Ed ecco, come ogni anno che torna la
giornata della memoria.
Diciamoci il vero, le ultime due sono state abbastanza vissute con la morte nel cuore, come se la memoria dopotutto non fosse servita a niente e fossimo già pronti a ricominciare tutto.
Lo dico proprio con lo sconcerto di chi non si
capacita.
Non è che dobbiamo avere tutti le stesse idee o andare per forza
d’accordo, ma certe cose, come la condanna dell’odio e della discriminazione,
il rispetto per gli altri, sono questioni universali alla base della civiltà e
che trascendono il credo politico.
Non capisco proprio e non capisco mai la base
ideologica dell’odio, non ne vedo il senso, non ne capisco il motivo.
Tuttavia,
se il fascino del male seduce, è compito di chi non lo comprende andare scoprirne le origini per estirparlo o, in alternativa, mettere coloro che, in astratto, lo
trovano affascinante, davanti all’orrore che produce.
E’ quello che per anni
hanno fatto i sopravvissuti ai campi di concentramento.
Molti, spesso dopo un silenzio
durato decenni, hanno
poi iniziato a portare la loro testimonianza in giro per l’Italia.
Tuttavia il tempo passa e ormai i sopravvissuti sono rimasti, per ragioni
anagrafiche, pochissimi.
Chi continuerà a parlare quando non ci saranno più?
I libri.
Perciò oglio solo fornirvi un elenco
di possibili letture che hanno per protagonisti i più indifesi: coloro che
furono deportati da bambini.
Probabilmente tutti coloro che hanno letto "Se questo è un uomo" ricorderanno la terribile storia del piccolo Hurbinek, il bambino nato in un campo di concentramento.
Semiparalizzato, ma con uno sguardo vivissimo, era incapace di parlare perché nessuno glielo aveva insegnato. Non aveva genitori e lo tiravano su gli altri deportati, anche se l'unico che si diede la pena di seguirlo attivamente fu un ragazzo ungherese, Henek, che cercò di trarlo dal suo mutismo.
Hurbinek morì troppo presto per riuscire a pronunciare una parola di senso compiuto, ma fino all'ultimo lottò per farlo. Non vide mai nulla fuori. Levi lo chiama, "un figlio della morte":
Decine di migliaia di bambini, non tornarono. I pochi che lo hanno fatto, hanno spesso voluto lasciare un ricordo. Perché il tempo, ostinato, passa, e la storia diventa una leggenda, un racconto crudele che non può essere esistito davvero. Ed è allora che i mostri tornano.
Esiste un libro Einaudi, “La Shoah dei
bambini” di Bruno Maida che racconta come fu uccisa l’infanzia di chi un giorno
si addormentò bambino e il giorno dopo si risvegliò ebreo.
Vegliate e meditate gente e leggete, anche
quando si racconta l’indicibile.
A voi.
TATIANA e ANDRA BUCCI:
Tatiana e Andra Bucci
(all’anagrafe Liliana e Alessandra) sono due sorelle che vennero rastrellate
assieme a tutta la famiglia materna (di origine ebraica bielorussa, mentre il
padre era cattolico italiano) per essere deportate ad Auschwitz.
Lì, vennero
separate, come accadeva di prassi, dalla madre e condotte in un kinderbloch, un
blocco separato a parte, dove venivano sistemati i bambini che, tra le altre
cose, fungevano da serbatoio di cavie umane per gli esperimenti del dottor
Mengele.
La loro fortuna fu quella di essere
praticamente identiche: scambiate per gemelle, risultavano particolarmente
preziose allo scopo.
Assieme a loro venne sistemato anche il cuginetto Sergio
De Simone, figlio anch’esso di un militare, italiano e cattolico (sottolineo
per mostrare quanto sia stupida l’indifferenza, tanto certe cose a noi non
possono toccare né interessare).
Per una serie di
circostanze fortunate, tra le quali uno straordinario spirito di adattamento alle circostanze e una sorvegliante che le prese a benvolere, riuscirono a sopravvivere.
Evitarono anche la trappola nella quale cadde invece il cuginetto.
Un giorno venne chiesto ai bambini: “Chi vuole vedere la mamma
faccia un passo in avanti”. Loro rimasero immobili.
I venti bambini che caddero nella trappola
furono infatti torturati nel laboratorio di Mengele e uccisi.
Quando il campo fu
liberato, rimasero un anno in un orfanotrofio di Praga, quindi spostate in un
innovativo centro d’accoglienza inglese, dove alcune psicologhe le aiutarono ad
elaborare i traumi.
Nel frattempo la madre riuscì, con molta fatica a rintracciarle (durante le loro visite al campo si raccomandava sempre che non dimenticassero i loro nomi e cognomi) e, infine, a ricongiungersi con
loro.
Hanno raccontato la loro
storia in un libro, “Noi bambine ad Auschwitz” ed. Mondadori ed esiste anche un libricino per
bambini “La storia di Andra e Tati” ed. De Agostini.
