giovedì 31 marzo 2016

Siamo mai stati davvero liberi? Il moralismo nell'adolescenza, la provincia addormentata, il sessismo nel fumetto, il giudizio degli altri e la recensione di "Incendi estivi" di Giulia Sagramola.

 Giulia Sagramola è un'assai quotata fumettista e illustratrice italiana di cui ho sempre sentito parlare senza però aver mai dato più di un'occhiata veloce alle sue opere. Non per un motivo specifico, ma tutto quello che mi capitava di sfogliare aveva su di me poco appeal.
 Nell'ultimo numero di Linus che ha lasciato molto spazio alla famosa polemica lanciata dal collettivo di fumettiste donne che si battono contro il sessismo nel mondo del fumetto il Collectif de Créatices de Bande Dessinée in merito all'assenza di candidate donne al Gran Prix d'Angouleme (una sorta di premio alla carriera), c'era, tra gli articoli e fumetti sul tema del maschilismo nel mondo del fumetto, anche un suo intervento.
 Le tavole proposte dalla Sagramola mostrano tre fumettiste seminude intente a dipingere leziosamente storie da donne: del resto a quanto pare è quello che ci si aspetta da fumettiste donne no? Storie "al femminile" disegnate in reggiseno rotolandosi vezzosamente sul pavimento.
  Mah, mi è piaciuta l'impostazione della polemica, ma meno il messaggio di fondo della polemica.
 Il maschilismo in tutti i settori, fumetto compreso, è una piaga ed è ovviamente pretestuoso e insopportabile sentire che le fumettiste donne scrivano per donne
 Il punto però è secondo me sottilmente anche un altro: ci sono fumettiste donne che scrivono storie che non sentono per un pubblico specifico, altre invece lo fanno pensando magari ad una corrispondenza da parti di lettrici donne.
 Il problema è che quando gli autori uomini scrivono chiaramente pensando a uomini, le storie sono epiche, mitiche, magiche e una donna che si avventura in un mondo che si ritiene non suo ELEVA il proprio standard di lettrice.
Quando invece un lettore maschio si addentra nei meandri di storie dedicate a vite e problematiche più prettamente femminili c'è la sensazione strisciante che si stia ABBASSANDO.
Simbolo del Collettivo
 Questo è un altro problema che bisognerebbe sottolineare e che, a mio parere, non è né giusto né saggio affrontare col sistema: i lettori e i generi sono senza genere (io, lo ripeto sempre, leggo tutto e senza farci caso, ma non è che la mia sensibilità sia quella universale).
 Comunque, chiusa la parentesi Linus, ho deciso di leggere la prima graphic novel (non autoprodotta) di Giulia Sagramola e "Incendi estivi" è stata una piacevole lettura.
  La storia fa parte di quella tradizione di vicende ambientate nella provincia addormentata, un luogo spaventoso fatto di grettezza, moralismo, dicerie, poche opportunità e una grande voglia di fuga. 
 Le protagoniste sono due sorelle, Rachele e Sabrina, assai vicine d'età e, secondo me, sin troppo simili graficamente (ho fatto un po' fatica a seguire la distinzione soprattutto all'inizio). 
 Le due frequentano le scuole superiori nel loro paese, non hanno un ragazzo (ma non vuol dire che non ne frequentino) e devono vedersela col grande mostro dell'adolescenza: la reputazione.
 Messaggini minatori, minacce, fotografie rubate, insulti velati, quella misoginia che nasce spesso nei ragazzi durante l'adolescenza (vi siete mai chiesti perché si lavora moltissimo sulla civiltà fino alle scuole elementari e poi si apre un gorgo nero di sessismo, razzismo, omofobia e quanto di peggio?) e il senso di superiorità che si impadronisce delle ragazze che riescono a seguire le regole sociali alla lettera.

Fortunatamente per me, non ho nessuno spiacevole ricordo in particolare delle superiori.
Non ho memoria di episodi di un qualche tipo di bullismo o di malelingue che abbiano reso la vita impossibile alle genti e allora mi pareva normale. Ora che sono cresciuta e probabilmente guardo i giovanissimi con l'occhio clinico e inquieto di chi non saprà mai cosa avviene davvero nel loro cervello o nelle loro stanze, mi accorgo che la vita avrebbe potuto essere ben più spaventosa.
  Si ha sempre questa idea che l'adolescenza abbia il privilegio di essere un periodo particolarmente felice dal punto di vista creativo: puoi essere te stesso, puoi tingerti i capelli di blu, poi sederti per terra in stazione, puoi correre gridando per il treno facendoti odiare da tutti gli altri passeggeri.
 In realtà, come probabilmente possiamo ricordare tutti o quasi, ciò che ho elencato appartiene ad un'apparenza che oblia chiaramente un fatto incontrovertibile: il periodo che va dalle scuole medie alle superiori sarà pure indimenticabile per le amicizie per la pelle, i primi amori e quella incomparabile dose di spensieratezza MA rimane comunque uno dei più conservatori della propria vita.
 Mi sono spesso domandata perché sia così, immagino ci sia una specie di meccanismo di difesa che spinge a seguire delle regole non scritte alla lettera perché si vive un momento di rara instabilità emotiva (se siete invece dei pedagoghi che sanno la vera motivazione perdonate questo mio subdolo momento alla Crepet). Tutto è nuovo e invece di sperimentare, tendenzialmente si cerca di aggrapparsi a qualsiasi cosa dia una vaga certezza, pure una prigione.

Il risultato è che quando sei alle superiori sembra di vivere in una corte settecentesca dove una diceria può stroncare una carriera e la perdita dei favori di principi e regine può determinare o meno l'esclusione da un gruppo. E' quel magico periodo in cui una volta che ti è stato affidato un ruolo, lo sfigato, il nerd, il secchione, quello che fa ridere, la bonazza, la facilona, quella che non la dà, difficilmente si riesce a cambiarlo. Puoi fare quello che ti pare, ma il tuo destino per il momento è segnato.
 Sulla base di questa maledizione sociale, un corretto comportamento è indispensabile per evitare pettegolezzi che possono renderti la vita impossibile: se qualcuno inizia ad additarti come gay o puttana (per le ragazze le regole da sostenere per dimostrare di essere una ragazza che non la dà troppo o troppo poco sono infinite) o vai a capire cosa è il momento buono che puoi scordarti di vivere in santa pace. 
E questa sensazione di disagio la Sagramola la rende perfettamente: Rachele non riesce a vivere serenamente il primo amore perché teme il giudizio degli altri, sua sorella Sabrina si sente già etichettata perché forse si è lasciata troppo andare. 
Le guardi e pensi: così giovani e così intrappolate. Non c'è quindi mai stato un periodo in cui siamo stati davvero liberi?

 Non succede molto in "Incendi estivi" e francamente quel poco che succede davvero come la patente da prendere o gli incendi estivi causati da non si sa chi, sono davvero troppo metaforici. Se si vuole andare sulla similitudine col grande percorso interiore bisognerebbe essere un filino più raffinati.
 Tuttavia cos'è quello che accade davvero, per mesi, quando siamo adolescenti? Niente. Assolutamente niente. Eppure il tempo, in confronto a quando diventiamo adulti, sembra scorrere lentissimo e i ricordi sembrano moltiplicati per mille.
 Probabilmente era diversa l'intensità o l'importanza, la magia del vivere e la sua tristezza. 
 E soprattutto c'era quella speranza che invecchiando svanisce: l'idea che ci attende un futuro, da qualche parte, oltre gli incendi, le estati piene di malelingue, gli amici che di colpo ti odiano, le azioni che vorremmo non aver mai compiuto, gli amori che forse potremo un giorno recuperare.

