lunedì 19 novembre 2018

Le recensioni parallele! "Romanzo esplicito" di Fumettibrutti e "Infinite wait" di Julia Wertz, ricordi di due giovinezze.

 Ora che finalmente sto riprendendo un ritmo normale dei post in qualche modo credo che riuscirò a smaltire la quantità di recensioni in coda (ormai lo ripeto da così tanto tempo che mi hanno citato questa frase pure nell'intervista fatta a Lucca da Mercury Comics).

 Per portarmi un po' avanti ecco a voi due recensioni parallele: due libri accomunati dal fatto di essere scritti entrambi da ggggiovani donne non convenzionali (ma non l'ho letto per quello, basti pensare che ho scoperto il sesso di Fumettibrutti dopo aver letto il fumetto, sì lo so non sono sempre un fulmine di guerra).

 Bando alle ciance che tanto queste intro scocciano e basta!

 Let's go!


"ROMANZO ESPLICITO" di Fumettibrutti (aka Josephine Jole Signorelli) ed. Feltrinelli:

 Probabilmente ero l'unica persona d'Italia a ignorare i fumetti sul web di Fumettibrutti (alla fine passo molto tempo su internet, ma sempre a rimestare su cose per il blog o libri) e sono perciò arrivata al suo libro d'esordio completamente scevra di qualsiasi precedente esperienza su di lei.

 Mi aveva incuriosito questo esordio, caso praticamente più unico che raro nella linea editoriale Feltrinelli che non lascia quasi mai spazio alle opere prime, nella nuova collana comics e, non so perché, presentivo un qualcosa in stile "Porci con le ali", indimenticato (ma forse troppo dimenticato) capolavoro dell'adolescenza come avventura e non come lotta.

 Ecco. Sì, più o meno.

 Che sia un esordio abbastanza forte, come asserisce la fascetta è un dato di cui bisogna dare atto: è un buon esordio e ha una sua buona dose di forza. Si vede che il libro non ha qualcosa di costruito, ma c'è una genuina sofferenza di fondo.

 Jospehine Jole Signorelli in arte Fumettibrutti non ha solo inventato, ha anche vissuto, ed è riuscita nell'impresa di trasmettere in qualche modo questa vita attraverso un tratto anch'esso brutale, feroce, essenziale e quasi cattivo, come se avesse poco tempo, ma tantissima voglia di riversare tutto su carta.

 Il punto è proprio il poco tempo.

La storia sembra correre correre correre correre verso una direzione, ma come diceva Guccini, qual sia e che senso abbia chi lo sa. Sembra, dopo un incredibile climax ascendente che pam, il libro finisca di botto, come a metà.

 Non che ci dovesse essere una morale o una parabola di un personaggio che magari parabola giustamente non ne ha e non ne vuole avere, però c'è un senso d'incompiuto che stona con la forza, molto grande e molto decisa, che la storia possiede.

 E' un po' la stessa cosa che anni fa pensai di "Accabadora" della Murgia. Grande intuizione, bei personaggi, finisce quando sembra appena cominciata: perché?

 Fumettibrutti ha avuto poco tempo per dedicarcisi? Aveva intuito la forza della storia e ha temuto le scoppiasse tra le mani quindi per tenerla a freno l'ha terminata brutalmente? Non sapeva esattamente cosa farne? La seconda parte sarebbe parsa banale? Boh.

 La trama non è complessa. E' la storia di una ragazza (non so quanta autobiografia ci sia, mi pare di capire tanta, ma boh, non importa) che, trasferitasi a Bologna dalla Sicilia per fare l'università, si ritrova in poco tempo in un giro di droga e non si capisce esattamente quale forma di prostituzione, tutto a causa di un non specificato debito.

 Mentre corre attraverso crisi e umiliazioni assortite, pensa intensamente al suo primo amore di cui era follemente innamorata e che l'ha lasciata frantumandole il cuore. In parte, lei crede, la sua fragilità generale deriva da quel trauma primigenio.

 I ricordi si incollano tra loro, il sentimento resta quasi come un parassita sul cuore succhiando linfa vitale e futuro.
 Dove sei? Si chiede continuamente lei di mezzo pubblico in scopata occasionale. Perché non vieni a prendermi?

