Giulia Sagramola è un'assai quotata fumettista e illustratrice italiana di cui ho sempre sentito parlare senza però aver mai dato più di un'occhiata veloce alle sue opere. Non per un motivo specifico, ma tutto quello che mi capitava di sfogliare aveva su di me poco appeal.
Nell'ultimo numero di Linus che ha lasciato molto spazio alla famosa polemica lanciata dal collettivo di fumettiste donne che si battono contro il sessismo nel mondo del fumetto il Collectif de Créatices de Bande Dessinée in merito all'assenza di candidate donne al Gran Prix d'Angouleme (una sorta di premio alla carriera), c'era, tra gli articoli e fumetti sul tema del maschilismo nel mondo del fumetto, anche un suo intervento.
Le tavole proposte dalla Sagramola mostrano tre fumettiste seminude intente a dipingere leziosamente storie da donne: del resto a quanto pare è quello che ci si aspetta da fumettiste donne no? Storie "al femminile" disegnate in reggiseno rotolandosi vezzosamente sul pavimento.
Mah, mi è piaciuta l'impostazione della polemica, ma meno il messaggio di fondo della polemica.
Il maschilismo in tutti i settori, fumetto compreso, è una piaga ed è ovviamente pretestuoso e insopportabile sentire che le fumettiste donne scrivano per donne.
Il punto però è secondo me sottilmente anche un altro: ci sono fumettiste donne che scrivono storie che non sentono per un pubblico specifico, altre invece lo fanno pensando magari ad una corrispondenza da parti di lettrici donne.
Il problema è che quando gli autori uomini scrivono chiaramente pensando a uomini, le storie sono epiche, mitiche, magiche e una donna che si avventura in un mondo che si ritiene non suo ELEVA il proprio standard di lettrice.
Il problema è che quando gli autori uomini scrivono chiaramente pensando a uomini, le storie sono epiche, mitiche, magiche e una donna che si avventura in un mondo che si ritiene non suo ELEVA il proprio standard di lettrice.
Quando invece un lettore maschio si addentra nei meandri di storie dedicate a vite e problematiche più prettamente femminili c'è la sensazione strisciante che si stia ABBASSANDO.
Simbolo del Collettivo |
Questo è un altro problema che bisognerebbe sottolineare e che, a mio parere, non è né giusto né saggio affrontare col sistema: i lettori e i generi sono senza genere (io, lo ripeto sempre, leggo tutto e senza farci caso, ma non è che la mia sensibilità sia quella universale).
Comunque, chiusa la parentesi Linus, ho deciso di leggere la prima graphic novel (non autoprodotta) di Giulia Sagramola e "Incendi estivi" è stata una piacevole lettura.
La storia fa parte di quella tradizione di vicende ambientate nella provincia addormentata, un luogo spaventoso fatto di grettezza, moralismo, dicerie, poche opportunità e una grande voglia di fuga.
Le protagoniste sono due sorelle, Rachele e Sabrina, assai vicine d'età e, secondo me, sin troppo simili graficamente (ho fatto un po' fatica a seguire la distinzione soprattutto all'inizio).
Le due frequentano le scuole superiori nel loro paese, non hanno un ragazzo (ma non vuol dire che non ne frequentino) e devono vedersela col grande mostro dell'adolescenza: la reputazione.
Messaggini minatori, minacce, fotografie rubate, insulti velati, quella misoginia che nasce spesso nei ragazzi durante l'adolescenza (vi siete mai chiesti perché si lavora moltissimo sulla civiltà fino alle scuole elementari e poi si apre un gorgo nero di sessismo, razzismo, omofobia e quanto di peggio?) e il senso di superiorità che si impadronisce delle ragazze che riescono a seguire le regole sociali alla lettera.
Fortunatamente per me, non ho nessuno spiacevole ricordo in particolare delle superiori.
Non ho memoria di episodi di un qualche tipo di bullismo o di malelingue che abbiano reso la vita impossibile alle genti e allora mi pareva normale. Ora che sono cresciuta e probabilmente guardo i giovanissimi con l'occhio clinico e inquieto di chi non saprà mai cosa avviene davvero nel loro cervello o nelle loro stanze, mi accorgo che la vita avrebbe potuto essere ben più spaventosa.