Voi l'avete letto? Avete vissuto un'adolescenza di assoluto delirio e creatività e siete in totale disaccordo con me? Siete delle vittime della provincia addormentata e finalmente potete sfogarvi? Testimoniate!

In un articolo del post si trovano le prime pagine ----> Incendi estivi

mercoledì 30 marzo 2016

Come fare delle foto da bookblogger per Instagram di sicuro successo!! Poche rapide cose da procurarsi per rendere un libro davvero sexy: calze, belle gambe, gatti, dolci e molti gadget.

 Dopo aver buttato il sangue a capire le motivazioni dell'esistenza di Twitter e averne tratto beneficio quell'unica volta in cui, alle tre di notte, ci fu un terremoto in veneto che mi risvegliò anche se ero nel mezzo del nulla lombardo (apri twitter e scopri che non hai avuto le allucinazioni ma mezzo nord è sveglio assieme a te), ho deciso circa un mesetto fa, di dare una possibilità a Instagram.

Avevo tentennato a lungo per vari motivi:
922 m. Mehmedas, paskutinis Osmanų imperatorius
palieka Stambulą.
1) Oddio un altro social da gestire.
2) Non mentirò dicendo che sin da bambina fotografavo le api che si posavano sulla mia culla con una canon baby: io e la fotografia non abbiamo mai avuto nessun tipo di rapporto.
3) Se è frustrante quanto lo stramaledetto twitter preferisco evitare di raddoppiare il mio rancore virtuale verso una piattaforma social.
 Alla fine però, le foto ai libri che leggo le faccio comunque, quindi ho pensato: vabbeh proviamo e in effetti non è male come credevo, anzi. 
 E' molto più intuitivo e meno spaccapalle di twitter, nessuno tenta di darmi lezioni di vita in un centinaio di caratteri, magari la gente ci tiene ad apparire fighissima, ma almeno lo fa a immagini e non con pietose frasi noncuranti o arroganti. Una volta tanto posso dire di preferire l'immagine alla parola.
 Quello che mi aspettavo in verità era un mondo molto più originale: se tante persone fanno tante foto, ci saranno sicuramente idee continuamente innovative e diverse.
 Invece, almeno sul fronte del bookblogging mi pare che ci sia poco da essere originali. 
 Vuoi che i libri siano oggetti immobili a cui puoi far fare un numero limitato di cose, vuoi che per qualche motivo i bookblogger maschi scarseggino o comunque non si facciano foto, vuoi quello che ti pare, per ora setacciando l'etere instagrammatico ho trovato profili libreschi tutti molto simili.
 Tanto simili da aver potuto tracciare una serie di consigli da dare a qualsiasi bookblogger, preferibilmente femmina, voglia affacciarsi al magggico mondo di instagram con un cellulare più decente del mio.
 Siete pronti a scoprire come ammassare follower in quantità industriale? Seguitemi!

PROCURARSI DELLE CALZE E DELLE BELLE GAMBE:
Ci ho proprio trovato un tumblr:
 http://legsbooksmugs.tumblr.com/
Una cosa che mi ha molto colpito, forse perché non ho mai pensato potessero avere un nesso logico (se non in estate al mare per ragioni di prospettiva sdraio-cielo) è il profondo rapporto che intercorre tra i libri e le gambe.
 A quanto pare il mondo è pieno di bookblogger assai magre, con gambe bellissime e quelle caviglie affusolate che bramo dalla mia infanzia e che non ho mai avuto neanche nei miei momenti migliori.
  Se al posto delle gambe hai dei tronchetti della felicità come i miei una buona fetta delle foto sexy che si possono fare ai libri è preclusa.
 La tecnica per ottenere una foto di libro con gambe prevede quindi: gambe affusolate e un paio di calze carine, possibilmente parigine sopra il ginocchio. Calzedonia o chi per lei potrebbero persino creare una linea per lettrici che amano leggere in mutande o shorts e calze frou frou.
 Ricordate: a righe fanno molto sbarazzina e Alice nel paese delle meraviglie (che mi pare di capire è il faro verso cui dobbiamo tendere), se no potete puntare sulle orecchie di gatto in cima, colori sgargianti o lavorate. Non mi pare che i collant velati o semplici vadano molto, ma devo studiare meglio la questione.
 Bookblogger maschi che fotografano le proprie gambe villose non ne ho avvistati, se ne avete notizia fatemi sapere.

PROCURARSI DEI CORNETTI O DEI MUFFIN:
Tutti criticano il foodporn ma nun ce 'sta niente da fà: il cibo attira. Ergo, la gente rompe, ma poi vede un po' di sugna e impazzisce.
 Perciò, procuratevi un cibo adeguatamente avvenente, meglio se un dolce, (non so per quale motivo, forse fa più merenda o pausa lettura), come un cornetto al pistacchio, un muffin al cioccolato ricoperto di cuori, una fetta di torta gustosa e colorata (se vi buttate sul casareccio state attenti ai filtri che se no sembra che stiate facendo la foto nella cucina della Clerici, quella di casa sua intendo), un cicciosità che non sia troppo cicciosa
http://legsbooksmugs.tumblr.com/
 Per capirci, tenero donut rosa sì, torre di marron glace con montagna di panna no. Inoltre state attenti agli abbinamenti: una pizza alla provola non è il massimo accanto a "Tutti i cuori dell'amore della mia vita al caffè zuccherato alla cannella", e una charlotte alla panna ha poco a che spartire con "Gli ultimi giorni di sangue e guerra del capitano Smith".
 Una scatola di cioccolatini a cuore vicino ad un libro sulla shoah potrebbe avere qualcosa di inquietante, mentre una scatoletta di tonno rischia di avere poco a che vedere con saggio sulla fondazione di Milano.
 In ogni caso, quando siete nel dubbio: cornetto. Cornetto vincit omnia. Pace, guerra, amore, passione, odio, follia? Cornetto è l'unica risposta.
 (S'intende che se ci tenete a essere cooool o siete sotto i vent'anni o leggete solo narrativa rosa il cornetto potrebbe dirvi poco, in quel caso un dolce americano a caso e state a posto).
Non dimenticate MAI il the.

PROCURARSI UN GATTO (possibilmente a pelo lungo):
Quel tenero e peloso amico a quattro zampe che è il gatto è la vera star del web,  perciò basta procurarsi una qualsiasi palla di pelo (preferibilmente a pelo lungo, ma anche una bella bestiola cicciuta va bene), piazzarla vicino al tomo che volete mandare nell'etere e attendere.
 Se il felino saprà giocare bene le sue carte da modello potrebbe diventare più famoso dello gnomo di Amelie.
  Chi non si commuove davanti ad un tenero gattino lettore? Chi non spara un "Ooooh" commosso davanti ad un persiano che dorme sopra "Guerra e pace" o che litiga molesto col vostro nuovo libro di Baricco? E vogliamo mettere la combo micidiale: cuore di peluche, gatto, libro di Fabio Volo e cupcake? Potrebbe esserci più di uno svenimento per eccesso di cucciolosità in giro!
 Se non avete in mente una vera e propria serie gattesca che vede splendido protagonista sempre lo stesso felino malandrino, trovare un gatto di un amico che si presti non dovrebbe essere difficile.