Per conoscere quale fu la
tristissima e orribile sorte a cui andò incontro il loro cuginetto, reo di
voler solo rivedere la sua mamma, c’è “Chi vuole vedere la mamma faccia un
passo avanti” Proedi ed. che raccoglie le storie dei venti bambini barbaramente
torturati.
Le sorella Bucci hanno anche reso onore alla memoria del cuginetto, scrivendo, assieme ad Alessandra Viola, "Storia di Sergio" ed. Rizzoli.
SAMI MODIANO:
Ebreo italiano di Rodi,
isola del dodecanneso dove si trovava una fiorente comunità ebraica di origine
italiana, venne deportato assieme agli altri 2000 ebrei presenti sull’isola,
nell’estate del 1944 quando i tedeschi ne presero possesso.
Stipati in condizioni disumane su tre
imbarcazioni, vennero condotti nei campi di concentramento Germania.
Modiano, che all’epoca aveva
quattordicenne fu salvato dalla prontezza del padre già all’arrivo, quando, nelle file che conducevano i
sommersi alle camere a gas, suo padre riuscì a trarlo nella fila dei salvati.
Né il padre né la sorella ne uscirono vivi. Lui stesso deve la sua sopravvivenza
alla bontà di alcuni compagni di prigionia.
Divenuto amico fraterno di un ebreo
italiano, quel Piero Terracina scomparso da pochissimo, la cui famiglia venne
completamente sterminata (si erano salvati dal rastrellamento del ghetto, ma
vennero in seguito denunciati da una spia), rischiò di finire il suo viaggio
nella marcia mortale da Birkenau ad Auschwitz, quando i nazisti ripararono dall’arrivo
dell’armata rossa.
Svenuto nella neve, fu tratto in salvo da
alcuni compagni sconosciuti e in seguito ammassato tra i cadaveri ove si risvegliò.
Riuscì
quindi a camminare fino ad un fabbricato del campo dove incontrò Piero
Terracina e Primo Levi e una dottoressa russa si prese cura di lui.
Dei 2500 ebrei di Rodi
tornarono indietro 31 uomini e 120 donne. Modiano racconta che alla speranza
della liberazione iniziale, subentrò un’altra sensazione: “ad un certo momento, quando stai in
quell’inferno, ti rendi conto che da Birkenau non c’era nessun’altra via di
uscita che la morte”.
Per questo in molti sceglievano di suicidarsi lanciandosi contro il filo
spinato elettrificato.
Suo padre, che alla morte della figlia prediletta perse ogni speranza, decise un altro modo: si fece ricoverare in ambulatorio. Chiunque vi entrava non ne usciva mai più.
Ha raccontato la sua storia nel libro “Per questo ho vissuto” ed.
Rizzoli
Su Piero Terracina e altri deportati italiani potete cercare “La strada
di casa” di Elisa Guida ed. Viella e “Il libro della Shoah italiana” di Marcello Pezzetti ed. Einaudi.
Inoltre esiste un libro con DVD: "Dopo il buio la luce. Piero Terracina incontra gli alunni dell'istituto comprensivo B. Bonfigli di Corciano" ed. Morlacchi.
ALBERTO SED:
E' inimmaginabile anche la storia
di Alberto Sed, ebreo romano deportato assieme alla madre e alle tre
sorelle: Angelina, Emma e Fatina.
Tra i pochi minori italiani sopravvissuti
all’olocausto, Alberto, orfano di padre, riuscì a sfuggire al rastrellamento
degli ebrei romani, salvo essere trovato (o più probabilmente denunciato) poco
dopo.
All’arrivo ad Auschwitz, sua madre e sua sorella Emma vennero uccise
immediatamente nelle camere a gas.
Sua sorella Angelica fu fatta sbranare dai cani
poco prima della fine della guerra, l’altra sorella, Fatina, sopravvisse al
campo, ma dopo aver subito gli esperimenti atroci del dottor Mengele che la
segnarono profondamente.
Alberto riuscì a sopravvivere, ma ci si domanda quanta
immensa forza debba aver avuto per riuscire a condurre infine una vita col
ricordo perenne di quel che fu costretto a subire.
Dopo decenni di silenzio si decise infine a
parlare per portare la sua testimonianza nelle scuole, raccontando orrori che
ci sembrano inimmaginabili.
Come l’ammissione di non essere mai più riuscito a
prendere in braccio un bambino, neanche i suoi figli, per il terrore di quando
le SS lo costringevano a lanciarli in aria per ucciderli, in un agghiacciante
tiro a segno.
Potete leggere la sua storia in “Sono stato un
numero” di Alberto Sed. Ed. Giuntina.
Sono certa vi siano molte altre storie, in primis quella della senatrice Liliana Segre, alla quale il padre chiese scusa per averla messa al mondo.
Non dimentichiamo. Non dimentichiamo. Non dimentichiamo. Se è successo una volta, può succedere ancora.