Svariato tempo fa scrissi un post sul mio amore per Haruki Murakami.
Diventato idolo delle sciure suo malgrado e sbandierato in ogni dove da Renzi che si veda che anche lui è cool e alla moda, vivevo e vivo tuttora i drammi della fan underground tradita. Iniziai infatti a leggerlo per puro caso ormai vari anni fa, all'inizio delle superiori, con un'edizione vecchissima di "Tokyo blues Norwegian wood" della Feltrinelli e ho continuato a seguirlo religiosamente contribuendo a diffonderne il verbo tramite regali qui e lì ai miei amici (e non ho ancora finito di regalarlo perché proprio in questi giorni mi è venuto in mente una nuova vittima).
Devo dire però che la lettura molto molesta del molestissimo "1Q84" ha messo a dura prova la mia fedeltà. Non so a cosa si debba attribuire questo romanzo, potenzialmente interessante e obiettivamente una catastrofe, ma a occhio direi che la millantata candidatura al Nobel del nostro amato giappo, avesse convinto i suoi editori in patria a non mettergli un editor alle calcagna.
Considerando che il protagonista della storia E' un editor, si tratta di un paradosso quasi matrioskesko: un editor che edita un libro potenzialmente bellissimo, ma scritto male, è il protagonista di un libro potenzialmente bellissimo, ma scritto male e senza editor. Chi lo sa, magari tra qualche decina di anni scopriremo pure che Haruki lo ha fatto apposta e grideremo al genio. Fatto sta che, malgrado il battage pubblicitario dell'Einaudi che lo pubblicizzava come un libro meraviglioso, fantastico, viaggi tra i mondi, fucilate nel cuore e retorica varia ed eventuale (io vorrei dire a chi scrive le quarte di copertina che più aggettivi mettete meno un libro sembra credibile), il libro era il classico topo partorito dalla montagna.
Partiva anche bene, ma poi metti carne al fuoco lì, ripeti settanta milioni di volte gli stessi concetti e le stesse spiegazioni là, ad un certo punto la trama si era incartata talmente tanto che o arrivava il deus ex machina e saltava in aria tutto oppure finiva nel modo più banale possibile. Haruki, non senza averci deliziato con delle scene di sesso agghiaccianti piene di peni in erezione perenne e ineluttabile, preso da un probabile panico da trama ormai ingarbugliata all'inverosimile, giustificava tutto piazzando una scala strategica al punto giusto, tanto ammmore e via.
Ero molto timorosa perciò nel prendere tra le mani la sua nuova opera "L'incolore Tasaki Tsukuru e il suo anni di pellegrinaggio". Avevo paura di varie cose:
1) Il titolo giapponesizzante che preludeva descrizioni in slow motion di fiori di loto e susuki argentati (bellissime per carità, ma anche no).
Grazie a quel libro ormai migliaia di persone sussultano alle parole "Little People". Ho trovato questo libretto agghiacciante mesi fa e non ho potuto non fotografarlo. |
2) La possibilità che fosse un racconto diluito fino al limite delle sue possibilità dalle case editrici affamate di best seller.
3) La possibile "sindrome Yoshimoto", ossia il tragico momento in cui l'autore delle opere passate e di quelle attuali non sembra neanche più lo stesso.
In nome del nostro antico amore l'ho comunque preso e... ho fatto bene!
E' chiarissimo che questa volta qualcuno è stato messo alle sue calcagna a tagliare qui e lì e non solo perché il libro è ben corto per i suoi standard, ma soprattutto perchè a parte due o tre casi, Murakami evita di ripeterci la trama riassunta dall'inizio manco fossimo una casalinga che si è collegata all'ultima puntata di "Beautiful" di colpo.
La storia parte da un tema caro a molti scrittori: gli amici che si hanno in quell'età particolare che è l'adolescenza. Nella vita si affrontano molte difficoltà, molte buriane e tanti eventi, ma è vero e strano, gli amici che si conoscono da bambini e da ragazzi rimangono sempre speciali. E' come se grazie a loro si potesse rientrare in qualsiasi momento in una sorta di mondo perduto, come se ci fosse data la possibilità di tornare indietro di anni in un secondo. Sono speciali perché, in un qualche modo, rappresentano il nostro unico legame in carne ed ossa con quelli che tanto tempo fa siamo stati.
Tsukuru, ingegnere civile (credo almeno, come si chiamano gli ingegneri che costruiscono stazioni dei treni?), durante il liceo aveva quattro amici strettissimi: due maschi e due femmine. Fu l'unico però che dopo il diploma decise di laurearsi in un'altra città e, se dapprima tutto tra loro rimase uguale, un giorno tornò a casa per una vacanza e e scoprì che nessuno di loro voleva più parlargli. Infinite telefonate dopo una delle due ragazze gli comunica glaciale che non dovrà mai più farsi sentire, è bandito per ciò che ha commesso. Poi il silenzio.
Tsukuru non solo non ha la più vaga idea di cosa avrebbe fatto, ma davanti a quel rifiuto rimane così scioccato da cambiare letteralmente pelle. Dimagrisce, muta, diventa un'altra persona e nella tristezza di chi viene escluso, non riesce più ad avere legami forti con nessuno, amici o amanti che fossero.