PROCURARSI UNA BUONA CALLIGRAFIA:
 Una cosa che mi ha molto stupito è la passione di molte bookblogger per la bella scrittura.
 C'è il libro e poi ci sono fogli colorati e scritti con una grafia che manco dopo vent'anni di scudisciate sulle mani in una scuola di calligrafia giapponese. In genere recano considerazioni sul senso della vita o frasi contenute nel testo.
 Anni fa partecipai ad una lezione di inchiostrazione giapponese in cui una povera mangaka trasportata direttamente dal Giappone tra mille onori fu costretta con suo e nostro imbarazzo a provare ad insegnarci la nobile arte dell'uso del pennino.
 Ero talmente incapace che persino la povera donna, tutta sorrisi e inchini, ebbe un visibile momento di scoramento, ma fu nulla rispetto a quello che provai io quando confessammo tutti la nostra età e risultò fossi più vecchia degli altri di almeno dieci anni (ero più vecchia anche dell'insegnante).
 Anche in nome di questo ricordo provo quasi ammirazione per questa voglia artistica di produrre cartoline calligrafiche svolazzanti e ripenso intensamente a quel libro dell'anteguerra che mia madre si ostinava a propormi alle elementari. Un assurdo quadernetto in cui si imparavano cornicette e grafia da far invidia a Carducci. Come al solito all'epoca avevo opposto una fiera resistenza e ora pago le conseguenze della mia scarsa lungimiranza.

PROCURARSI MOLTI GADGET:
Una cosa che è indispensabile fare quando si fotografa un libro, è una composizione come Cristo comanda.
 Il libro sta lì porello, immobile, magari incolpevole portatore sano di una copertina oscena frutto di grafici da denuncia e incomprensibili decisioni estetiche editoriali, non è che possa far molto da solo per imbellirsi.
helloeiry.tumblr.com
 Sì, può invecchiare, i libri sono come George Clooney per le donne etero: aumentano il loro fascino man mano che le stagioni si posano su di loro, ma non è che potete aspettare vent'anni sperando nell'ossidazione della carta.
 Perciò, come rendere un libro più sexy? Accostandolo ad altre cose! Ho notato che al solito va quel minimalismo un po' shabby chic che ti fa mettere il libro su sfondo neutro con boh, una foglia autunnale o tre dadi da gioco vicino, a seconda del tema del tomo o della stagione. Tuttavia ho visto gente che letteralmente addobba l'intera stanza a tema, calibrando colori e ombre come scenografie, non so dove trovino la voglia o il tempo.
 In qualsiasi caso, procuratevi quanti più gadget possibile: non è sempre Natale che un omino di marzapane vi fa svoltare con cannella, zenzero e tenerezza da pacchetto sotto l'albero. Dovete essere più arditi: saccheggiare fiere del fumetto alla ricerca della follia giappa, staccare i gerani dal vaso della vostra vicina per mostrare l'arrivo della primavera, svuotare il portagioie di vostra nonna alla ricerca di una spilla di metà secolo e boh vedete voi. Molti gadget molte foto.

Non dimenticate di smarmellare tutto con qualche filtro e il gioco è fatto.

Ed ecco qua, per ora. Sento di aver assolto al mio eroico dovere, non ringraziatemi, immagino da questo momento il web popolato da nuove immagini, assolutamente fantastiche, assolutamente filtrate benissimo, assolutamente identiche. Olè.

Ps. Se mi cercate su Instagram sono sempre col nome: idoloridellagiovanelibraia. Quando scoprirò come aggiungere i tasti dei social sul blog lo saprete.

martedì 29 marzo 2016

Quello che è davvero l'amore. La recensione de "La cartella del professore" di Hiromi Kawakami, una storia dolce, delicata e carica di rispetto tra office lady, solitudine, vecchiaia e parecchio cibo.

 Come avrete notato, non recensisco spesso libri che abbiano trame amorose.
 Anche a San Valentino ho dei seri problemi a dare consigli perché, in genere, le trame incentrate unicamente sul sole cuore amore mi annoiano sempre. Il caro vecchio lui ama lei (o le sue rari varianti lgbt) ha su di me scarso fascino.
Mmmm mmmm mmmmi faccia pensareee mmmm mmm
 Tendenzialmente mi piace la fase in cui i due si innamorano, ma poi quando inizia la sordida parabola discendente mi prende male. Sto lì che penso: ma lasciatevi, quanta vita sprecata, se invece di farvi tutte queste fisime mentali sulla morale vi lasciaste subito avreste più tempo per altri amori. Che poi è quello che penso anche nella realtà davanti alle coppie che si trascinano per anni senza un vero perché.
 Il fatto che le storie d'amore in cui mi imbatto abbiano una fine infelice è perché non leggo narrativa rosa e, posso assicurarvi, quando arriva una persona che mi chiede una storia d'amore che non sia melensa e che finisca bene, si spalanca la porta dell'inferno.
 Io inizio a pensare e a produrre suoni da mucca "Mmmm mmmm mmmm" per prendere tempo e farmi venire un'idea, poi arpiono il primo collega a cui passare la patata bollente e allora muggiamo in due "Mmmm mmm mmm" e alla fine è capace che finiamo a muggire in quattro senza produrre un titolo. L'amore, quello serio, a quanto pare deve finì sempre in sofferenza, perché si sa, la vita è tanto amara (e diciamoci la verità, quale scrittore di commedie ha mai vinto il Nobel?).
 Questi giorni però ho letto una storia d'amore che mi è piaciuta moltissimo: dolce, delicata, giusta nei tempi e nelle intenzioni, senza una volgarità, una parola fuori posto, romantica senza essere melensa, con quel tocco di malinconia che posseggono tutte le vere storie d'amore.
 Sto parlando de "La cartella del professore" di Hiromi Kawakami ed. Einaudi. 
 In realtà avevo letto la versione a fumetti, un doppio albo di Jiro Taniguchi dal titolo "Gli anni dolci", qualche anno fa, senza sapere che provenisse da un libro (forse l'avevo letto nella prefazione, ma colpevolmente dimenticato subito). Come tutte le opere di Taniguchi mi era piaciuto molto il modo lieve di raccontare una situazione ordinaria in modo assolutamente straordinario. Il tutto senza bisogno della gran parte degli effetti che mi disturbano in molte graphic novel: quei disegni caotici e spesso inquietanti che mi impediscono di godermi la storia.
 Taniguchi aveva cesellato il suo solito ottimo lavoro di lunghe pause, silenzi, giornate assolate in mezzo a città deserte, cibo che appare delizioso anche se è solo disegnato e locali pieni di gente che rendono la solitudine solamente più acuta.
 La più grande sorpresa di questo libro è stato scoprire che il ritmo giusto, quell'anticlimax in cui non accade niente per mesi e nessun evento eccezionale determina la nascita di un amore (come avviene nel 90% dei casi nella realtà), non era opera del buon Jiro, ma dell'autrice, a cui il fumettista era stato straordinariamente fedele.
 La storia è quella di Tsukiko, una donna single di avviata verso i quarant'anni che vive sola e lavora in una ditta. In Giappone le chiamano le OL, le office lady, il cui termine ricomprendete le donne che lavorano nelle ditte e generalmente si dimettono una volta sposate. 
 Sono pochissime quelle che resistono in genere donne certa cultura, laureate, che hanno deciso molto drasticamente, di rimanere consapevolmente non sposate. 
 Del resto essere una moglie e madre in Giappone non è una passeggiata di salute (non lo è da nessuna parte per carità): gli obblighi sociali a cui queste povere donne sono costrette in nome di un onore personale che si misura sulla pulizia della casa, la capacità di cucinare, accudire bambini e anziani, il tutto mentre si è sempre sorridenti e impeccabili, sono una roba ansiogena. 
 Senza contare la continua pressione sociale verso la perfezione di cui sono vittime: le nostre vicine di casa al massimo spettegolano, lì un pavimento non tirato a lucido rischia di sfociare in un caso di quartiere.
 Perciò diciamoci il vero, come non va di sposarsi a molte donne occidentali i cui compagni non hanno ancora scoperto l'aspirapolvere e la condivisione dei compiti casalinghi e della cura di prole e anziani, va meno che mai a delle giapponesi che hanno studiato come delle pazze fino alla laurea, superando montagne di esami e anni di studio intensissimo. Il problema dell'essere una office lady non sposata è quella commiserazione sociale neanche troppo velata che potremmo paragonare allo psicodramma di una donna non sposata degli anni '50: perché non è stata impalmata? Cos'ha che non va?
 Tsukiko resiste personalmente a questo assedio di famiglia, amici, conoscenti ed estranei, con un atteggiamento svagato e noncurante. Il suo metro di giudizio non sono gli altri, ma solo quello che si sente di fare o meno. Ogni tanto pensa velatamente ai suoi ex, a quello che avrebbe potuto fare di diverso, ma, alla fine dei conti, pensa che la solitudine sia un dignitoso prezzo da pagare per aver avuto il privilegio di riuscire a scegliere la propria vita.
 La storia comincia quando si rende conto di incontrare con insolita frequenza il suo professore di letteratura delle superiori che ha ormai una settantina di anni e, come lei, ama passare le serate in un bar (un Nomi-ya) che offre una sorta di aperitivo alcolicamente rinforzato. I clienti sostanzialmente si seggono ad un balcone dove bevono e bevono e chiedono leccornie di vario genere (ovviamente per noi rischiano di non essere tali tra balene, prugne in salamoia e fagioli salati) liberi di ciarlare tra loro o con il barista/cuoco che ha più o meno la funzione del tipico barista da bancone americano: interagisce, sbuffa, annuisce e dice qualche ovvietà.
 