Si ha sempre questa idea che l'adolescenza abbia il privilegio di essere un periodo particolarmente felice dal punto di vista creativo: puoi essere te stesso, puoi tingerti i capelli di blu, poi sederti per terra in stazione, puoi correre gridando per il treno facendoti odiare da tutti gli altri passeggeri.
In realtà, come probabilmente possiamo ricordare tutti o quasi, ciò che ho elencato appartiene ad un'apparenza che oblia chiaramente un fatto incontrovertibile: il periodo che va dalle scuole medie alle superiori sarà pure indimenticabile per le amicizie per la pelle, i primi amori e quella incomparabile dose di spensieratezza MA rimane comunque uno dei più conservatori della propria vita.
Mi sono spesso domandata perché sia così, immagino ci sia una specie di meccanismo di difesa che spinge a seguire delle regole non scritte alla lettera perché si vive un momento di rara instabilità emotiva (se siete invece dei pedagoghi che sanno la vera motivazione perdonate questo mio subdolo momento alla Crepet). Tutto è nuovo e invece di sperimentare, tendenzialmente si cerca di aggrapparsi a qualsiasi cosa dia una vaga certezza, pure una prigione.
Il risultato è che quando sei alle superiori sembra di vivere in una corte settecentesca dove una diceria può stroncare una carriera e la perdita dei favori di principi e regine può determinare o meno l'esclusione da un gruppo. E' quel magico periodo in cui una volta che ti è stato affidato un ruolo, lo sfigato, il nerd, il secchione, quello che fa ridere, la bonazza, la facilona, quella che non la dà, difficilmente si riesce a cambiarlo. Puoi fare quello che ti pare, ma il tuo destino per il momento è segnato.
Sulla base di questa maledizione sociale, un corretto comportamento è indispensabile per evitare pettegolezzi che possono renderti la vita impossibile: se qualcuno inizia ad additarti come gay o puttana (per le ragazze le regole da sostenere per dimostrare di essere una ragazza che non la dà troppo o troppo poco sono infinite) o vai a capire cosa è il momento buono che puoi scordarti di vivere in santa pace.
E questa sensazione di disagio la Sagramola la rende perfettamente: Rachele non riesce a vivere serenamente il primo amore perché teme il giudizio degli altri, sua sorella Sabrina si sente già etichettata perché forse si è lasciata troppo andare.
E questa sensazione di disagio la Sagramola la rende perfettamente: Rachele non riesce a vivere serenamente il primo amore perché teme il giudizio degli altri, sua sorella Sabrina si sente già etichettata perché forse si è lasciata troppo andare.
Le guardi e pensi: così giovani e così intrappolate. Non c'è quindi mai stato un periodo in cui siamo stati davvero liberi?
Non succede molto in "Incendi estivi" e francamente quel poco che succede davvero come la patente da prendere o gli incendi estivi causati da non si sa chi, sono davvero troppo metaforici. Se si vuole andare sulla similitudine col grande percorso interiore bisognerebbe essere un filino più raffinati.
Tuttavia cos'è quello che accade davvero, per mesi, quando siamo adolescenti? Niente. Assolutamente niente. Eppure il tempo, in confronto a quando diventiamo adulti, sembra scorrere lentissimo e i ricordi sembrano moltiplicati per mille.
Probabilmente era diversa l'intensità o l'importanza, la magia del vivere e la sua tristezza.
E soprattutto c'era quella speranza che invecchiando svanisce: l'idea che ci attende un futuro, da qualche parte, oltre gli incendi, le estati piene di malelingue, gli amici che di colpo ti odiano, le azioni che vorremmo non aver mai compiuto, gli amori che forse potremo un giorno recuperare.
Voi l'avete letto? Avete vissuto un'adolescenza di assoluto delirio e creatività e siete in totale disaccordo con me? Siete delle vittime della provincia addormentata e finalmente potete sfogarvi? Testimoniate!
In un articolo del post si trovano le prime pagine ----> Incendi estivi