lunghi anni.
 Ok che ero rincoglionita, ok che ho sempre avuto un senso del dovere decisamente cretino, ma cosa mi teneva legata a quella massa che ancora a distanza di anni preferisco non vedere manco col binocolo? 
Michel Rabagliati con il suo "Paul ha un lavoro estivo" ed. Coconino Press, mi ha svelato l'arcano. Si è trattato di un favoloso caso di serendipità visto che ero andata in biblioteca per cercare la connessione internet che la wind mi aveva tolto crashando e ci ho trovato per caso questa graphic novel davvero straniante.
 L'autore parla infatti dell'esperienza di due mesi come capo scout improvvisato di Paul (peraltro non ho fatto indagini approfondite, ma al 99,99% è autobiografica) in un meraviglioso terreno tra montagne bellissime e incontaminate. E' un post-adolescente che ha appena lasciato la scuola, dopo che dei pessimi dirigenti scolastici gli hanno tolto un progetto artistico, di cui era entusiasta, a causa dei suoi pessimi voti, e lavora stancamente in una tipografia. Figlio di genitori molto amorevoli e comprensivi, non è cattivo, ma viziato e pigro sì, e accetta l'offerta per questo lavoretto estivo (i capi scout in Italia non sono pagati, pare che in Canada forse in taluni casi sì) partendo inconsapevole della fatica che comporterà.
 La storia rischierebbe di essere fin troppo melensa (nessuno litiga, a parte alcuni ragazzini in età da scuola media i bambini e i ragazzi sono angeli, tutti cantano, mangiano e giocano in totale armonia, manco fosse Cristania), se non fosse per lo stile del disegno e il personaggio principale. Il giovane Paul si accorge di essere viziato, privilegiato, pigro, poco studioso, un figlio di papà rispetto agli altri educatori presenti e nell'arco di quei due mesi, finalmente cresce.
 Non solo per l'effetto e l'affetto dei bambini, ma con il lavoro e l'ammmmore che ovviamente sboccia.
 Quello che ho trovato davvero incredibile e sconcertante in questo libro sono le dinamiche umane positive praticamente identiche a quelle da me vissute. Dicono che il tempo abbellisce i ricordi, ma nel mio caso mi sono accorta che li aveva imbruttiti. Certo, erano accadute molte cose brutte, ma anche splendide, dei momenti di totale comprensione, di isolamento dal mondo, di amicizia che si possono scatenare solo con determinate dinamiche e in alcuni contesti.
  E' un vecchio motore narrativo che sorregge moltissime serie tv (Grey's Anatomy volendo è un gigantesco campo scout) e alcuni monumenti della letteratura, come il "Decamerone", (chiaro caso di involontario campo scout) o "Il signore delle mosche" (ecco, l'estremo negativo dei casi di campo scout). E', si può dire, una situazione archetipica che libera le potenzialità delle relazioni umane, come se si potesse davvero ritagliare "una lunga speranza in un breve spazio" per dirla alla Orazio.
E quei contesti sono: un gruppo di persone più o meno della stessa età, costrette a vivere per un determinato periodo in un posto isolato.
 Non so se Rabagliati sia stato vittima di un caso inverso al mio, e abbia voluto ricordare solo ciò che ci fu di splendido in un periodo per lui tanto importante (però credo di sì, altrimenti viveva con dei santi) però in effetti, questa mancanza di ombre, se non interiori, è l'unica pecca di questa graphic novel.
 Che mi sconcerta da quando ho finito di leggerla. E' strano dividere i propri ricordi con un canadese ignoto.

2 commenti:

  1. Meno male che la mia misantropia congenita mi ha sempre tenuto alla larga da siffatte iniziative O_O

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  2. Se avete avuto la straordinaria fortuna di saltare la naja scout

    Presente! E sono tuttora molto felice che tale esperienza mi sia stata risparmiata! (Grazie D*o, per avermi fatto nascere in una famiglia "cattolica ma non praticante")
    Già da bambina avevo catalogato il tutto come la fiera dell'ipocrisia più bieca, visto che i ragazzi cui vedevo fare le peggio cattiverie (dalla bullizzazione della sottoscritta e di altri al danneggiamento di beni altrui), e le ragazze da cui sentivo raccontare i peggio tour de force di limonamenti-palpeggiamenti-cornazze e quant'altro, erano praticamente tutti, invariabilmente, iscritti ai virtuosi gruppi Agesci della mia città...
    Negli anni non ho avuto granché motivi di ricredermi, e il sospetto per tutti gli scout del globo m'è rimasto nelle ossa. Se poi mi sono persa qualcosa di positivo, pazienza, ho fatto altro nel frattempo... XD

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