Una tavola de "Gli anni dolci"
Dal momento in cui Tsukiko e il professore si riconoscono
tra i due si sviluppa prima una timida conoscenza, poi una delicata amicizia. Tsukiko sin da subito è quella, tra i due, più lanciata: vorrebbe passare molto tempo con lui, visitare casa sua, fare delle gite insieme. E' la prima ad accorgersi che il sentimento che i due iniziano a provare reciprocamente è amore e a dichiararsi.
 In una storia d'amore romanzesca il professore si sarebbe lasciato ad andare all'ultimo amore della sua vita senza remore: una donna molto più giovane di lui, libera, disponibile, piacente, cosa chiedere di più?
 Ed invece è proprio nella figura dell'anziano professore che si consuma il grande scarto di questo libro. Sono i modi, i pudori e il rispetto di un uomo di un'altra epoca che pensa prima a Tsukiko che a sé stesso. Perché dovrebbe lasciare che una donna del genere sprechi del tempo con un uomo che morirà ben prima di lei? Non sono i pretendenti, anche appetibili che le mancano, non la forza d'animo, chi è lui per distrarla dal percorso della sua vita?
 Così si sviluppa una storia che appare semplice, ed è invece costruita con rara sapienza: senza una scena fuori posto, un dialogo di troppo, un gesto azzardato. Quella tra il professore settantenne che mai ha dimenticato la prima, strana, volubile moglie, e Tsukiko che guarda la sua stessa vita come dall'alto, come dall'altra parte del vetro, è davvero una storia d'amore degna di questo nome.
 Racconta tutto quello che è necessario sapere sull'amore: che è rischio, incertezza, delicatezza, che è incontrollabile, spaventoso, incomprensibile e che sempre, in qualsiasi momento è dolce rispetto.
 Scrittura scorrevolissima, con un qualcosa di primaverile. Si piange, ve lo dico.

 E vi dico altre due cose:
1) Se siete lettori maschi e mi fate le mammole ritrose che non possono leggere libri d'ammmore perché non è il vostro genere, fate il piacere e tentate la lettura: è un libro bellissimo e diciamocela tutta, vi innamorate pure voi.
2) Per apprezzare appieno la lettura vi consiglio di finire di leggerlo prevedendo una cena al primo ristorante giapponese sulla cartina, va bene anche un orrido all you can eat, va bene tutto. Mi ringrazierete.

domenica 27 marzo 2016

Molte vignette, alcuni rebus, contributi, nutella, blasfemia, surrealismo e paperi per un'unica Buona Pasqua!

Innanzitutto Buona Pasqua a tutt*!
 Secondo poi, volevo postare una vignetta carina per l'occasione e speravo di riuscire a disegnarne una ora che sono a casa. In genere quando sono dai miei non è che combini molto, ma qualche vignetta sì. Solo che stavolta è venuta in visita la famiglia della mia dolce metà, perciò il tempo da dedicare al disegno è stato davvero irrisorio. E qui casa l'asino.
 Ci sono i fumettisti, quelli veri, che alle fiere del fumetto riescono a disegnare a bruciapelo qualsiasi follia gli venga chiesta: eserciti di faraone che portano porchette in trionfo, lampadari antropomorfi che scartano uova di Pasqua di struzzo.
 Io non sono una fumettista vera perciò a fare i disegni di fretta mi prende il panico: cosa fare?? Quando?? Come?? Perchè?? E man mano che l'ansia cresce, la poca ispirazione che ho, fugge.
 Il risultato è stata la serie di vignette di cui sotto. 

1) VIGNETTA 1

Rappresentava me sdraiata su un letto di cibo. Ubriaca di dolci, vi auguravo buona Pasqua. Cassata.

2) VIGNETTA 2

Ho pensato sarebbe stato carino fare un rebus. Il risultato è quello di cui sotto, vediamo se per voi è chiaro.


Poco convinta di essere stata abbastanza chiara, ho sottoposto la vignetta al giudizio dei miei familiari. Le mie sorelle hanno capito nell'ordine: "Nutella della risurrezione a palla" e "Buon Cristo a Pietra". Mio padre è stato più comprensivo, ma comunque tutto assumeva un tono blasfemo che insomma non mi pareva adatto alla celebrazione. Non so voi cosa ci vedete.

 VIGNETTA 3:

 La mia sorella di mezzo ha disegnato un rebus imitando il mio stile e rendendo chiaro che non è affatto inimitabile. Sostiene di aver scritto un rebus più bello del mio.



VIGNETTA 4:

La mia dolce metà per non essere da meno si è prodotta in un altro rebus. Il punto è che le rare volte che la dolce metà si è prodotta in qualche disegno/fumetto ha sempre rivelato tratti surrealisti. Il risultato potete vederlo da soli. 


VIGNETTA 5:

Infine prova e riprova ho prodotto una vignetta decente, ma il maledetto scanner delle mie sorelle ha segato la parte superiore. Pietà di me, la riscansiono appena sono a casa. Il risultato finale mi appare finalmente decente.


Ed ecco, alla fine di tutto...Buona Pasqua!! E ditemi: il mio rebus era davvero così brutto??

venerdì 25 marzo 2016

Cose realmente avvenute! Lo giuro! "I libri appartati".

Se c'è una cosa che mi dà estremo urto in libreria, è quando i clienti danno per scontato di essere più intelligenti di te.
 Tu sei "solo una commessa", loro invece faranno un qualche lavoro d'ufficio (in cui in genere sono entrati eoni fa con un diploma e non hanno la minima idea di cosa voglia dire il mercato del lavoro adesso, che fa polpette pure dei dottorandi). Che poi non ho mai capito perché il lavoro d'ufficio sarebbe superior rispetto a quello in negozio.
 Partendo da questo presupposto, hanno quella frase da calcio rotante istantaneo che è "impari l'italiano" "è italiano" o anche "torni a scuola" e tutte le loro varianti. Ovviamente un bel po' di volte sono loro che dovrebbero ritrovare la via della scuola dell'obbligo.
 Pardon per questa intro al vetriolo, ma la cliente della vignetta realmente avvenuta ha davvero messo a dura prova la mia pokerface.
Cose realmente avvenute! Lo giuro! "I libri appartati".



mercoledì 23 marzo 2016

Cose realmente avvenute! Lo giuro! "Il raffreddore che viene dalla testa".