 E sembra non rendersi mai conto che la vita va avanti, è solo il tempo dentro di lei che è assolutamente, irrimediabilmente fermo.

 E anche il libro che parte per percuoterti come una mazza fiondata dall'alto sembra di colpo fermarsi a metà lasciando il lettore perplesso.

 C'era forse un nodo da sciogliere, anche in modo violento, in questa trama che però rimane sospesa, come se davvero il tempo potesse fermarsi a 18 anni e non si dovesse mai più, per nessun motivo, fare davvero i conti col resto.


 THE INFINITE WAIT di Julia Wertz ed. Eris:

 Avevo scoperto Julia Wertz l'anno scorso con "Drinking at the movies", la sua graphic autobiografica in cui descriveva il suo primo difficile anno a New York, una città in cui acclimatarsi è straordinario, ma difficile. Il classico posto che "Ehi baby stai attento a non farti mangiare!".

 Lei baby ce l'aveva fatta dopo aver cambiato una quantità spaventosa di lavori, svariati appartamenti e aver ingurgitato litri e litri di alcol che l'avrebbero poi spedita direttamente in rehab.

 Rimaneva però un grande non detto che, di tanto in tanto, emergeva in alcuni dei suoi taglienti episodi: la sua vita prima di New York e ancor prima, la sua vita prima di San Francisco, la città amata e lasciata per andare alla volta della grande mela.

 Julia Wertz, che se googlerete è una ragazza all'apparenza tenera, con grandi occhi verdi, piccola e coccolosa, in realtà leggendo i suoi fumetti scoprirete che si esprime come uno scaricatore di porto, viene da una famiglia che, dopo l'abbandono del padre, ha vissuto grazie al sussidio, ha il lupus (qualcuno effettivamente ne è afflitto anche fuori dottor House), nessuna fiducia negli altri, un carattere a dir poco irritabile e una famiglia scombinata.

 In questo libro, idealmente precedente a "Drinking at the movies", Julia ci racconta della sua adolescenza, passata a studiare per ottenere borse di studio e a lavorare come cameriera e baby sitter per aiutare a casa.

 Gli episodi, che portano poi al momento in cui scoprirà di avere il lupus, sono divertenti e pungenti, ma continuano a ostentare un po' punto problematico per un racconto autobiogragico: la Wertz si ostina a non voler raccontare COSA ha causato tutta la situazione.

 Sappiamo che i suoi genitori hanno divorziato, che suo padre era un pastore diventato poi uno di quei repubblicani spaventosi che girano con 23243 armi, si esprimono con un concentrato di parolacce machiste e girano vestiti come cowboy texani (per me il simbolo dell'assoluta decadenza del sogno americano).

 Tuttavia la Wertz ci racconta le conseguenze del gesto e mai il gesto. Intendiamoci, non è che una voglia farsi per forza i fatti suoi, ma la storia ne soffre, come se avesse delle lacune.

 Tutto, nonostante gli spunti in giro, manca di una sorta di contorno che spieghi e giustifichi il tutto.

 Commovente che, come Matisse, lei abbia scoperto i fumetti in un lungo e tedioso periodo di convalescenza, emozionante il racconto del suo viaggio verso il suo primo ragazzo, ma questo non è, come lei premette, "Un racconto sul lupus".

  E' un racconto sulla sua vita che, al contrario del libro precedente non ha un filo abbastanza robusto a sostenerlo.
 A me è piaciuto perché amo proprio il suo tipo d'umorismo e come muove il racconto (ho già detto l'altra volta che se mai dovessi cimentarmi in una graphic vorrei farne una esattamente così), ma si può fare di più.
 A questo punto aspetto la traduzione del suo pluricitato "Fart party".

1 commento:

  1. ha il lupus (qualcuno effettivamente ne è afflitto anche fuori dottor House)

    Conosco, in real life, ben due diverse persone affette da lupus. Entrambe più o meno della mia età, entrambe mie concittadine. Se devo credere nella legge della probabilità, mi sa che sia una cosa meno rara di quanto pensiamo...

    RispondiElimina

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