Già
da bambina la detestavo, trovavo inquietante l’idea di un bambino
che immagina di essere la mamma di un altro bambino e, per quanto
l’età adulta mi abbia rassicurato al riguardo su più fronti
(l’emulazione delle figure di riferimento blabla) continuo a non
trovare appassionante l’esistenza dell’oggetto transazionale per
eccellenza.
Di
solito le bambole sono protagoniste di due tipi di storia: quelle per
bambini e quelle horror. La cosa, da un certo punto di vista, mi
rassicura perché io nelle bambole ho sempre visto un lato
assolutamente inquietante e sapere di non essere la sola mi fa
sentire meno strana.
Mi
spiace, ma l’idea di un giocattolo che riproduca un essere umano,
per giunta in piccolo, per giunto necessitante di cure da un altro
essere che neanche sa badare a se stesso, mi era misteriosa e
fastidiosa già all’asilo.
Non solo non capivo cosa ci fosse di
attraente nell’imitare passeggini e pose materne, ma oscuramente lo
avvertivo come sospetto. Cosa voleva quell’essere inanimato da me?
Perché dovevo nutrirlo e portarlo in giro se, per giunta, non si
degnava neanche di dare segni di vita?
Non
andava meglio con le Barbie che, ovviamente, mi regalavano. Mi
sforzai una volta di cucire un vestito da sposa (perché mia madre
amava cucire e pensava che dovessi amarlo anche io) e fu divertente
il processo in sé della costruzione dell’abito, ma una volta e mai
più e della Barbie anche chissene.
Raggiunsi il culmine quando
tagliai le trecce perfette di una similbarbie per vedere come stava
con un altro taglio. Sgridata epocale, ma almeno la facemmo finita di
fingere che mi piacesse quella roba.
Tuttavia più di altri giocattoli è evidente che tali sentimenti possano essere suscitati solo da un giocattolo dal complesso significato simbolico e dal lontano passato.
Tale complessità, che cambia radicalmente anche a seconda della cultura di riferimento, si
evince da questa bella raccolta di racconti di Tsuhara Yasumi.
Il
filo conduttore delle storie è il negozio per la riparazione di
bambole che la protagonista, Mio, ha ereditato dal nonno che è
andato beatamente a godersi la pensione in Nuova Zelanda.
Lei, che ha
passato i 30 anni e quindi in Giappone è ormai merce vecchia per il
matrimonio, (cosa che non fanno altro che ripeterle lanciandole
frecciatine che in Italia finirebbero nel sangue), è stata appena
licenziata da un’agenzia pubblicitaria e così decide di lanciarsi
nell’impresa.
Assume quindi un giovane riparatore avvenente che fa
strage tra le liceali pronte a sborsare cifre ingenti per gli orsetti
usciti dalle sue sante mani e un mysterioso uomo di mezza età dalla
grandissima esperienza e il passato oscuro.
Devo
dire che le premesse per un manga in pieno stile Clamp (mi ricordava
in principio molto Lawful Drugstore che le disgraziate Clamp non
hanno mai terminato, maledette loro) c’erano tutte e un po’ mi
spiace che l’autore, che pure viene dal genere horror, non abbia
forzato la mano.
Tuttavia
è notevole l’esercizio di stile dei racconti, come Tsuhara Yasumi si fosse imposto (cosa che non escludo potrebbe aver fatto) di scrivere una novella per ogni genere letterario: horror, giallo, erotico, colto,
slice of life ecc.
Traspare
dai racconti l’incredibile cultura che i giapponesi hanno in
materia di bambole e che, probabilmente, ha determinato l’attuale
importanza di un altro tipo di bambole a uso erotico o di semplice
“compagnia” (ho scoperto l’esistenza delle dutch wife, sorta di
raffinatissime bambole a uso sessuale dal nome peculiare).
Questo mi
ha riportato ad altre storie delle Clamp, soprattutto “Chobits”,
che vede protagonista una tipologia di bambola che rappresenta un po’
l’ideale dell’uomo giapponese: la ragazza giovane, dolce, pura e
incontaminata (al punto che per un particolare di fabbricazione inquietante voluto da suo “padre” non può fare sesso senza
resettare la propria memoria).
