martedì 8 marzo 2016

L'otto marzo dovrebbe insegnare una cosa a tutti e tutte: lottare per i propri diritti! Cinque titoli per conoscere meglio le donne che hanno fatto l'editoria (e la politica) italiana, tra mimose, resistenza, giornalismo e femminismo.

 L'unica volta che ho "festeggiato" l'otto marzo in vita mia, fu alle superiori.
 L'ultimo anno, una di noi, visto che in classe eravamo tutte femmine (e un maschio di rappresentanza) propose di andare a pranzo in un pub per festeggiare dopo la scuola. Visto che non andavamo molto d'accordo fu una cosa abbastanza triste di cui ricordo principalmente il cibo: un gigacrostone che mi si piantò sullo stomaco.
 Basta. Non ricordo altri festeggiamenti in merito.
 In questi giorni sui social, un luogo favoloso per mantenere e intessere rapporti, ma al contempo degno di studio per l'odio che sono capaci di incanalare, hanno iniziato a girare dei meme in cui si contrapponevano le "vere" donne, ora madri lavoratrici di famiglia, ora le famose operaie da cui si ritiene popolarmente la festa abbia avuto origine, alle donne moderne, masse di oche che festeggiano l'otto marzo avvinghiate a dei manzi nudi.
 Ora, a parte che vorrei per par condicio, lo stesso meme per gli addii al celibato (qualcuno ha mai capito perché usi andare per spogliarelliste come se qualcuno ti stesse costringendo ad abbandonare una favolosa vita da celibe manco un condannato a morte?), l'assioma A prevede per me sempre: non giudicare il prossimo e che ognuno, libero, consenziente e che non faccia male a nessuno, si gestisca la vita come vuole. Se alcune donne sentono di voler festeggiare così, a me, fondamentalmente, che me frega? 
manzi random
Però, dopo un mese e mezzo
di manifestazioni, riunoni, litigi, prese a male virtuali, parenti e amici che continuano a chiamarmi per dirmi che sono favorevoli o contrari alla gpa del figlio di Vendola ( e alla mia domanda "Ma quindi se io faccio un figlio mi romperete le scatole per sapere chi fosse l'uomo a cui apparteneva il seme?" rimangono imparpagliati, che pare non stia bene domandarlo), a questo punto c'è anche un assioma B.
 L'assioma B è che una delle litanie più insopportabili a proposito delle unioni civili è che: ci sono altre cose più importanti, dai diritti dei lavoratori a quelle delle famiglie.
 Ok, sono FONDAMENTALI. Anche perché, aggiungo, gay e lesbiche sono anche lavoratori e hanno anche famiglia, non appartengono ad una società a parte. Però, il punto è: gay e lesbiche, esasperati, sono usciti dalle loro casette e hanno cominciato a fare grancassa e tutto il caos possibile per ottenere diritti, perché 'sti lavoratori arrabbiati e 'ste famiglie bisognose di asili nido e politiche governative non fanno la stessa cosa?? Chi si aspettano lo faccia per loro? Hanno notizia, nella storia, di conquiste avvenute senza una qualche mobilitazione popolare?
  (e non solo) non l'infinito elenco di tutte le disuguaglianze e discriminazioni a cui siamo ancora sottoposte nel 2016, quelle se siam donne, le conosciamo tutte (e gli uomini se son "uomini" ancora le minimizzano). La festa della donna in questo momento storico, per me, dovrebbe servire a ricordare a TUTTI e TUTTE che nulla si è mai ottenuto senza lottare.
La festa della donna, per me, dovrebbe servire, in questo momento a ricordare alle donne
  Come diceva un po' troppo prosaicamente Domenico Modugno in una sua celebre canzone (da imitare solo metaforicamente che io rigetto ogni tipo di violenza, anche verbale): Tu ti lamenti, ma che ti lamenti, piglia lu bastuni e tira fora li denti!
 L'origine dell'otto marzo è ammantata di leggende, la più comune, anche perché diede origine a moltissime manifestazioni per i diritti delle donne in tutto il mondo, vede la sua nascita a seguito di un incendio in una fabbrica americana in cui morirono 146 persone, quasi tutte donne.
 In realtà, la faccenda è ben più affascinante e vede proteste di donne bolsceviche che contribuirono alla caduta dello zar e l'istituzione nel 1909 del 25 febbraio come giornata internazionale della donna da parte del partito socialista americano. Tante donne, un unico denominatore comune: la lotta, il lavoro e i diritti.
 Per onorare degnamente questa giornata (in cui oh, se andate a manzi e lottate per gli altri 364 giorni dell'anno non ci vedo assolutamente niente di male), ho deciso di stendervi una piccolissima bibliografia di donne ed editoria. Ci sono state tante scrittrici e  grandi editrici, ma anche qui, come al solito, si è dovuto lottare. Buona lettura e buona festa della donna a tutt*!

