L’esperienza
della lettura è talmente complessa e sfaccettata che anche dopo anni
dà la possibilità di provare nuove emozioni. Ad esempio non mi era mai capitato, fino a pochi giorni fa, di essere in ansia per il futuro di un autore.
Mi
è successo con “Lettere a me stessa” di Kabi Nagata, una sorta
di memoir a fumetti, scritto in forma di lettere che l’autrice
scrive alla sé stessa del futuro.
Ero
davvero entusiasta (so che suona come “sono veramente euforico”,
scusate) di leggerlo dopo il bellissimo “La mia prima volta”, nel
quale la Nagata raccontava la sua prima esperienza sessuale avuta con
una escort lesbica.
Detta così sembra una cosa gigatorbida (so che
accostare le parole lesbica ed escort in troppi cervelli è fatale ed
è sintomo di qualcosa di incredibilmente perverso, ma la realtà,
miei cari, è ben diversa da un porno), in realtà a Nagata aveva
deciso di far ricorso a questo espediente come extrema ratio.
Sostanzialmente, ci racconta, fino alla fine delle superiori la sua vita sembrava, tutto sommato, abbastanza normale. Brava
studentessa, con specifici interessi e tanti amici, poi con
l’università l’inizio dei problemi.
La mancanza di punti di
riferimento e di una solida struttura che garantisse una precisa
scansione del tempo giornaliero e il contatto forzato (e bramato) con coetanei,
precipita l’autrice in una spirale di incertezza, ansia e infine
vera e propria depressione.
Lascia l’università, inizia alcuni
lavoretti part-time e l'insostenibile pressione sociale che la travolge viene aggravata
dai genitori che non prendono sul serio il suo disagio, ma pensano
che caricarla di aspettative e lanciarle frecciatine sia un modo per
stimolarla.
Ad
un certo punto, dopo alcuni terribili anni nei quali ha cercato in ogni modo di riemergere dalla disperazione, Kabi Nagata prende una decisione:
non ha mai avuto nessuna esperienza né di tipo sentimentale né,
ovviamente sessuale.
Pensa che questo sia uno dei veri ostacoli alla
vita normale alla quale tanto agogna e così prende il coraggio a due
mani e prenota una escort.
Io
devo dire che seguivo il suo malessere benissimo. Capivo tutto, a partire dallo spaesamento fortissimo dopo
le superiori.
In molti provano un lungo periodo di spaesamento e
anche di tristezza durante i primi mesi o anche anni universitari:
hai fatto di tutto per adattarti alla vita scolastica per anni e,
quando finalmente ci sguazzi come un pesce nel suo oceano, ecco che
vieni bruscamente spostato in un habitat completamente diverso.
L’università è maggiore indipendenza, nuove conoscenze, più
responsabilità.
Intendiamoci, tutte cose belle che iniziano a
prepararti alla vita vera (quando leggo di universitari che si
lamentano della poca meritocrazia durante gli esami provo sempre un
moto di tenerezza, per la serie “non sai cosa ti aspetta caro
mio”), ma per alcuni possono essere davvero una seria e insostenibile fonte di disagio.
Per
Kabi Nagata è stato così, o almeno è quello che si evince dal suo
primo libro che, infine, termina con una nota di speranza che lascia
al lettore la sensazione che tutto stia andando al suo posto e presto
avremo il giusto lieto fine che rassicurerà tutti quanti.
E
qui veniamo a “Lettere a me stessa” che, nell’originale, se ho
ben capito, era diviso in due volumi e, infatti, consta di due
epiloghi, uno a metà libro e uno alla fine.
"Lettere a me stessa" di Kabi Nagata ed. JPop |
Come scrive, il sesso è comunicazione, e lei è
totalmente chiusa in sé stessa: deve prima imparare a comunicare per
poter intessere un dialogo di corpi così intimo.
Tuttavia, dopo anni
passati a vaneggiare di voler diventare una mangaka, ha finalmente
deciso di raccontare la sua storia riscuotendo un enorme successo che
le ha dato abbastanza una tale indipendenza economica da poter decidere di
andare via di casa.
Ovviamente
non è così semplice, si intuisce che i 10 lunghi anni di
depressione che ha attraversato hanno lasciato dei segni pesantissimi
ed è davvero molto fragile.
