Ora che la campagna elettorale è finita, ora che non sappiamo bene che governo ci aspetta, ma molti hanno votato a favore di partiti che promettono rimpatri, controllo dell'immigrazione e quant'altro, penso possa andar bene pubblicare questo post, che, in verità, volevo pubblicare negli sfortunati giorni in cui si sperò nello Ius Soli.
Voglio essere molto sincera: non penso che in Italia ci sia un dibattito sano per quel che riguarda l'immigrazione.
Il dibattito non è sano perché sembra si possano avere solo due tipi di posizione: il razzismo estremo e l'accoglienza senza se e senza ma assoluta.
Posizioni intermedie, anche solo di dibattito puro, anche solo per tentare di capire le sfumature o le ragioni o le non ragioni da cosa sono dettate, sono impossibili.
Non sono nemica di nessuno, ma ho abitato per un paio di anni in un quartiere periferico di Milano e penso farebbe molto bene a tutti per capire perché facciano breccia certe posizioni xenofobe.
Certe posizioni xenofobe fanno breccia per un motivo principale: la solitudine. Una solitudine che, se innestata in una situazione di difficoltà (e qui potremmo aprire un discorso sulle problematiche del capitalismo ma non basterebbero 10000 post) diventa ancora più profonda.
Non mi stancherò mai di dirlo.
Nel momento in cui si crea una situazione eccezionale, serve una risposta eccezionale, altrimenti le persone si sentono abbandonate, vedono cose che non capiscono ed è lì che casca l'asino.
Alcune persone, davanti all'incomprensione, fanno del loro meglio, altre per millemila motivi scelgono la soluzione più facile e soprattutto più strumentalizzabile da chi vuole usarti: sei diverso da me e ti odio.
Eppure basterebbe capire che quello che noi vediamo adesso e che facciamo fatica a comprendere, è già accaduto nella storia, e noi non eravamo dalla parte dei Noi, ma dalla parte degli altri da odiare.
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Minatori italiani in Belgio |
Non è successo neanche troppo tempo fa, ma emigravamo in masse disperate verso paesi che sembravano promettere meraviglie.
E lì eravamo discriminati, uccisi, condannati, ritenuti responsabili di ogni nefandezza e delitto e qualche volta lo eravamo anche (ovviamente faccio la tara a quel piccolo regalo che ci abbiamo tenuto a esportare nel mondo chiamato MAFIA).
Ho raccolto alcuni libri e un film su quella grande lacuna storica dell'emigrazione italiana.
Una vicenda storica che sembra essere sparita dalla nostra memoria in un lampo, ma quello, come diceva già Pasolini nei suoi "Scritti corsari" è un vecchio vizio dell'Italia che non ci è mai passata:
"Noi siamo un paese senza memoria. Il che equivale a dire senza storia.
L’Italia rimuove il suo passato prossimo, lo perde nell’oblio dell’etere televisivo, ne tiene solo i ricordi, i frammenti che potrebbero farle comodo per le sue contorsioni, per le sue conversioni.Ma l’Italia è un paese circolare, gattopardesco, in cui tutto cambia per restare com’è. In cui tutto scorre per non passare davvero.Se l’Italia avesse cura della sua storia, della sua memoria, si accorgerebbe che i regimi non nascono dal nulla, sono il portato di veleni antichi, di metastasi invincibili, imparerebbe che questo Paese è speciale nel vivere alla grande, ma con le pezze al culo, che i suoi vizi sono ciclici, si ripetono incarnati da uomini diversi con lo stesso cinismo, la medesima indifferenza per l’etica, con l’identica allergia alla coerenza, a una tensione morale."
Let's go!
"MACARONI!" di Thomas Campi e Vincent Zabus ed. Coconino:
La storia della massiccia emigrazione italiana in Belgio nel secondo dopoguerra rimane nella memoria collettiva per un'unica terribile tragedia: il disastro di Marcinelle.
In un incendio che si sviluppò all'interno di un condotto d'aria della miniera, morirono 262 operai, quasi tutti italiani.
Per il resto, più o meno, l'oblio.
Proprio per questo è molto interessante e molto straziante, questa graphic appena uscita, "Macaroni", in cui un padre preso da altre cose, porta il figlio per qualche tempo da suo nonno, un vecchietto italiano scorbutico che vive solo nella campagna belga coi suoi maiali.
