mercoledì 1 maggio 2019

La trappola delle vite immaginarie. "Vita segreta della bambola solitaria", Dare Wright e l'abisso di solitudine che separa la realtà dalla finzione.

Pochi film hanno fatto più danni all'immaginario collettivo quanto "Il favoloso mondo di Amélie".

 Non tanto per il film in sé, grazioso, sognante, con una sua estetica accattivante, quanto per aver convinto molte persone che sì, la vita può essere davvero favolosa se solo tu sai coglierne il lato magico.

 Tu non lo cogli perché la vita non è (solo) favolosa e ti chiedi dove stai sbagliando nonostante il tuo tagliar frangette, portare nani da giardino in giro per il mondo e i tentativi di concupiscenza di personaggi bordeline.

 Personalmente sempre pensato che l'Amélie protagonista fosse una persona che un tempo si sarebbe definita "semplice di spirito", che riusciva però a piegare la realtà a suo piacimento, complice un contesto estremamente protetto.

 I vicini sono gentili, i piccoli commercianti anche, i colleghi, tutti si affannano per non distruggere quello che è un mondo favoloso nel senso di favolistico dove gli uccelli cinguettano, i passeri svolacchiano, le mele sono deliziose, la musica meravigliosa e i colori straordinariamente vividi.

 Intendiamoci, non penso che cercare di trasformare la propria quotidianità in qualcosa di piacevole, di piegarla ai nostri desideri, sia malvagio, dico solo che, al contempo, bisogna essere realistici, altrimenti il muro in faccia che fatalmente incontreremo non ci lascerà scampo alcuno.

 Non siamo Amélie e forse neanche Amélie è completamente in se stessa.

 E' più o meno su questa mancanza di percezione della realtà che Dare Wright, una misteriosa e celebre scrittrice e fotografa di libri per bambini, ha costruito la sua vita e la sua carriera, splendidamente raccontate in una biografia appena uscita per la E/O "Vita segreta della bambola solitaria" di Jean Nathan.

 L'autrice, una  giornalista, ricorda un giorno un curioso libro che aveva letto da bambina: "Vita segreta della bambola solitaria" che aveva per protagonista una splendida bambola, molto sola, che riceveva la visita di due orsi, papà e figlio, che decidevano di rimanere per sempre con lei.

 La storia che procedeva più o meno come un fotoromanzo, divenne famosissima e diventò una serie di venti libri, attualmente introvabili (in Italia alcuni li tradusse la Bompiani).

 La Nathan scoprì che dell'autrice, l'enigmatica fotografa e modella di origine canadese Dare Wright, non si sapeva quasi nulla.

  La rintracciò, incosciente, in una clinica e iniziò, con l'aiuto dei suoi numerosi amici, a ricostruire quella che si rivelò una strana, fragile esistenza che ebbe un'unica grande gioia e un'unica grande tragedia: sua madre Edith.

 Edith Stevenson era una quotata ritrattista canadese che sposò assai giovane un giornalista di belle e non mantenute speranze. Ebbero due figli, un maschio, Blaine, e una femmina, Dare, per poi divorziare.

 Blaine andò a vivere col padre che si risposò e morì giovane e Dare rimase con sua madre.
 I due fratelli non si rividero per vent'anni, fino a quando Dare non lo rintracciò e i due divennero attaccatissimi.

 Se Blaine ebbe una vita non comodissima, ma tutto sommato abbastanza normale, Dare divenne la bambola della madre, una di quelle persone bramose di costruire a costo di grandi sforzi, molta menzogna e molte manipolazioni, una realtà costruita da lei stessa.

 Grazie al suo lavoro riuscì a inserirsi nell'alta società e si costruì una parvenza di vita e un'immagine sociale che corrispondeva ai suoi più strenui desideri: artista famosa con figlia graziosa, entrambe perfettamente curate e vestite, viaggi, interviste, nessun nuovo amore a intralciarle l'esistenza all'orizzonte.

 Edith era in grado di manipolare la sua esistenza in modo tale da farla somigliare al suo ideale. E' una cosa che richiede una grande forza, molta fortuna e una certa dose di talento.

Aveva tutto, le serviva solo qualcuno che la aiutasse a tenere in piedi questo grande teatro dell'esistenza.