Così da lettrice ho iniziato a provare
questa inedita sensazione: ero in ansia per l’autrice.
Voltavo
le pagine e mi dicevo: dai Kabi, vedi che sta andando tutto per il
meglio? Questa è davvero la volta buona!
Invece,
per ogni passo in avanti ce n’era uno indietro. La mazzata per il
lettore arriva dopo il primo epilogo.
Tu stai lì che l’hai vista
finalmente andare a vivere sola, iniziare a tenere un po’ testa ai
suoi genitori, persino uscire con una ragazza e baciarla quando
braaaaaaaaam tutto collassa.
Nella
seconda parte ha un crollo totale e inaspettato che si ripercuote sullo stesso tratto del disegno, ridotto completamente all'essenziale, a tratti tremante e ancor più stilizzato.
Impossibile non essere investiti dal crollo emotivo, tanto che, scrive, molti lettori, colti alla sprovvista,
hanno dato recensioni negative delle nuove lettere (che, in originale, venivano rilasciate man mano). Ma lei, si dice, non può cambiare la
storia della sua vita solo per far loro piacere.
Ed
è qui che si svela tutto l’inganno tra lettore e autore in quei
libri, complicati da gestire, che sono i memoir.
Mentre
per l’autore la corrispondenza tra vita e scrittura è spesso (non
sempre perché in molti casi viene inserito un elemento di
romanzamento) identica, per il lettore il passaggio non è invece
così immediato.
La sensazione predominante è quella di leggere
sempre e comunque una storia che rispetterà i canoni della finzione.
Per
questo motivo la seconda parte del libro coglie alla sprovvista il
lettore. Abituati, da manuale, a seguire un viaggio dell’eroe
codificato in un modo assai preciso, eravamo convintissimi di
trovarci nella parabola discendente: il peggio è passato,
l’esperienza un po’ borderline con la escort le ha dato il giusto
slancio per risolvere i suoi numerosi problemi e tutto sta andando al
suo posto.
Ma,
come cantavano saggiamente gli Articolo 31, la vita non è un film e neanche un
romanzo.
Così, per Kabi Nagata, la parabola che stava scendendo
risale improvvisamente, inaspettatamente, senza, sembra, neanche un
fattore particolarmente scatenante.
Ed è a quel punto che il lettore
(e da quello che si evince, anche i genitori della protagonista)
capisce finalmente quanto abissalmente profondo sia il disagio che ha soverchiato Kabi Nagata cercando con tutte le
sue forze di rimanere a galla.
Veniamo
spiazzati perché vediamo minare le nostre certezze: andrà tutto
bene, si risolverà tutto, il tempo guarisce ogni cosa.
Sono formule
magiche ci ripetiamo, giustamente, tutti i giorni per superare
momenti che appaiono difficili o imperscrutabili. Abbiamo bisogno di
credere che andrà tutto bene perché altrimenti rischieremmo di
rimanere immobili.
Poi
leggi storie come quelle di Kabi Nagata e rimani spiazzato e rimani
in ansia, per lei, ma anche per te.
Perché sai che se lei non
risolverà i suoi problemi, se la storia non avrà un lieto fine,
allora l’incantesimo avrà subito una bordata di difficile
contenimento.
Intendiamoci, accade anche nella vita di incontrare
persone perse e sperdute, ma quante volte decidiamo di distogliere
gli occhi o quante rischiamo di arrabbiarci perché, nonostante tutti
i nostri sforzi, proprio non ne vogliono sapere di essere
“aggiustate”?
Ma
la vita, che pure, ripeto, ha bisogno di quelle formule magiche per
vivere, è spesso devastante e ingiusta e Kabi Nagata, con un’onestà
cristallina, una lucidità davvero notevole, continua a ricordarcelo,
pur persa nei suoi fiumi di lacrime.
Le
cose andranno meglio per lei? A giudicare dalla copertina del suo
terzo libro, almeno al momento sembra di no, ma noi lettori non possiamo far altro che
crederci e mandarle i nostri migliori auguri perché essere gentili
di certo non basterà, ma non potrà mai neanche farle del male.
Vi lascio, bonus track, "Non è un film" degli Articolo 31 che mi frulla in testa da quando ho iniziato a pensare a questo post!
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