Il ragazzino non conosce molto bene il nonno e all'inizio lo trova fastidioso e rozzo. Parla ancora con molti italianismi, è squassato da una terribile malattia ai polmoni e racconta sempre di quanto fosse bella l'Italia, di quanto gli manchi, lo costringe ad aiutarlo nell'orto e coi porcelli.
Poi pian piano, si instaura tra i due un rapporto d'affetto, nel quale in realtà il nonno non sembra cedere di un centimetro, ma il ragazzino inizia a capire perché è diventato così.
Era emigrato dopo la guerra dall'Italia al Belgio con l'enorme rimpianto di non essere stato assunto nelle ferrovie dello stato, costretto in tal modo a diventare minatore, a finire sotto terra, a respirare carbone, a non vedere mai la luce, a lavorare come una formica o uno schiavo.
In Italia dipingevano il Belgio come l'Eldorado, un posto bellissimo pieno di lavoro e ricchezza. Poi gli italiani arrivavano e finivano come topi in gabbia e sotto terra.
Ma è ancora un altro il rimpianto terribile che squassa questo anziano senza pace e che anni prima distrusse per sempre la sua famiglia. Un altro incubo fatto di treni, lettere non spedite e torti mai perdonati.
E' bellissima, l'unica pecca è forse la sottotrama con la classica ragazzina che diventa amica del ragazzino ma in realtà ne è innamorata ecc ecc Una roba rivistissima che onestamente non serviva alla storia.
Per ricordare cosa voleva dire quando eravamo noi a sperare nell'Eldorado.
"RIBELLI IN PARADISO" di Paul Avrich ed. Nova Delphi e "ALTRI DOVREBBERO AVER PAURA" di Sacco e Vanzetti ed. Nova Delphi:
Storia celeberrima che diede vita a un meraviglioso film di cui consiglierei la visione a TUTTI,
racconta l'incredibile storia d'ingiustizia di due anarchici italiani: Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti.
Sacco e Vanzetti si conobbero direttamente negli Stati Uniti, dove entrambi si trovavano da qualche anno, poiché frequentavano lo stesso gruppo di anarchici italo-americani.
Oltre al duro lavoro quotidiano, i due avevano una fervente attività politica e stavano proprio organizzando un comizio per protestare per la morte di un connazionale anarchico ingiustamente detenuto, quando vennero arrestati con l'accusa di omicidio.
Vennero infatti accusati di rapina e di aver ucciso, durante la stessa, due persone. Da subito l'accusa sembrò campata in aria e ci fu, durante il processo, anche un reo confesso, ma i due vennero condannati a morte.
Tuttavia l'intento politico del processo fu talmente evidente che ci fu una levata di scudi da parte dell'opinione pubblica che cercò, in ogni modo, di impedire la condanna.
A proposito di paure e incomprensioni, Sacco e Vanzetti rappresentavano due tipi di paure americane diverse e fuse insieme: la xenofobia e la paura del comunismo (sebbene i due fossero anarchici).
L'ultima lettera che Sacco scrisse al figlio viene citata nel film ed è bellissima.
" Ricordati anche di ciò figlio mio. Non dimenticarti giammai, Dante, ogni qualvolta nella vita sarai felice, di non essere egoista: dividi sempre le tue gioie con quelli più infelici, più poveri e più deboli di te e non essere mai sordo verso coloro che domandano soccorso.
Aiuta i perseguitati e le vittime perchè essi saranno i tuoi migliori amici, essi sono i compagni che lottano e cadono, come tuo padre e Bartolomeo lottarono e oggi cadono per aver reclamati felicità e libertà per tutte le povere cenciose folle del lavoro. In questa lotta per la vita tu troverai gioia e soddisfazione e sarai amato dai tuoi simili."
"VITA" di Melania Mazzucco ed. Einaudi:
Devo dire che non ho ricordi particolarmente sfolgoranti di questo libro che pure vinse il premio Strega, tuttavia penso sia tra i pochissimi romanzi italiani dedicati al tema dell'immigrazione italiana in America.
Vita è il nome della protagonista femminile che a 9 anni sbarca sola, assieme a un suo compaesano di ben 12 anni Diamante, a New York, dove li aspetta il padre di lei.