Questi giorni sono tornata a casa per Pasqua (sì lo so sembra che sto sempre in giro, ma questo Marzo è un unicum della mia vita che tra l'altro è costato caro al mio portafoglio), ma, fatto straordinario per me, mi sono organizzata e ho preparato sugose vignette in anticipo.
 Quella di cui sotto è una vignetta realmente avvenuta che spero non causi flame.
 Ok, è vero un tempo ci si curava con le erbe, ma, tra gli altri libri di medicina alternativa, ce ne sono alcuni che dicono di poterti guarire ripetendo alcune stringhe numeriche. Stringhe numeriche.
 Cose realmente avvenute! Lo giuro! "Il raffreddore che viene dalla testa"!

Ps. Ovviamente se vi va in questi giorni potrete seguire le mie avventure pasquali casalinghe tramite fb o il profilo instagram (che è sotto il solito nome: idoloridellagiovanelibraia).


martedì 22 marzo 2016

Il reale e il surreale: quanto siamo capaci di cogliere l'improbabile nascosto nell'ordinario? La recensione de "Il primo uomo cattivo" di Miranda July, con un tocco di Benni e qualche ceffone poco metaforico ben assestato.

 Per un certo periodo della mia vita, diciamo dai diciassette ai ventidue anni, ho avuto la sensazione che le cose attorno a me prendessero una piega surreale.
Re Gustavo di Svezia e la sua consorte

Mi sembrava che i miei amici, compagni di classe, professori, colleghi universitari, nemici e parenti, ce la mettessero tutta per aggiungere a ogni giorno potenzialmente normale, un quid di follia.
 Per fare un esempio che altrimenti sembra stia delirando, ricordo con chiarezza il giorno in cui l'amico sfaccendato e perennemente dormiente (di solito provvisto di barba e sudore a gettito continuo) che tutti noi ci trasciniamo per un periodo nella post-adolescenza, mi chiamò impanicato perché aveva appena investito la statua della Madonna che sua nonna teneva in giardino.
 Le braccia della Madonna si erano staccate e voleva sapere da me un metodo convincente per riattaccare la porcellana. Nel mentre, mia madre mi incitava ad abbandonarlo velocemente al suo destino perché ci stavamo perdendo un imperdibile evento cittadino: per qualche motivo inspiegabile il re di Svezia aveva deciso di fare un giro per le vie del nostro paese (ora, come sapessimo che era proprio il re svedese non chiedetemelo perché non lo ricordo, ma un raffronto su wikipedia aveva confermato la sua identità).
 Questi momenti di follia quotidiana iniziarono a svanire come un sogno quando le asperità della vita si abbatterono su di me più o meno quando, senza un euro in tasca, decisi di andare a vivere da sola. Il pensiero di dover capire come mangiare giornalmente e come pagare le bollette (astronomiche tra l'altro, maledette coinquiline romane mantenute da mamma e papà) mi resero come cieca di fronte a quella dose di improbabile che alberga nella vita di ognuno.
 Se l'improbabile è mai tornato a visitarmi? Ogni tanto negli ultimi anni, da quando la mia vita si è stabilizzata, ma mai con la stessa potenza di prima. Me ne sono sempre rammaricata, ma leggendo il nuovo libro di Miranda July forse ho capito il perché.
Miranda July
 Miranda July è un'autrice/artista/regista americana che rientra nel campo degli scrittori statunitensi amanti della sperimentazione letteraria (un genere che, come sapete, non è che ami molto), avevo visto sia il suo film "Me, you and everyone we know", sia letto la sua precedente raccolta di racconti "Tu più di chiunque altro" e mi erano entrambi piaciuti con riserva.
 Nel senso, a livello generale sentivo che mi stavano comunicando qualcosa, ma non riuscivo bene a capire cosa. Nel nuovo romanzo, ad un certo punto ho avuto l'illuminazione.
 La storia è quella di Cheryl, una donna sulla quarantina che lavora in una sorta di palestra/non si capisce bene cosa (o almeno io non l'ho capito) in cui vengono organizzati corsi di autodifesa femminile. E' lì da una ventina di anni, pensa di avere una cotta per Philip, un sessantenne fascinoso che fa parte del consiglio di amministrazione e, pur non avendo figli, ha un oscuro istinto materno che collega ad un bimbo che aveva accudito per qualche ora da bambino da lei ribattezzato Kubelko Bondy. Ogni volta che vede un neonato e in contemporanea sente di volerne uno, chiama alla sua memoria il piccolo Kubelko.
 Un giorno di una vita piatta e tutto sommato senza sussulti, i suoi due capi le propongono di ospitare per qualche tempo la loro figlia ventenne, Clee, una bionda formosa che non ha ancora ben capito cosa voglia fare della sua giovane vita. Cheryl che tendenzialmente subisce molto e agisce poco in attesa che la vita le accada, accetta e si ritrova in casa una nullafacente sporca e invadente che non sa come cacciare. A questo punto, la trama attraversa una parte centrale discretamente delirante verso una finale molto commovente e poetica. 
 Il delirio centrale è incentrato sul rapporto tra Cheryl e Clee (che non vi dico dove va a parare se no vi rovino il libro).
 Cheryl inizia ad avere dei disturbi psicosomatici e inizia ad andare da una psicoterapeuta a sua volta molto problematica che le suggerisce di mettere in scena una sorta di gioco di ruolo con Clee. Le due decidono allora di picchiarsi in modo estenuante e giocoso prendendo spunto da alcune scene di lotta di alcune vecchie videocassette dei corsi di autodifesa.
  Il terrore da lettrice è che questa lotta sia solamente metaforica o che ad un certo punto, come nel libro di Eggers "L'opera struggente di un formidabile genio", ad un certo punto mi si dica che è solo un abile prodezza dello scrittore che vuole mostrare la sua bravura. Il sollievo arriva nel momento in cui ci accorgiamo che siamo nel campo dell'improbabile, ma non dell'impossibile.
 Ciò che accade a Cheryl prima che un evento la ponga di nuovo davanti alla nuda realtà che offusca ciò che esiste di surreale nella vita di tutti i giorni, è la variabile improvvisamente impazzita.
 Esistono, non per tutti, non sempre, magari una sola volta nel corso dell'intera esistenza, dei periodi in cui lo straordinario irrompe in modo tanto irruento nel nostro ordinario da sembrare inverosimile. Raramente riusciamo ad afferrare il significato di quel momento imperdibile (non sempre sconvolgente, ma comunque incredibile), è come se riuscissimo a percepire la variazione come una sorta di terremoto a scosse ondulatorie. Noi siamo sempre sulla nostra superficie, ma tutto attorno a noi si muove in modo convulso senza che il cervello riesca a capire cosa sia.
 E' questo che accade a Cheryl, un terremoto che le mostra tutto in modo assurdo: il giardiniere che non si fa pagare è così strano da sembrarle un clochard col pollice verde, l'oggetto del suo amore Phil perde la testa per una sedicenne provocante, talmente provocante che probabilmente non esiste, i suoi incontri di lotta libera con Clee le diventano così indispensabile da farla ragionare sulla sua sanità mentale. 
Benni estremizza i comportamenti di alcuni personaggi
peculiari che albergano in provincia. In verità,
e non serve Amarcord a ricordarlo, chiunque venga dalla
provincia sa che spesso non c'è bisogno di estremizzare:
questi personaggi esistono
davvero nella loro forma più pura.
 E' stato quando il libro è rientrato nelle rassicuranti carreggiate della normalità che ho capito cosa non riuscivo ad afferrare nelle opere di Miranda July: lei non propone storie, ma un modo di vedere la vita.
 L'improbabile è una costante che possiamo decidere di cavalcare o di soffocare, ma esiste sempre, siamo noi che di volta in volta siamo in grado di farlo diventare un modo di vedere e di vivere.
 E' un concetto molto chiaro nei libri di uno scrittore italiano, Stefano Benni.
 Il famoso "Bar Sport" non è altro che una versione italiana e di provincia (attenzione, non provinciale) di quello che ci racconta Miranda July: lì c'è un piccolo bar, di un piccolo paese della bassa, dove si incontrano sempre le stesse persone. Eppure non è mai la stessa storia, una pastarella che nessuno compra diventa un personaggio, un vecchio dandy che va per vecchione nelle balere è Rodolfo Valentino, una gita a Bologna sembra l'evento del secolo. Sono tutti eventi plausibili, ma strambi, e, a mio parere, satira sociale a parte, non sono un semplice espediente letterario.
 Se riusciamo a non archiviare come molesta o sciocca o insensata quella dose di follia che alberga nella quotidianità, allora il gioco di Miranda July è fatto. Non si tratta solo di essere travolti dallo straordinario, ma di riuscire a vederlo in ogni momento. E forse, in generale, è anche un modo per essere un po' più felici o un po' meno tristi e annoiati, dopotutto.

