giovedì 27 novembre 2014

Autori che hanno avuto successo solo post mortem: è possibile scrivere tutta la vita senza avere (quasi mai) un pubblico? Suicidi letterari, reclusioni, mitizzazioni e prigioni nelle vite di quattro autori famosi a posteriori.

 Uno dei grandi successi dell'anno è stato "La verità sul caso Harry Quebert" di Joel Dicker, un po' perché la trama non mi attirava, un po' perché mi riesce difficile consentire a libri moderni di tal stazza di occupare il mio tempo di lettrice (diffido sempre delle opere contemporanee sul migliaio di pagine, preferisco subiscano prima il tribunale del tempo), non l'ho letto. 
Tuttavia ho apprezzato il giovane autore che ha candidamente confessato di essersi dato un'ultima chance: aveva provato a proporre i suoi precedenti romanzi a destra e a manca e questa era la sua ultima speranza, dopo avrebbe chiuso bottega.
 Lo so che c'è tutta una specie di mistica romantica dietro la scrittura, che non se ne può fare a meno, che un vero scrittore scrive sempre e comunque, dovunque. In tanti che si credono anche buoni scrittori o scrittori, pensano che basti essere pervasi dal dio, come scriveva il buon Democrito, e zam praticamente si va di scrittura automatica.
 Io ci credo poco. Credo sia vero che l'ispirazione non vada a comando, ma non credo ai libri che "si scrivono da soli", alle persone (fatti i salvi i geni assoluti) che per buttare giù un libro ci mettono due mesi, nessun ripensamento, nessuna revisione, nessun tormento.
 Leggo perennemente nelle interviste che "le storie erano dentro di loro e chiedevano solo di uscire", ma non riesco a crederci. Sarà perché anche io scrivo, ma sono più della scuola masochista alla Capote: "Quando Dio ti concede un dono, ti consegna anche una frusta; e questa frusta serve unicamente per l'autoflagellazione".
 Qualsiasi cosa non può essere abbastanza buona e non sarà mai abbastanza. Per quello mi faceva simpatia l'autore del caso Harry Quebert, perché si era dato un tempo (poi per carità, penso che avrebbe continuato a scrivere, ma non ad accanirsi).
 Il mantra che prima o poi sei hai talento qualcuno ti scoverà è smentito da numerosi autori e autrici che nella storia sono morti bellamente sconosciuti, per poi diventare famosi solo anni dopo la morte. Per carità una cosa bellissima, però, io farei un pensiero supplementare a queste persone che, armate solo della frusta, senza mai ricevere la carota del successo, hanno perseverato per tutta la vita nella scrittura, con coraggio, frustrazione e talvolta disperazione.
 Vogliamo vedere alcuni casi? E vediamoli!

GUIDO MORSELLI: 
Peraltro io vorrei leggere il suo "Roma
senza Papa"
Se ci fosse un santo patrono degli scrittori morti senza aver avuto successo in vita, Morselli dovrebbe averne la carica sopra ogni ombra di dubbio. 
 Nato in una famiglia benestante nel 1912, inseguì per tutta la vita il desiderio di diventare uno scrittore, scrisse numerosi saggi e romanzi principalmente di fantascienza, scrisse industriosamente per anni. 
 Convinto della poca vocazione, dopo la guerra, visse di una piccola rendita familiare che gli consentì di dedicarsi completamente alla scrittura, tuttavia nessun editore accettò mai di pubblicare i suoi numerosi scritti.
  Nonostante le consegne brevi manu, le innumerevoli visite alle case editrici, il lavoro incessante, non ci fu mai per lui soddisfazione, caso esemplare che rimane inspiegabile a decenni di distanza. Fino alla sua morte produsse articoli, reportage e romanzi con cui cercava di inseguire le mode editoriali, riuscì quasi a pubblicare con Rizzoli, ma all'ultimo saltò tutto. Calvino apprezzò il suo stile, ma non si impegnò nell'aiutarlo.
  Il suo ultimo romanzo, "Dissipatio H. G." uscì postumo, poichè nel 1972 dopo decenni di insuccessi Morselli, stremato dalle delusioni si suicidò. Nel suo diario già nel 1959, scriveva:
Tutto è inutile. Ho lavorato senza mai un risultato; ho oziato, la mia vita si è svolta nella identica maniera. Ho pregato, non ho ottenuto nulla; ho bestemmiato, non ho ottenuto nulla. Sono stato egoista sino a dimenticarmi dell’esistenza degli altri; nulla è cambiato né in me né intorno a me. Ho amato, sino a dimenticarmi di me stesso; nulla è cambiato né in me né intorno a me. Ho fatto qualche poco di bene, non sono stato compensato; ho fatto del male, non sono stato punito.  Tutto è ugualmente inutile” 

EMILY DICKINSON:
 Al contrario di Morselli la Dickinson non cercò mai il successo in vita.
 Fu il suo un caso di autore che non può fare a meno di scrivere, ma senza fare della pubblicazione delle sue opere e della necessità di avere un pubblico la sua ragione di vita.
 E' un caso a mio parere particolarissimo, giudtificato esclusivamente dal genio, poiché immaginare di vivere chiusi per decenni in una casa, circondata solo dalla propria immaginazione, la propria sorella e infinite poesie scritte per un pubblico immaginario, richiede una costanza e una passione assolutamente straordinarie.
  Al momento della morte infatti delle moltissime poesie scritte dalla Dickinson, ne erano state pubblicate neanche una decina. Fu sua sorella che invece di bruciarle, come le era stato chiesto, decise di pubblicarle.
 In lei, la figura dell'autore immerso completamente nella propria arte implode
Erano, come si suol dire, altri tempi. Passioni così estreme nel nostro razionale mondo contemporaneo, sono irripetibili.