I due ovviamente si innamorano, ma la vita non va come si attendono e lui, ad un certo punto, torna in Italia, dove molti anni dopo lo ritroverà il figlio di lei.
La storia è quella, vera, del nonno della Mazzucco. Ha un qualcosa di epico per essere un romanzo italiano i quali in genere difettano parecchio di epicità.
Tuttavia non ne ho un ricordo così impressionante se non per due scene: quella in cui le dame caritatevoli ft servizi sociali traggono Vita dal sobborgo in cui vive ammassata con tutti i suoi parenti e fanno sì che abbia un'istruzione e una vita più regolare (la cosa avviene abbastanza sbrigativamente e con modi spicci, ma mi colpì perché eravamo noi gli immigrati da "rendere civili"), e quella in cui Diamante torna in Italia e attraversa il secolo.
Pensavo, se più gente fosse rimasta, come sarebbe andata? E' sempre una scelta sensata andarsene?
Ma più che ai nostri nonni e bisnonni che morivano di fame, il mio cervello andava a quel lavorio continuo di gente che dice "Vattene dall'Italia". Li ho sempre trovati fastidiosi, come ho sempre trovato fastidiosi quelli che piangono dall'estero sul triste stato dell'Italia.
Andarsene è comprensibile, anche rimanere e combattere dovrebbe esserlo.
"CORDA E SAPONE" di Patrizia Salvetti ed. Donzelli:
Forse è il saggio che meglio potrebbe turbare i sogni di chi si scaglia in modo violento e chiedendo metodi violenti contro l'immigrazione selvaggia.
Lo sapevate che, durante le grandi ondate migratorie italiane, gli Americani erano scossi da un grande interrogativo? E lo sapete qual era questo grande interrogativo?
Eccolo: gli italiani sono bianchi? O sono neri?
Questa penisola attaccata all'Europa, ma in fondo così vicina all'Africa, turbava i sogni di una società che incasellava (e incasella ancora) i cittadini per gradazioni di colore.
Quindi, la questione non era così oziosa, perché un conto era considerarli bianchi, ok, sottoproletari e incivili, ma bianchi, un conto era considerarli neri, seppur meno neri di altri.
Infine si decise di considerarli wop, una sottorazza dei wasp, bianchi ma non davvero bianchi, non davvero così civili, e comunque un disturbo da tollerare solo in ragione del fatto che potevano essere sottopagati qualsiasi lavoro facessero (lavori per i quali i lavoratori americani bianchi chiedevano altri trattamenti e altre paghe).
Ah, ovviamente, il tutto tollerandoli a malapena e dando ragione a chi diceva che insomma, ok, questi lavorano e li sfruttiamo, ma ci danno fastidio, quindi farsi partire l'embolo e linciarli ci sta.
Patrizia Salvetti ricostruisce le storie dei linciaggi degli immigrati italiani negli Stati Uniti e che potrebbe essere particolarmente calzante per il momento storico.
Codesti immigrati infatti erano in attesa di naturalizzazione, quindi non ancora cittadini americani, e formalmente sotto la giurisdizione del governo italiano che però non aveva, ovviamente, giurisdizione in America.
Presi in una trappola giuridica erano vittime di truffe, persecuzioni e linciaggi, il più violento dei quali vide la morte di 5 connazionali a Tallhula, vicino New Orleans e una crisi diplomatica, raccontati da Deaglio in un saggio "Storia vera e terribile tra Sicilia e America" ed. Sellerio.
Il medico del paese era disturbato dalla capra di una famiglia siciliana, ne nacque un alterco che finì in un linciaggio violento e feroce della popolazione che uccise e appese come carni da macello i 5 italiani.
Rimasero appesi, quale monito, alla stazione ferroviaria.
"LA SIGNORA DI SING SING" di Idanna Pucci, Editrice Fiorentina:
Era il 1895 e Maria Barbella, una giovane cucitrice lucana arrivata a New York due anni prima, uccideva, in una mattina d'aprile un suo connazionale, Domenico Cataldo.
Gli americani pensano quello che penserebbero molti italiani anche ora: una triste storia di degrado degenerata.