In questo mondo del futuro ci sono
anche delle vere e proprie forme di unioni tra esseri umani e bambole
prefabbricate. Ovviamente non è l’unico fumetto del panorama manga
in cui una bambola umanoide incarna i desideri di perfezione dei
personaggi, perciò immagino che sia qualcosa di ricorrente
nell’immaginario giapponese.
Una
raccolta originale, ben fatta, che riesce in pieno nella sua
variazione sul tema abusato del “giovane ad un punto morto della
sua vita eredita negozietto da parente anziano o defunto”.
Al punto
che mi piacerebbe tantissimo ci fosse un seguito (magari qualcuno che
legge in lingua originale mi sa dare lumi in merito).
Credo
che potenzialmente gli spunti siano infiniti e tutti i personaggi
meriterebbero di avere un destino compiuto (anche se i lettori di
manga sapranno benissimo che l’idea di un finale chiuso sembra
proprio fare orrore agli autori giapponesi).
In
ogni caso, lettori amanti del Giappone, è un libro tutto da leggere!
Perfetto per le serate estive, tra una fetta d’anguria e un po’
di umeshu venduto a peso d’oro nei negozi di alimentari orientali.
Ps. Un caso da manuale sul confine un po' labile tra infanzia, orrore e bambole, si può trovare nel bellissimo "Vita segreta della bambola solitaria" di Jean Nathan, la biografia della fotografa e scrittrice Dare Wright, poco conosciuta in Italia, famosissima anni fa negli Usa per la serie dedicata alle avventure di una bambola (bambola di proprietà della stessa Wright in un gioco di specchi e di rapporto strettissimo con la madre).
Non posso aiutarti con informazioni su eventuali seguiti del libro, ma posso aiutarti con le Clamp, visto che ho letto quasi tutto ciò che hanno fatto.
RispondiEliminaPochi anni fa, è stato pubblicato, anche in Italia, il seguito di Lawful Drugstore, sempre per la Star Comics: si intitola Drug & Drop e per ora, ahimè, sono solo due volumi (le ragazze stanno prendendo la cattiva abitudine di iniziare e mollare i propri lavori come capita, riprendendoli quando pare e piace a loro).
Vengono rivelate alcune cose sul passato dei protagonisti e sulle misteriose donne a cui sono legati (ogni tanto si intravvedevano in ricordi e "impressioni psicometriche").
Inoltre, viene rivelato molto sul gestore del negozio e sul suo amante, l'energumeno pseudo-yakuza e dormiglione.
Ma soprattutto, con un colpo di reni e di retrocontinuità, hanno inserito elementi inequivocabili che mostrano come il mondo di Lawful Drugstore sia lo stesso di Wish, un loro vecchio manga di modesto successo, a tema angeli innamorati di diavoli o di esseri umani.
Dallo scorso decennio, le Clamp hanno iniziato un lavoro di riorganizzazione delle loro proprietà intellettuali in un multiverso: con le due serie gemelle, XXX-Holic (altra storia a tema "negozio speciale", ma molto differente da Lawful Drugstore) e Tsubasa Reservoir Chronicle, hanno iniziato a stringere connessioni tra le loro opere, inserendone alcune nello stesso canone e reinterpretandone altre in un tema tipico del multiverso, quello dei personaggi che ricorrono, vivendo vite diverse, in varie realtà.
Leggendo le diverse storie, posso dire con certezza che Wish, Lawful Drugstor, XXX-Holic e Kobato (oltre al mediocre Mi piaci perché mi piaci) appartengono allo stesso pianeta Terra.
Riguardo ad altre opere ambientate nel Giappone moderno o futuristico (Card Captor Sakura, Chobits, X-1999 e Angelic Layer) mi sento di avere dei dubbi, tante cose non tornerebbero.
Ma posso dirti che Chobits e Angelic Layer fanno parte dello stesso mondo (alcune vignette di Chobits lo rivelano).
Cercherò "Drug and drop" anche se non sopporto la mania di iniziare le cose e non finirle. A mio parere il loro capolavoro rimane "Tokyo Babylon", leggevo X-1999 solo per sapere se alla fine Subaru e Seishiro si sarebbero messi insieme (peraltro ogni volta che sento genitori preoccupati da "Ommioddio cosa legge mio figlio??" penso a quello che leggevo io all'epoca e ridimensiono tutto)
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