GOLIARDA SAPIENZA: 
 Scrittrice (e attrice) siciliana dalla vita tormentata, Goliarda Sapienza è un altro famosissimo caso di autore italiano rivalutato solo post mortem. 
 Durante la sua lunga vita, un'educazione peculiare ricevuta in gioventù da genitori socialisti e rivoluzionari, le donò un punto di vista eccentrico nei confronti del suo tempo che ella tentò di esprimere in vari modi. Iniziò attrice, tentò di finire scrittrice. Sebbene al contrario di Morselli, riuscisse ad avere degli sponsor editoriali, non furono mai abbastanza potenti da consentirle una grande pubblicazione che arrivò solo a fine anni '90, quando la casa editrice viterbese Stampa Alternativa pubblicò finalmente "L'arte della gioia". 
 Il libro, ripreso poi da Einaudi, divenne un grandissimo successo, tanto da scatenare la riedizione o primissima edizione di tutte le sue opere. Riconoscimenti che questa autrice, che durante la stesura del suo capolavoro si era ridotta in tale povertà da finire per rubare a casa delle amiche (e per questo finì in carcere), non vide mai. 
Si godette indubbiamente la vita più del povero Morselli, però che cavolo.

ROBERTO BOLANO:
 Bolano fa parte non tanto degli autori che hanno avuto successo da morti, quanto di quegli scrittori che sono diventati del MITI dopo la morte.
 Accade per una serie di congiunzioni, non ultima, nel mondo moderno, una grande capacità di fare del buon marketing su una figura che si presta al marketing. Non si vuol dire che Bolano, già famoso in vita (ma almeno in Italia non così famoso), non meriti la sua grandissima celebrazione postuma, tuttavia la capacità avuta dai suoi eredi di affidare la gestione del patrimonio ad un grandissimo agente letterario, ha concorso indubbiamente a rendere questo scrittore morto ad appena 50 anni, una figura mitica. 
 La sua biografia, in alcuni punti nebbiosa e particolare, si presta. Narrava infatti di essere giunto in Cile poco prima del colpo di stato e di essere fuggito dalla prigionia grazie ad alcuni suoi amici diventati guardie del regime. Tuttavia non c'erano prove (o quasi) della sua effettiva presenza nello stato, come del suo rocambolesco viaggio di andate e ritorno. Diventato famoso non in gioventù, ma dopo aver compiuto qualsiasi umile lavoro per poter riuscire un giorno a vivere di scrittura, morì quando le luci della celebrità erano finalmente su di lui: a 50 anni esatti in attesa di un trapianto di fegato mentre lavorava indefessamente al suo ultimo libro.
 La sua ultima opera "2666" è diventata uno di quei classici in cui è impossibile scindere l'autore dall'opera. L'idea che fosse il suo ultimo respiro letterario le conferisce quell'aura mitica che solo gli anni potranno confermare.

 Per concludere, ci tengo a citare Lovecraft, che, in vita non vide mai riconosciuto effettivamente il proprio talento, e infine decise che fosse meglio smetterla di imbrattare carte. Non tutti i geni hanno la forza di non sentire il bisogno di un pubblico, certe volte serve qualcuno che ti dica quanto sei bravo.

E voi conoscete qualche altro povero autore che in vita se l'è vista davvero brutta e solo in mortem è stato ricoperto di allori? Scrivete e scrivete!

4 commenti:

  1. Stieg Larsson, l'autore della trilogia "Millenium"...
    Volendo, Franz Kafka...
    E naturalmente, Anna Frank!

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  2. mmm... io sono sulla buona strada : (

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  3. C'è Stendhal, snobbato dai contemporanei (perché scriveva male e pure di cose brutte!) ma con le idee matematicamente chiarissime sul suo destino editoriale post mortem: nel 1830 scrive a Balzac "penso che non sarò letto avanti il 1880"; nel '32 scrive "Confesso che il coraggio di scrivere mi mancherebbe se non pensassi che un giorno questi fogli saranno stampati e che saranno letti da qualche persona che amo come Mme Roland o il matematico Gros. Ma gli occhi che leggeranno queste cose si aprono appena alla luce. Calcolo che i miei lettori futuri abbiano oggi dieci o dodici anni." Ma la cosa curiosa è che dava disposizioni precise all'editore: i ricordi d'egotismo sarebbero dovuti essere pubblicati dopo dieci anni dalla sua morte, con i nomi cambiati, e aggiunge "Si potrebbero rimettere quelli veri se per caso queste chiacchiere fossero ristampate cinquant'anni dopo la mia morte."
    In realtà lui era un bulimico della scrittura, scriveva sui tovaglioli e sulle bretelle, scriveva sui pezzettini di carta che poi finivano chissà dove, scriveva perché se no impazziva, era grafomane, ma scriveva sempre avendo in mente e rivolgendosi a un pubblico di suoi lettori; e probabilmente sarebbe stato troppo pigro per scrivere o avrebbe scritto in maniera ancora più confusionaria se non avesse avuto a cuore la parte editoriale della faccenda.
    Comunque fiducia nella propia arte sì, ma non l'ha mai sparata grossa come Ovidio, che scrisse che i suoi libri sarebbero sopravvissuti all'impero romano..!

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  4. Se parliamo di dono e frusta, però, e di vite rovinate/consacrate con diabolica perseveranza alla scrittura, una menzione speciale credo vada a Flaubert. Che sì, aveva un suo pubblico, ma tutto il successo del mondo per tutta l'eternità non sarebbe ancora abbastanza per compensare la sua vita.

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