sabato 19 marzo 2016

Come scelgo i libri da leggere? Il mio metodo personale nella selezione dei libri meritevoli di attenzione tra senso del potere, tasche piene, giretti in libreria, saggistica sempre buona e tuuuutti i miei no.

 Qualche settimana fa ormai, un lettore del blog ha fatto una domanda quanto fondamentale, quanto da me ingiustamente ignorata fino ad adesso: come scelgo i libri che leggo? 

Notava che, seppure stroncassi di tanto in tanto qualche libro, la media di quelli consigliati come buoni era decisamente superiore. Possibile che scelga sempre e solo libri che mi piacciano?  Oppure ometto per pietà quelli che non mi piacciono?

 Premetto che da quando leggo il blog sono riuscita a liberarmi del vizio terribile del dover finire un libro a tutti i costi. Non ho più molto tempo da perdere visti i ritmi, perciò prolungo la lettura fino a quando non è chiaro che no, non ce la posso fare. Una delle ultime vittime è stato "Shirley" di Charlotte Bronte, dove ho resistito fino a pag 180 prima di gettare la spugna. 
 Detto ciò, ho pensato fosse interessante scrivere un post in cui spiego il mio metodo di selezione bibliografica, e spero commentiate molto, perché sono curiosa di sapere i vostri!
 Bando alle ciance! Si va!

IL GIRO:
 Uno dei motivi per cui mi piace lavorare in libreria è che l'ho sempre collegata ad una certa sensazione inebriante di possibilità.  
La mia faccia in libreria quando ho denaro da spendere
 Essendo stata una lettrice vorace fin da piccola, per me, avere dei soldi da poter spendere a mio piacimento in libri è sempre stato il top della vita: non appena i miei nonni mi lasciavano una mancetta, non appena avevo pagato le tasse universitarie e potevo spendere un po' di soldi delle ripetizioni a mio piacimento, altro che vestiario (e infatti si vedeva da come andavo in giro)! Libri!!!
 Il mio sistema di scelta primigenio è perciò probabilmente collegato a quel meraviglioso e brevissimo momento che intercorreva tra l'avere i soldi in tasca e quindi poter scegliere un libro e il momento dell'acquisto, quando tutti gli altri desideri dovevano essere rimandati tra brucianti rimpianti e aneliti. Il segreto era girare per la libreria a oltranza, senza un'idea precisa, alla ricerca della trama che mi facesse scattare il tac nel cervello e la voglia di aprire il portafoglio. 
 Ho pochi autori cult che compro a prescindere e non ho fissazioni particolari su case editrici, collane, carta, traduttori, autori maschi e femmine, inoltre leggo moltissimi libri di "genere", fantascienza in primis. Quello che guardo davvero è la trama (tanto che mi accorgo del sesso dell'autore solo dopo parecchio che ho letto): se mi convince passo a leggere l'inizio e magari qualche spezzone campionato e se il libro passa l'esame lo prendo. Dopo anni e anni e anni di allenamento, fallisco assai raramente.
olè
 Quando questo accade posso assicurarvi che mi sale una rabbia e un'insofferenza talmente furiosa da rendere necessario il defenestramento istantaneo nel libro. Non chiedetemi perché, ma mi dà proprio fastidio averlo a casa (è l'idiozia lo so) perciò finché non l'ho regalato o portato in biblioteca a far del male al prossimo, quell'irritazione molesta non mi abbandona. A distanza di tre anni ancora provo un risentimento profondo verso un Newton della Nemirovski.
 Per quel che riguarda la biblioteca, il discorso è molto diverso, per due motivi.
 Il primo è che la biblioteca, oltre alla qualità del catalogo deve guardare alla quantità, (in compenso oltre al commercio deve guardare anche alla conservazione grazie a dio) e nella massa è molto più difficile capare dei libri di livello adeguato. Inoltre, non dovendo donare la mia pecunia ad alcun negozio, sono molto più disposta a rischiare, soprattutto per quel che riguarda la narrativa. Non è un caso se le mie più grandi cantonate degli ultimi anni provengano dai suoi scaffali, ma va bene anche così. Chi non risica non rosica.

NO CONSIGLI, SI' RECENSIONI:
 Per un bel po' di anni ci ho provato a farmi consigliare, soprattutto alle superiori ero assai propensa, ma poi. Anni di delusioni e di rarissime soddisfazioni (a mia memoria non ricordo un libro che mi hanno consigliato ad essermi piaciuto) mi hanno convinto di dover ringraziare per il pensiero, ma rifiutare con un sorriso. Ogni tanto ci riprovo, più che altro quando vengo messa alle strette, ma niet, non ho ancora trovato il mio consigliere di fiducia.
Certo, non tutti sono come me, altrimenti questo blog non avrebbe senso di esistere, ma personalmente fatico ad accettare consigli per due ordini di problemi:
1) Tra un libro consigliato e uno scelto da me, scelgo sempre il secondo, così i consigliati finisco per leggerli in condizioni di disperazione (non ho altro sottomano) e con mesi di ritardo.
2) La narrativa è un bacino talmente che profondo che, con l'eccezione dei classici, preferisco attingervi personalmente: la vita è breve, i libri da essere letti e scoperti tanti.
Su di me funzionano molto meglio le recensioni. Raramente una recensione può distogliermi dalla lettura di un libro che VOGLIO leggere, ma, devo ammettere, raramente mi trovo in disaccordo con una buona recensione.
 Accade molto più spesso che mi trovi in disaccordo con le analisi che si fanno dei libri in uscita. Quando mi capita di leggere spiegoni di due pagine sulle novità in libreria quasi sempre mi chiedo: ma che caspita sto leggendo?? Deve mancarmi una sorta di comunione psichica coi critici perché, ho spesso la sensazione che parlino per partito preso, dall'alto di qualcosa o con l'ansia di dimostrarmi quanto siano bravi. La critica letteraria non serve per far apparire cool o good il critico, ma per dare un'opinione, possibilmente sincera e senza fronzoli, se manca quella e spesso manca, per me, stiamo pettinando le bambole.

