Quando andavo alle superiori non c'erano veri e propri libri che esercitassero un qualche fascino del proibito.
C'erano vari film, quello sì, forse perché era più sfacciato o c'era più senso della trasgressione riuscire a vedere un fatidico film "vietato ai minori di 14 anni" o peggio ancora "vietato ai minori di 18 anni".
Chi non ricorda "The blair witch project. Il mistero della strega di Blair"?
Prototrollata di enorme successo che, all'epoca, (erano proprio altri tempi,) si pensò fosse vera inquietando masse di ragazzini che entravano nel cinema già in preda a un meraviglioso panico.
Di libri però neanche l'ombra. L'unico che aveva un vago alone di mystero era "Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino" di Christiane F.
Ricordo questi anatemi biblici: "Se lo leggi rimarrai per sempre affascinata dalla droga!", "Un libro scritto contro la droga che invece invita a drogarsi!".
Più che un libro, sembrava una sfida: sarei riuscita a leggerlo tutto senza cadere tra le braccia dell'eroina?
Dopo un po' di titubanze, incerta se correre o meno il rischio di rovinarmi la vita per sempre, mi decisi infine a prenderlo in biblioteca accingendomi al pericolosissimo tentativo.
Lo lessi in uno strano stato di trepidazione. Mi attendevo da ogni pagina il momento in cui la voglia di uscire a cercare uno spacciatore mi avrebbe assalita irrimediabilmente.
Doveva esserci, lo dicevano tutti.
Invece arrivai alla fine abbastanza perplessa: il libro era scritto benissimo, si leggeva d'un fiato, ma non è che trovassi Christiane F. questa eroina underground e l'unico effetto che sortì su di me fu quello di tenermi lontana anche dalle canne.
L'unica scena che mi aveva effettivamente sconcertato era verso l'inizio, quando gli educatori del centro giovanile dove andava (non ricordo cosa fosse, forse addirittura scout) tolleravano le canne alla luce del sole in una generale indifferenza degli adulti, tutti intenti a fare altro.
Canne che, secondo Christiane F., erano tipo la porta dell'inferno della drogah.
Per il resto, delusione totale. Avevo passato indenne le fiamme ok, ma me le aspettavo ben più alte e ben più brucianti.
Imparai, negli anni successivi, che i libri in grado di prenderti a schiaffi e scuoterti dalle fondamenta non arrivano accompagnati dalle trombe della censura.
Quei libri te li ritrovi tra le mani per caso, parti tranquillo e qualche ora dopo sei sconvolto.
Mi capitò con "Tokyo blues Norwegian Wood" che mi aprì un mondo sconcertante, quello dei giovani adulti e non inteso come young adult, ma come adulti molto giovani.
Avevo sedici anni e mi accorsi che fino a quel momento non avevo saputo niente, altro che Christiane F. e i suoi psicodrammi (rispettabilissimi eh).
Questo lungo preambolo è per parlare del nuovo libro di Eleonora C. Caruso, "Le ferite originali".
Quello che sforna il panorama editoriale italiano attuale io lo leggo anche volentieri, ma pecca di una sorta di beneducatezza esagerata.
Ci sono i buoni, ci sono i cattivi, ci sono le madri amorevolissime e se non sono amorevolissime allora sono snaturatissime, ci sono tanti sentimenti tiepidi, tante famiglie ricche piene di parenti serpenti e tanti disagi di provincia che dopo un po' se sei sempre vissuto in città pensi che dopo 20 km inizi la terra degli zombie.
A tal proposito amo sempre ricordare uno dei libri di Ammaniti, "Che la festa cominci", ambientato in parte a Oriolo Romano, piccolo comune vicino al mio, dipinto come un posto di degrado e noia provinciale distante anni luce dalla realtà.
C'è il mondo dei romanzi italiani e c'è la realtà.
Non coincidono mai neanche quando fingono di volerlo fare.
E tu dici: se fantasia deve essere almeno dammi una scossa, dimmi che c'è qualcosa, da qualche parte che ora arriva e mi ceffona come fece Murakami coi suoi universitari in preda al panico dell'età adulta e ai traumi dell'adolescenza. Ma niet, la sete non viene mai appagata.
E poi finalmente, nel nulla cosmico, una luce.
Il libro di Eleonora C. Caruso è talmente insolito da far piangere (di gioia s'intende).
La storia ha per protagonista un ragazzo bellissimo, Christian e i suoi tre amanti:
- Dafne, la sua zerbinatissima fidanzata storica.
- Dante, un professionista ricco e distaccato provvisto di ex compagna e figlioletta.
- Davide, studente del politecnico intelligentissimo e dall'autostima inesistente.
Tutti ruotano, assieme a suo fratello minore e suo padre, più o meno velocemente, più o meno convintamente, più o meno appassionatamente, attorno a Christian, come tanti pianeti attorno a un sole fatale.
La storia potrebbe essere un quadrato con l'interessante e poco esplorata variante bisex, ma la grande intuizione della Caruso è Christian che non si limita ad essere bello e un po' perverso, ma soffre di una pesante sindrome bipolare che cura poco e male, peggiorata da un trauma familiare irrisolto.
Così il libro corre dietro ai pensieri brucianti di questo ragazzo che precipita come una stella cadente (e morente) che nessuno sembra in grado di fermare, i pensieri si affastellano, i momenti crudi anche, gli abbandoni persino, e il libro finisce lasciandoti la strana sensazione di essere stato preso e scrollato con forza.
E' uno di quei libri che avrei voluto leggere alle superiori o all'inizio dell'università, quando aspettavo qualcosa che mi scuotesse dal profondo e mi raccontasse qualcosa che non trovavo scritto da nessuna parte, ma di cui, oscuramente, sentivo il bisogno.
Ma anche adesso è stato un gran leggere, così strano, così improbabile, così particolare nell'editoria italiana così preoccupata di tutto, delle vendite, dei temi "che vanno", di quello che "potrebbero pensare i lettori" o ancor peggio di quello che "potrebbe piacere ai lettori".
Più libri così e meno psicodrammi di provincia, adolescenti che scoprono la vita durante l'estate e saghe familiari del sud Italia VI PREGO, guardate che li leggo, guardate che li leggiamo.