Nonostante la mia sia sempre stata una famiglia molto politicizzata, mio padre ha sempre perseguito con forza l'intento di non parlare di politica a me e le mie sorelle infanti.
In tal modo le feste dell'Unità a cui andavo erano qualcosa di estremamente fumoso nella loro finalità (percepivo solo che era un luogo dove potevo fare una grande pesca e mangiare salsicce e carbonara) e l'unico accenno che abbia mai avuto sul comunismo durante l'infanzia, fu una sbrigativa e imbarazzata spiegazione sul ruolo di Fidel Castro a Cuba da parte di mio nonno.
Avevo visto il barbuto signore in tv e avevo chiesto lumi. Mi pare che la spiegazione fu: un signore che governa un posto al di là del mare, (che poi tecnicamente non è neanche sbagliata).
Crescendo, appresi che la festa dell'Unità era collegata alla sinistra, ma il Pci era morto durante la mia infanzia quindi eravamo già in epoca, Pds. poi Ds e tutti le sue diramazioni, da Rifondazione comunista ai Comunisti italiani, che una decina di anni fa i partiti di sinistra si riproducevano praticamente per mitosi.
Alle superiori il mio insegnante di filosofia, un eccentrico psicologo che un giorno ci gridò la celebre frase: "Basta non voglio più essere madre, adesso voglio essere padre! Smettete di bere latte dal mio seno!", lasciò che un quarto del programma dell'ultimo anno fosse occupato dal pensiero di Marx.
Non fu un indottrinamento, semplicemente segammo qui e lì spazio a Kant e Hegel e nessuno ne ebbe a che protestare.
Leggemmo perciò tutte "Il manifesto del partito comunista" e ci facemmo una cultura sulla sovrastruttura, il materialismo storico e la teoria del plusvalore. Io, che bazzicavo luoghi sinistrorsi col perenne spettro di mio padre, preoccupato che mi infilassi in qualche casino epico, mi aspettavo a dire il vero che Marx si rivelasse in toto una fuffa di epiche dimensioni.
Rimasi quasi sconcertata nell'apprendere che non solo non era fuffa, non solo non era estremo, ma mi ritrovavo d'accordo con lui al 90% (il 10% riguarda principalmente i metodi violenti della rivoluzione del proletariato).
Mi infilai quindi in una serie di letture che allarmarono ulteriormente il mio genitore, che già mi vedeva coi rasta e una canna in bocca pronta a rotolarmi nella terra battuta di un centro sociale: mi buttai su un compendio de "Il capitale" di Cafiero (la mole dell'originale mi atterrì già all'epoca) "Stato e anarchia" di Bakunin, "L'origine della famiglia, della proprietà privata e dello stato" di Engels (che ve lo dico è attualmente incredibilmente fuori commercio), le lettere di Rosa Luxemburg e quelle dal carcere di Gramsci (le prime bellissime, quelle del secondo un'estrema delusione).
Leggevo, apprendevo, ingerivo, digerivo, ma non riuscivo a trovare un'applicazione pratica a quelle somme verità. nel senso che non riuscivo proprio a capire in quale modo si potesse anche volendo deviare dalla traiettoria politico-economica degli eventi e mettere in pratica quel buono che esisteva nella teoria. Anche perché era tecnicamente difficile anche solo sollevare il problema visto che qualsiasi risposta finiva con l'anatema: guarda cosa è successo ai paesi comunisti.
Che per carità, storia l'ho studiata anche io, ma una sorta di perplessità pesante davanti anche agli effetti non completamente benefici (ed in divenire) del capitalismo, mi pareva stupido non farsela venire.
Attribuisco a questo desiderio di trovare un pensiero alternativo, uno spiraglio di possibilità e un sollievo collettivo che autorizzi a pensare che forse la nostra società non si fonda su basi aprioristicamente buone, il successo di un piccolo libro pubblicato ormai da un bel po' di mesetti dalla Clichy: "Il comunismo spiegato ai bambini capitalisti" di Gèrard Thomas.
Era da parecchio tempo che desideravo leggerlo, ma rimandavo sempre, convinta che, nonostante il titolo bambineggiante, necessitasse di una certa concentrazione per essere assimilato. Quando infine l'ho avuto tra le mani, sono rimasta molto perplessa.
L'ho letto in poche ore (distribuite in più giorni, ma per ragioni di tempo mio, altrimenti andava giù in un pomeriggio), e ho scoperto che non tradisce il titolo: è davvero la storia dell'idea comunista a partire dai sumeri per finire ai giorni nostri, raccontata come se fosse un bignami per undicenni.
Dopo aver quindi riletto, per carità con piacere, cose che avendo fatto decentemente le superiori ricordavo ancora in scioltezza (l'ascesa del comunismo in Russia, i comuni medievali in Italia, Proudhon, Fourier, il povero Tommaso Campanella e via dicendo) mi sono chiesta seriamente che cosa avesse decretato il così grande successo di questo libretto.