IL PROBLEMA SAGGISTICA:
 Se voi pensate che io legga tanto, sappiate che ho una collega che oltre a lavorare molto più di me, legge scatervate di libri di ogni argomento. La affascinano, per dire, dalla fisica alla psicologia e legge in modo vorace qualsiasi autore meglio se straniero meglio se il più straniero possibile.
 Non solo, se le mie intuizioni con la narrativa fanno cilecca diciamo tre volte su dieci, per quel che riguarda la saggistica non fallisco quasi mai.
Amo i saggi e su questi accetto assai volentieri consigli.
 Non è che sia più brava io, semplicemente il livello dei saggi è sempre mediamente più elevato della narrativa. Non è un caso se il valore di una casa editrice risulta immediato dal livello dei saggi che pubblica.
 Il problema, almeno per me, sorge nel momento in cui mi accorgo che ci sono interi settori che, con tutta la buona volontà non filo mai: la psicologia, per dire, mi interessa solo nel momento in cui si parla di qualche caso clinico particolare, ma a livello scientifico esercita su di me un fascino pari a zero.
 Idem l'etologia e intere branche della filosofia o della sociologia.
  Non capisco praticamente nulla di fisica e matematica, ma mi affascinano le storie dei fisici e dei matematici o la funzione degli studi scientifici nella storia, inoltre l'idea di avventurarmi in mondi di cui non so niente ha qualcosa di avventuroso. Ho insomma delle lacune gigantesche che sento di dover prima o poi colmare e lo farò. E' gustoso anche avere una wish list a cui attingere andando sul sicuro quando non si sa cosa leggere.

COSA NON LEGGO:
 Cinque o sei anni fa trovavo spesso quei libretti gratuiti dove ci sono i primi due capitoli dei libri in uscita. Un'idea carina che non ho capito se è caduta in disuso causa social imperanti o semplicemente è caduta in disuso vicino casa mia.
 Comunque, un pomeriggio estivo, vado in pausa pranzo e, sotto il sole, mi metto a leggere questo incipit giallo. Nell'arco di venti pagine avevo il mal di stomaco: un detective aveva trovato una scena del delitto in stile messa nera in cui i corpi di due persone erano stati fatti a pezzi (ricordo vari particolari sui loro intestini) e mescolati a quelli di alcuni ovini in modo da formare un pentacolo e non so che altro. Buttai il libretto, ma ormai il danno era fatto: l'immagine delle frattaglie si era ben fissata nella mia mente e non voleva andarsene.
 Allora,  io ho questo limite per cui non riesco né a vedere film violenti, né a leggere libri troppo violenti in modo gratuito. Perciò non leggo tutti quei libri in cui vengono descritte con dovizia di particolari splatter o tentativi di verismo estremo trame in cui la protagonista è una donna stuprata che tenta di riprendersi, in cui rapiscono gente random per rinchiuderla da qualche parte, in cui una setta ti circuisce togliendoti la dignità, in cui uccidono bambini ecc. 
(Gli horror sono ovviamente un'altra faccenda).
 Se la cosa ha un contesto che mi permette di superare il problema: è un libro con una cornice storica, un giallo in cui una descrizione del genere ha senso o una distopia, per dire, allora ce la posso fare. In tutti gli altri casi, passo. 
 Purtroppo ho l'angoscia molto facile al riguardo.
 Non leggo libri di religione.
 Non leggo, anche perché sull'argomento sono una capra ammaestrata, libri di musica.
 Non leggo, per pregiudizio lo so, ma c'ho poco tempo da perdere, libri di autori che in realtà sono personaggi famosi che hanno improvvisamente "scritto" un'imperdibile storia.
 Per il resto, se mi capita, leggo un po' di tutto, senza precludermi niente. Ovviamente se mi mettono davanti un romanzo giapponese e uno sudamericano, tenderò a scegliere il primo, ma tento di spizzicare tutto al grande buffet del libro.

 Ecco, questo è il mio metodo, che, a ben guardare, fidandosi unicamente su intuizione e gusti personali, non lo definirei manco tale, il vostro qual è? Sono curiosa! Testimoniate!

venerdì 18 marzo 2016

Cose realmente avvenute! Lo giuro! "Untitled".

Ed ecco la promessa vignetta bonus (dopo cena posterò il post del giorno) in occasione dei 6000 like su fb! 
 Ormai i clienti mettono le mani avanti, anche in modo improbabile.
 Cose realmente avvenute! Lo giuro! "Untitled"!


Cose realmente avvenute! Lo giuro! "Cartoline dall'inferno".

Cado dal sonno, ma sono riuscita a finire la vignetta del giorno. Si tratta di uno di quei gustosi strafalcioni di livello che illuminano le serate di lavoro. Intanto vi preannuncio che grazie ai laikatori di fb che hanno sfondato quota 6000 like domani oltre al post ci sarà anche una vignetta bonus!
 Bene, facciamo parlare le vignette: cose realmente avvenute! Lo giuro! "Cartoline dall'inferno"!


giovedì 17 marzo 2016

Lo scrittore che sembra aver viaggiato nel tempo: Samuel Butler in "Erewhon". Può un'utopia ottocentesca tecnofoba su un paese dalla morale curiosamente sovvertita essere lo specchio preciso dei nostri tempi? Tra delitti, ricchi, macchine astute, luddismo e crononauti fa paura dirlo ma: sì!

Una delle leggende più famose di internet è quella di John Titor, un sedicente crononauta che apparve su alcuni forum nell'anno 2000 asserendo di provenire dal 2036. 
 Il viaggiatore spaziotemporale diceva di essere giunto ai nostri tempi alla ricerca di un particolare modello IBM che avrebbe potuto risolvere una sorta di bug:
 "Io sono stato "inviato" per prendere un computer IBM denominato con la sigla 5100. È stato uno dei primi computer portatili prodotti e ha la capacità di leggere i più vecchi linguaggi di programmazione IBM in aggiunta a APL e Basic. Il sistema ci serve per "debuggare" vari programmi per computer nel 2036."

 Ovviamente, qualsiasi cosa significhi per i profani della programmazione come me.
  Il lato affascinante di questo personaggio fantascientifico è che rispondeva alle domande che gli venivano poste riguardo al futuro prossimo venturo. Egli fece una serie di predizioni alla Nostradamus, parlando di guerre civili americani, di una breve terza guerra mondiale nel 2015, ma anche di una prossima guerra in Iraq e della destabilizzazione del medio oriente. 
 Poi, un giorno, svanì (da notare che il suo andare avanti e indietro nel futuro usava il metodo di "Ritorno al futuro": macchina d'epoca lanciata verso l'eternità alla massima potenza). Ovviamente si sarà trattato di un affascinante troll con una bibliografia fantascientifica di tutto rispetto, però posso assicurarvi che leggendo "Erewhon" di Samuel Butler, vedrete la faccenda di Titor con occhi diversi.
 Perché questo denso piccolo libro che data 1872 è spaventoso nella precisione con cui parla di molti mali e ossessioni del nostro tempo.  In alcuni capitoli la sua preveggenza è tale da far sorgere il dubbio che il caro Butler sia stato una sorta di crononauta e che la mitica Erewhon (annagramma di Nowhere) non sia una terra utopica/distopica che si erge oltre enormi montagne nebbiose del nuovo mondo, ma un modo occulto per parlare di uno strano e incomprensibile, a occhi ottocenteschi, futuro.
 Pensate che stia farneticando o tentando di dare il là spettacoloso al post? Vediamo la trama.
 Il narratore è un giovane senza eccessiva arte né parte che lavora in una colonia inglese (quale non è dato sapere). Mentre lavora, anche a causa dei racconti di un bruttissimo indigeno, guarda con cupidigia le montagne circostanti, misteriose e inesplorate: è convinto che oltre le nebbie si celino terre che vale la pena di rivendicare, così un giorno parte.
  Il servo lo segue, ma poi di colpo lo abbandona terrorizzato e dopo una serie di peripezie giunge a "Erewhon", una terra rimasta isolata dal resto del mondo dove si è sviluppata una civiltà dagli usi e costumi alquanto peculiari. E questo è il punto, vediamo se capite qual è la differenza tra Swift e Butler.
 Gli abitanti di "Erewhon" sono tutti bellissimi (Butler per dire che sono splendidi continua a descriverli come magnifici italiani, grazie Samuel), in salute e relativamente giovani. Tra di loro non ci sono malati, disabili, persone eccessivamente anziane e il motivo è presto detto: ammalarsi o nascere cagionevole di salute a Erewhon è un vero e proprio reato.
Alcuni pensano che Erewhon, nell'immaginario di Butler, si
trovasse in Nuova Zelanda
 Chiunque si ammali viene processato e, in caso di conclamata e ostinata non guarigione, rinchiuso in galera (un tempo venivano giustiziati, ma poi sai...il buoncuore). 
 Altro motivo di reclusione è la povertà: i poveri sono considerati praticamente appestati, del resto di certo se un cittadino è povero ci sarà un motivo e di sicuro quel motivo è una colpa. Essere ricchi invece è un merito incredibile che scusa molte cose, truffe ladrocini compresi. Infatti chi è così stupido da farsi raggirare è colpevole, agli occhi della legge, anche più del raggiratore.
Del resto:
 "Quei potenti organismi che sono i nostri banchieri e i nostri industriali più importanti possono parlare coi i loro pari da un capo all'altro del paese nel giro di un secondo. Le anime ricche e sottili possono sfidare qualsiasi ostacolo materiale [...] Per il ricco la materia è immateriale, l'organizzazione perfezionata del suo sistema extracorporale ha liberato la sua anima. Questo è il segreto, questa è la vera ragione per cui i ricchi ricevono omaggi dai poveri;sarebbe  un errore  supporre che tale deferenza sia ispirata da motivi vergognosi; è il rispetto naturale per tutte le creature viventi hanno per gli esseri di cui riconoscono la superiorità".