 Non volendo un nuovo marito, dopo che il primo si era rivelato un totale fallimento, scelse sua figlia, una bambina, poi ragazza, poi donna, docile, timida, molto schiva e bellissima.

 Riuscì a renderla dipendente da lei al punto che Dare, nonostante un matrimonio ormai annunciato, rinunciò per non abbandonarla, non ebbe mai altri amori e, sembra, mai amanti.
 Passò con lei ogni estate, qualsiasi momento libero, ne fece la sua confidente, aiutante, migliore amica, compagna irrinunciabile.

 Eppure qualcosa dentro Dare doveva covare, come un fuoco sotto una cenere troppo spessa, una solitudine che suo fratello e i molti buoni amici che ebbe, non riuscirono mai a riempire, tanta era la distanza che sua madre metteva tra lei e il resto del mondo.

 Riuscì a raccontarlo nei libri per ragazzi che iniziò a pubblicare in modo del tutto casuale: la protagonista era Edith (sì aveva dato alla bambola il nome di sua mamma), una meravigliosa bambola che sua madre le aveva comprato da bambina. Edith era una bambola incredibilmente sola che finalmente incontra due orsacchiotti che, nonostante numerose marachelle, decidono di non abbandonarla (il suo più grande terrore).

 La sua padroncina non appare mai, ma si sa che vivono nella casa di una donna, anch'essa invisibile, provvista di meravigliosi abiti e trucchi.

 Anche nelle agli altri libri prodotti da Dare appare questo strano conflitto tra un protagonista inchiodato a una condizione quasi di prigionia e il desiderio se non di libertà, almeno di amicizia, di compagnia che allevi una triste solitudine.

 Ed è strano leggere questa biografia in cui speri, proprio come accadrebbe in un buon romanzo, che accada qualcosa a cambiare la vita della protagonista, a trarla dalle grinfie troppo amorose e interessate di sua madre, a renderla finalmente una bambola meno solitaria, ma non succede niente, proprio come non succede niente di salvifico in troppe vite.

 Può accadere che qualcosa si metta in moto contro la nostra volontà, ma è assai più probabile e fortunoso che la nostra sorte cambi se lo desideriamo noi per primi.

 Dare non desidera mai, vive attraverso sua madre, rimane allo stadio di bambola che gioca con altre bambole per tutta un'intera esistenza che avrebbe potuto essere assai più luminosa e grandiosa.

 Era bellissima, era talentuosa, era intelligente, ma era intrappolata nella vita ideale di qualcun altro, nel set cinematografico perpetuo di qualcuno che aveva messo ogni cosa al suo posto per vivere in un'enorme finzione.

 Edith visse mentendo fino alla fine, dopo la sua morte la vita di Dare divenne terribile.
 Chiuso il grande teatro in cui era rinchiusa dalla nascita, si ritrovò in una realtà che non conosceva davvero e che rimase incapace di affrontare fino alla fine dei suoi giorni.

 Ecco cosa succede alle vere Amélie.

 Amo sempre leggere le biografie, se ben scritte, si riesce quasi sempre a rintracciare il momento esatto in cui una vita che era avviata in un certo modo finisce per deragliare nel bene e nel male o per rimanere incredibilmente identica e monotona.

 In tutti e tre i casi c'è sempre un evento scatenante, un amore non corrisposto, finito, oppure un grande amore mai arrivato, un matrimonio, una morte, dei figli.

 E' affascinante immaginare le possibilità, interrogarsi su ciò che noi avremmo fatto e, in alcuni casi, come quello di Dare, soffrire per tanta vita sprecata.

 Ma anche vero che è un gioco impossibile, la vita che viviamo è sempre e solo una summa di tutto ciò che ci è accaduto. Se Dare si fosse sposata forse sarebbe stata felice o forse sarebbe morta di parto e non avrebbe mai scritto i suoi libri, forse avrebbe divorziato dopo pochissimo, forse, forse, forse, forse sarebbe accaduto tutto e niente.

 Non ci sono seconde possibilità né vite che si possano vivere per interposta persona o bambola, e la storia di Dare, magnificamente scritta e riportata con estremo rispetto, lo insegna con una precisione e una forza davvero straordinarie.

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