O meglio, riesce ad avere di nuovo un amico, ma anche lui viene inghiottito in una di quelle assurde storie che Murakami infila senza soluzione di continuità in tutti i suoi romanzi. Uno segue la trama poi pam ecco "l'episodio monaca di monza" ossia quella storia che esula dal contesto, non è funzionale alla storia, ma boh viene ficcata dentro non si sa se seguendo un macroschema che prima o poi Murakami ci svelerà o così a far colore.
Fatto sta che passano gli anni e il mistero di quel rifiuto non viene svelato. Sarà solo quando la nuova fiamma di Tsukuru, l'avvenente Sara, pretenderà che si liberi dai fantasmi del passato che finalmente la verità verrà a galla.
Considerando che Tsukuru, benché solo, è molto umano e sensibile, che le scene di sesso sono poche e la trama è quasi risolta in se stessa, si nota una certa volontà del caro Haruki di voler scrivere una storia molto più leggera e con meno pretese. Forse l'assenza di pressioni gli ha concesso maggiore scioltezza e, senza raggiungere le altezze di "Norwegian wood", è riuscito a raccontare quel particolare momento della vita in cui ci si stacca dalla propria infanzia e da casa senza che se ne possa quantificare il dolore.
E' interessante sia la scelta del tema, sia il modo (ovviamente murakamesko) con cui affronta la questione: come se la quantità di dolore provato fosse davvero enorme, davvero importante. E' un trauma, secondo me grandissimo, ma effettivamente molti lo ridimensionano dicendo solo che è la vita che va avanti, è così, lo è sempre stato, sempre lo sarà.
Non accade a tutti, ma a chi è accaduto riconoscerà quelle famose "cinquecento catenelle che si spezzano in un secondo e non ti bastano per piangerle le lacrime di tutto il mondo" come cantava De Gregori ricordando una sua lontana amica e un tempo che non può tornare.
L'incolore Tsukuru, malgrado il suo titolo da storiella zen, merita di essere letto per rielaborare quella zona che rimane per sempre grigia nella vita, il distacco tra quello che avremmo potuto diventare, le infinite possibilità che sarebbero potute essere e ciò che la vita ha fatto realmente di noi.
E se volete farvi un'idea dell'atmosfera invece di guardare il Booktrailer ascoltatevi "Caterina" di De Gregori, che la vita lo sai non è comoda per nessuno, se vuoi gustare fino in fondo il suo profumo.
Allora: in passato, ho amato molto Murakami. L'ho amato anche in alcuni libri in cui non ero sicura di capire bene o di capire se capivo cosa Murakami cosa volesse dire quindi non ho potuto che esultare dalla gioia quando mio marito ( peraltro vittima di donazioni spontanee di libri di Murakami da parte mia) mi regalò 1Q84. Un bel tomo grosso da divorare nelle vacanze di Natale mentre in visita dai suoceri...
RispondiEliminaMa...che delusione! Non avevo mai avuto il coraggio di dirlo pubblicamente prima d'ora...ma che libro brutto!!! Mioddio che brutto libro! Grazie per il tuo post che ha dato voce a tutti i miei pensieri...inespressi! e che mi hanno fatto pure sentire colpevole talvolta.
Domenica scorsa infatti ad un mercatino ho trovato Sputnik Sweetheart e non ho saputo resistere alla tentazione di prenderlo. Leggendolo, mi sono ritrovata a pensare ....ma chissà, forse se Murakami scriverà mai ancora un altro bel libro o se per ritrovarvi la bellezza bisogna ricominciare a leggere di nuovo dall'inizio?! Le tue parole oggi non possono che confortarmi! Non mancherò di leggere "L'incolore Tsukuru e il suo anni di pellegrinaggio". Grazie!!!
Invece ho trovato molto bello 1Q84, denso e profondo, soprattutto per come viene mostrato il legame tra il protagonista e il padre malato di Alzheimer, senza nulla togliere alla descrizione dei mondi paralleli e al mostrare il dietro le quinte dell'editoria.
RispondiEliminaHo terminato da qualche giorno "A sud del confine, a ovest del sole" e non credo che il signor Murakami riuscirà a spillarmi altri soldi. Un autore a mio avviso MOOOLTO sopravvalutato : (
RispondiEliminaE' un libro vecchio però, molto vecchio, che l'Einaudi ha rieditato solo recentemente (io ho il vecchio feltrinelli). All'inizio Murakami era molto più criptico e forse autoreferenziale, però c'è anche da dire che ha uno stile particolare che o piace tanto o si odia :)
EliminaUn'operazione alla "Zafon maniera" dunque! E ci sono ricascata in pieno : (
EliminaNon so, a me è sembrato un tantino logorroico. Le scene di sesso esplicito le ho trovate di cattivo gusto e i personaggi a dir poco irritanti! La tipa claudicante l'avrei strozzata con queste mani.
Di 1Q84 ho letto solo il primo ma per adesso non sento l'impellenza di iniziare gli altri due: forse rientro nella categoria di quelli che lo odiano!
Io ho letto solo "Norwegian Wood" il mese scorso. Mi è piaciuto molto, per me rappresenta molto la "giapponesità", ma forse è la mia impressione.
RispondiEliminaSo che molti sono stati delusi da 1Q84, quindi mi piacerebbe avere dei consigli sul titolo con il quale continuare la scoperta di Murakami. Su questo che hai proposto, ci penserò.