 Inoltre in questo misterioso Erewhon non ci sono macchine perché durante una guerra civile avvenuta centinaia di anni prima, la popolazione, incitata da un pensatore che scrisse un fondamentale pamphlet "Il libro delle macchine", distrusse la tecnologia molto avanzata di cui erano in possesso e che stava rapidamente prendendo possesso dei loro lavori e delle loro vite.
 E' probabilmente il capitolo più famoso del libro, il più citato. 
 In principio credevo si trattasse di una satira luddista, ma in effetti i tre capitoli in cui Butler parla delle macchine sono piuttosto complicati e molto oscuri in alcuni punti come se lo scrittore volesse esprimere dei concetti che però non ha afferrato completamente (non sono rari i momenti in cui lo dice di dover saltare alcuni punti perché gli risultano incomprensibili). 
 Il concetto principale attorno a cui continua a ruotare è che l'uomo sta perfezionando così tanto le macchine che un giorno esse acquisiranno una sorta di coscienza e riusciranno persino a riprodursi, soppiantando l'uomo e rendendolo schiavo per poi eliminarlo al momento in cui sarà diventato completamente inutile. 
Cito solo uno dei pezzi, ma i capitoli andrebbero letti per intero perché sono piuttosto complessi da seguire:
 "La forza dell'abitudine è immensa, e il mutamento avverrà in modo così lento che l'uomo non sarà mai ferito troppo vivamente nel suo senso di dignità. La nostra schiavitù si avvicinerà senza rumore e a passi impercettibili; fra le aspirazioni dell'uomo e quelle delle macchine non ci sarà mai un conflitto aperto. Le macchine battaglieranno invece eternamente fra di loro e avranno sempre bisogno dell'uomo per mezzo del quale la loro lotta verrà condotta. Non vi è motivo, in realtà, di preoccuparsi per la felicità futura dell'uomo finché egli potrà essere di qualche utilità alle macchine. E quando diventerà  la razza inferiore, starà infinitamente meglio di adesso. Non è assurdo e irragionevole essere gelosi dei nostri benefattori? E non peccheremmo di completa follia se rifiutassimo i vantaggi che non possiamo ottenere altrimenti, solo perché di quei vantaggi altri profitteranno più di noi?"

 Ci sono poi due capitoli conclusivi sulle abitudini generali da leggere con moooolta attenzione. Il primo parla dell'introduzione della dieta vegana come unico regime alimentare, idea imposta da un profeta fervente animalista il quale:
 "Aveva molto tempo da perdere e, non contento di occuparsi dei diritti degli animali, volle anche fissare le regole del giusto e dell'ingiusto, esaminare i fondamenti del dovere, del bene e del male [...]La base su cui egli decise doversi unicamente fondare il dovere era tale, come è ovvio, da non lasciar posto a molti degli antichi usi del paese. Quegli usi, sostenevano erano tutti sbagliati: e non appena qualcuno si azzardava ad avere opinioni diverse, il vecchio signore si appellava al potere invisibile, con cui lui solo era in comunicazione diretta, e invariabilmente il potere invisibile gli dava ragione."

 Il secondo capitolo si concentra sui fruttariani! E questo senza aver parlato dei maestri dell'irragionevolezza, delle banche musicali (un modo satirico e sottile per parlare delle fissazioni beghine religiose di chi pensa di accumulare, tramite preghiere e opere di carità, bot per il paradiso, come se si potesse essere in credito con Dio), del reato di lutto e molto altro.
Il film da rivedere in proposito: la saga di "Ritorno al futuro"
 Non so, ovviamente se fossi una gombloddista penserei realmente che Samuel Butler è un crononauta o un rettiliano alieno malvagio. Siccome sono una persona razionale la penso come Peppino De Filippo sui fantasmi "Non è vero, ma ci credo".
 Perché ve lo giuro, dopo aver letto questo libro è come se molti pezzi di questo mondo incomprensibile fossero andati a posto: perché Trump sta vincendo le primarie repubblicane (perché non dovrebbe? E l'apice del sogno capitalista), perché ci si sta avviando verso il tecnobarocco, perché la povertà non è più motivo di vergogna per una società, ma solo per il singolo, il povero ecc. ecc.
 Non è che prima non le vedessi è solo che vige il "teorema dell'alieno": quando qualcuno di esterno ti mostra con stupore le tue contraddizioni, è solo allora che le metti a fuoco veramente.
 Da leggere e straleggere.

 Qualcuno lo ha già letto?? Avete avuto la mia stessa impressione o ho le allucinazioni? Commentate e confortatemi!

Ps. Non posso esimermi da un'ultima citazione che ci riguarda da vicino. Butler doveva avere un ideale estetico italiano visto che per definire la bellezza degli erewhoniani continua a dire che sembrano italiani bellissimi. Tuttavia aveva delle opinioni che purtroppo, vista l'odierna cronaca nera del nostro paese, sembrano ancora valide:

"Gli italiani poi, adoperano lo stesso termine per "delitto" e "sventura". Sentii una volta una signora italiana parlare di un suo giovane amico che, stando alle sue descrizioni, pareva dotato di ogni virtù possibile e immaginabile "Ma" esclamò "Povero disgraziato, ha ammazzato suo zio."Riferii a un amico questa frase, che avevo udito durante un viaggio in Italia fatto da ragazzo con mio padre ed egli non parve affatto sorpreso. Mi raccontò anzi che per un paio di anni, in una città italiana, aveva usato noleggiare sempre la carrozza di un cocchiere siciliano, un bel giovane che conquistava subito per i suoi modi simpatici. Un giorno però costui era scomparso. Il mio amico chiese sue notizie e apprese che si trovava in carcere perché aveva sparato al padre tentando di ucciderlo. Fortunatamente la cosa non aveva avuto serie conseguenze. Di lì a qualche anno il simpatico giovanotto riapparve e lo abbordò tutto espansivo.
"Ah caro signore", gli disse, "sono cinque anni che non la vedo: tre da militare e due di disgrazia".
I due di disgrazia erano quelli che il povero ragazzo aveva passato in carcere. Non mostrava il minimo scrupolo di coscienza. Padre e figlio andavano, ora, d'amore e d'accordo, e probabilmente così avrebbero continuato a fare per l'avvenire, a meno che uno dei due non capitasse la disgrazia di ferire mortalmente l'altro."

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...