Dopo un po' di riflessione mi sono data una risposta: questo libro mostra una possibilità. Precisamente la possibilità di trovare del buono in un'idea o in un'aspirazione o in un sistema economico e sociale che ha avuto per la maggior parte delle pessime applicazioni (anche per degli errori di fondo che l'autore non nega, come non nega le violenze dei vari regimi). L'ho detto già nel post sul femminismo: la frase che dice "Tutti gli ismi sono uguali" è una grande idiozia.
Un suffisso grammaticale non può avere un tale aprioristico valore dispregiativo, anche perché a guardar bene, anche capitalismo allora finisce in -ismo.
Già il solo fatto che un titolo in cui viene citato il comunismo venga salutato con una selva di orrore e di "Eh ma Stalin in Russia" rende il successo di questo libro ancora più sensato. Anche solo pensare di trovare del buono in una teoria, in cui l'autore, infila tra i suoi fautori anche Gesù Cristo. sembra essere qualcosa da nascondere a tutti i costi.
I tempi sono ormai un po' confusi, in nome di disastri lontani sembra ormai che noi si possa passare sopra a tutto, accettare tutto, trovare aprioristicamente buono un sistema che alla fine vediamo solo nel contingente e di cui non abbiamo nessuna visione d'insieme.
Questo libro, semplice semplice, ha accentuato in me quella strana sensazione di trovarmi già all'interno di un libro di fantascienza dove la realtà è solo uno specchio di cui non vediamo il fondo. Non mi riferisco a nessun club Bilderberg e a nessun complotto, ma alla stoltezza con cui si prende per naturale e ineluttabile un sistema economico che di naturale non ha proprio niente. Noi potremmo opporci, ma semplicemente pensiamo, da bambini capitalisti, che qualsiasi alternativa ci porterà alla catastrofe.
E allora come dice il libro:
"Qual è la conseguenza di questo processo nei paesi industriali avanzati? Ovviamente il fatto che è aumentata la disoccupazione, e che pur di lavorare si è disposti a rinunciare ai diritti che i nonni e i padri avevano conquistato. Quando si è in difficoltà e senza lavoro, si abbassano le pretese e si è disposti ad accettare quasi tutto. La televisione e altre fonti di opinione cominciano a spiegarci che non c'è lavoro perché il lavoro costa troppo e che quindi occorrono flessibilità e poche pretese per lavorare e così si fanno leggi che diminuiscono o addirittura eliminano i diritti conquistati dai nonni e dai padri. E si torna al punto di partenza. Al dominio assoluto, anche se non apparente come lo era prima del capitalismo,
Un sociologo italiano che si chiama Luciano Gallino lo ha spiegato molto bene, chiamando questo capitalismo "turbocapitalismo" e dimostrando che la lotta di classe si è invertita. Adesso è la lotta di classe del capitalismo contro i lavoratori che non sono più un uniforme e solidale proletariato, ma una massa disomogenea di disoccupati o potenziali disoccupati disposti a qualsiasi flessibilità pur di avere uno stipendio almeno decente. I capitalisti, anzi, i turbocapitalisti hanno vinto"
Il fatto che abbia scritto questo post con le pinze e che paventi commenti in salsa di "E allora i morti del comunismo?", mi rende alquanto inquieta.
Non ho mai amato il soviet e non sono una di quelle che vorrebbe essere vissuta per sventolare le bandiere rosse, ma se un libretto semplice semplice dilaga in tal modo mettendo pulci in tante orecchie alla disperata ricerca di una pulce che le faccia pensare, allora beh, che vengano altri 1000 Gèrard Thomas.
E davvero, su questo post chi se la sente (e/o ha letto il libro), commenti commenti commenti che è argomento piuttosto spinoso.
Ti segnalo questo articolo (sullo stesso blog ne trovi molti altri sullo stesso tema) in cui si affronta come il comunismo si attui attraverso il capitalismo
RispondiEliminahttp://www.keinpfusch.net/2014/11/economia-di-scala.html?m=1
Non posso commentare alcunché, perché il libro non l'ho letto (ma ora che ne hai parlato credo correrò a procurarmelo!), e perché non avrei nulla da aggiungere: sono anni che rifletto sulle stesse cose e sono arrivata più o meno alle stesse conclusioni. Il paragrafo che citi in coda al post poi, potrei sottoscriverlo parola per parola, sono le stesse cose che dico a mia madre ogni volta che discutiamo di queste cose (piuttosto animatamente, invero).
RispondiEliminaBello anche il link passato da IMDI, anche se arrivata la parte più tecnica non ci ho capito più un tubo, ma mi capita sempre quando si tratta di economia... ^^;
In coda, io ho avuto un'esperienza contraria alla tua: insegnante di storia e filosofia di 5a liceo aderente a CL. Siamo stati mesi ad analizzare tutte le bolle papali del XIX e XX secolo e la nascita della DC, mentre su Rivoluzione russa e Marx siamo passati appena a volo d'uccello. Tanto, si sa, è roba di scarso interesse... :P
Bellissimo articolo sull'intelligenza di una "ricerca". Dunque allora è vero che i comunisti non mangiano bambini! L'unico busillis è: come applicare l'impulso di bontà e giustizia nella nostra quotidianità caotica e nera.
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