Maria Barbella viene processata, ma si tratta quasi di un processo farsa, lei non parla inglese e neanche l'interprete se la cava, gli avvocati ovviamente sono quelli che sono e tutto volge non al peggio, ma al peggissimo:
Maria è la prima donna condannata a morte sulla sedia elettrica e l'unica detenuta donna nel carcere di massima sicurezza di Sing Sing.
E' spacciata, ma il fato che finora non le è stato amico fa sì che una ricca americana, Cora Slocomb, sposata a un nobile friulano, abbia notizia delle sue sventure e decida di aiutarla.
Cora smuove mari e monti per far rivedere il processo e capire cosa ci fosse dietro quel delitto d'aprile.
Ebbene, Domenico Cataldo era quello che Camilleri chiamerebbe un fimminaro, una cosa che adesso, se le donne sono consenzienti e felici, un po' chissenefrega, ma all'epoca se avevi lo sfizio di mettere nei guai delle ragazze, le mettevi nei guai sul serio.
Perché se una ragazza si concedeva era marchiata a vita: o chi l'aveva avuta la sposava oppure l'ignominia si abbatteva su di lei (oltre ovviamente al fatto che nessuno l'avrebbe mai più sposata).
In più Maria si era concessa perché Domenico aveva promesso di sposarla, quando lui sapeva benissimo che non avrebbe potuto, avendo in realtà una famiglia in Italia.
La relazione era andata avanti un paio di anni, il padre aveva disconosciuto Maria e il matrimonio promesso non arrivava. L'onta finale fu quando Domenico le disse che solo un porco l'avrebbe sposata. E insomma finì come finì.
Per la cronaca Cora riuscì a salvarla e Maria, infine, si sposò.
"LA RAGAZZA CON LA PISTOLA" di Mario Monicelli:
Non è un libro, ma un film, ma strameritava di finire in questo post perché è un film di tale rara luminosa intelligenza e modernità che farlo vedere nelle scuole (peraltro mi sembra anche un film che non potrebbe in alcun modo essere accusato di traviare le giovani menti, anche se i genitori odierni sono molto fantasiosi al riguardo) può ancora sortire dei benefici effetti (anche farlo vedere ai vostri conoscenti razzisti).
La storia racconta la vicenda di Assunta Patanè, una giovane che vive in un paesello siciliano degli anni '60 che somiglia nei modi e nei costumi più o meno all'Arabia Saudita odierna (una versione light e poverissima diciamo).
Le donne da una parte, gli uomini dall'altra, un codice di comportamento complessissimo per dimostrare di essere illibate e costumate, onore come se piovesse.
Ella è segretamente innamorata di un bellimbusto Vincenzo Macaluso e un giorno viene rapita da alcuni suoi amici/scagnozzi perché la portino da lui (anche il corteggiamento è una faccenda complessa di giochi di potere, rapimenti e violenze).
Lei, dopo una sceneggiata degna di nota, viene infine prelevata. Passa la notte con lui, ma la mattina Vincenzo le rivela che in realtà voleva rapire e sposare sua cugina e per questo la lascia sola e svergognata e se ne parte per l'Inghilterra.
A quel punto Assunta, per preservare il suo onore, non essendoci uomini in famiglia, deve inseguirlo personalmente e ucciderlo. Parte così anche lei alla volta della terra d'Albione e l'impatto con la swinging London è una roba da manuale.
Se non volete far vedere il film basta solo quel pezzo: lei che parte dalla retrogradissima Italia per approdare nella modernissima Inghilterra, una cosa che adesso nel 2018 ci sembra impossibile.
Davvero eravamo così? Davvero eravamo noi una volta gli altri? Quelli che sembravano venuti dal posto più lontano e antiquato della terra? Un posto di delitti d'onore, donne illibate
e che dopo perdevano valore, vestiti neri?
Certo, la Sicilia non era l'Italia intera, ma è nell'Italia intera che esisteva il delitto d'onore, abrogato solo nel 1981, la violenza sessuale come reato contro la morale e non contro la persona, legge cambiata nel 1996 (!!!), è nel 1965 che Franca Viola, dopo essere stata rapita e violentata, rifiutò per prima il matrimonio ripatatore che assurdamente "estingueva il reato" (del resto chi non vorrebbe fare la moglie del proprio aguzzino per tutta la vita?).
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