AURELIA e "CORNELIA":
Sin dal momento in cui fu reso loro possibile (sempre che appartenessero ad una classe sociale abbiente e colta e a un ambiente familiare illuminato), le donne si interessarono al giornalismo.
 Già da inizio '800 nacquero riviste gestite da donne, il cui capostipite fu il Monitore Napoletano della patriota Eleonora Pimentel. In realtà l'unione fra patriottismo preunitario e giornalismo femminile fu importatissima perché la causa dell'Unità d'Italia fu fondamentale per l'emancipazione della donna, almeno quella aristocratica o alto-borghese. Fu il caso di Aurelia Cimino Folliero de Luna, patriota che sposò un avvocato altrettanto patriota assieme al quale si trasferì per un periodo a Parigi al seguito di Cristina di Belgioioso, per poi tornare in Italia e fondare la rivista "Cornelia".
 La madre di Aurelia, Cecilia, era una poetessa arcade, attentissima alla causa dell'istruzione femminile che considerava, a ragione, mezzo indispensabile per l'emancipazione, tanto che si spinse a fondare una sorta di scuola in cui veniva imposta alle ragazze benestanti un'educazione completa anche in campi dell'istruzione che venivano considerati "inutili" o troppo difficili per loro, come l'aritmetica e le scienze.
 E' da lei che discende l'impegno costante di Aurelia che fondò la rivista "Cornelia" proprio per parlare delle specificità dei diritti femminili e delle mancanze che le costringevano a una situazione di subalternità, prima tra tutte la mancanza di adeguata istruzione. Nel 1878 rappresentò l'Italia, assieme a un'altra grande, Anna Maria Mozzoni presso il congresso internazionale per i diritti della donna a Parigi. Nella sua rivista che durò un ventennio, prese in esame questioni politiche, legali, scolastiche e letteraria, lo scopo: 
"Combattere in Italia i pregiudizi e le superstizioni e di chiedere l'eguaglianza dei diritti sociali tra donna e uomo. La questione quale sia il posto della donna e la sua sfera d'azione nell'odierna società, è tuttora insoluta, come quella che si considera da due punti di vista diametralmente opposti" (cit. da "Scritture femminili e storia" di Laura Guidi).
 Per saperne di più su Aurelia e "Cornelia, potete leggere: "La rivista post-unitaria "Cornelia". Donne tra politica e scrittura" di Patrizia Guida ed. Franco Angeli

NOIDONNE:
Lo sapete da dove viene l'usanza di regalare una mimosa? 
 Se la accettate ben volentieri ed evitate idiozie tipo "meno mimose, più diritti o boh più regali" allora saprete che nacque nel dopoguerra ad opera delle dirigenti dell'Udi. 
 L'Unione Donne Italiane, una costola dell'allora Pci, si era formata e distinta durante la resistenza (col nome di Gruppi di difesa della donna) dando origine ad un ciclostilato poi fortunatissimo giornale (negli anni '50-60 raggiunse tirature gigantesche) "Noi donne" in cui si parlava dell'emancipazione delle donne italiane attraverso articoli di costume e altri di preciso e forte taglio politico.
 Non arrivò mai in edicola e aveva (e ha tuttora, visto che esiste) diffusione solo attraverso gli abbonamenti. Questo, nell'immediato dopoguerra, fu una forza enorme, perché tale era il desiderio di cambiamento e di affermazione delle donne che durante la guerra avevano patito e combattuto esattamente come gli uomini, che con gioia sottoscrivevano l'abbonamento a una rivista che parlava seriamente di loro (a oggi non ci sono epigoni: qualcuno ricorda una rivista per le donne con un taglio politico in edicola?).
 La storia della nascita della mimosa è molto bella. 
 Alcune dirigenti dell'Udi, tra cui Teresa Mattei e Rita Montagnana, durante i festeggiamenti romani per la prima festa della donna reintegrata nel dopoguerra (il fascismo l'aveva abolita), ebbero l'idea di regalare assieme a dei volantini o a una copia della rivista (mi scuso dell'imprecisione, ma i miei libri universitari sono a 1000 km da me e vado a memoria), un fiore.
 La scelta cadde sulla mimosa non per i motivi che si leggono sul web, dalla femminilità alla luminosità, ma, semplicemente, perché come sanno tutti i laziali a Marzo la mimosa abbonda nelle campagne. Era quindi un fiore molto bello e molto povero, facilmente reperibile a costo zero.
 La storia della rivista è appassionante e uno specchio dell'emancipazione femminile molto più vivido di qualsiasi libro di storia. io ho avuto la fortuna di visionare i documenti e credo tutte (e sono centinaia) i numeri stampati in 70 e rotti anni ed è stato come vedere un'altra storia d'Italia. Ci sono alcuni libri che parlano della storia della rivista e dell'Udi, io ve ne consiglio due: "La pace e la mimosa" di Patrizia Gabrielli ed. Donzelli e "La bella politica. La resistenza, "Noi donne" e il femminismo" di Marisa Ombra ed. Seb27.
Voglio vedere chi parla ancora male della mimosa.

"EDITORIA FEMMINISTA" in Italia di Piera Codognotto e Francesca Moccagatta ed. AIB:
 Ahimé è un libriccino bellissimo e purtroppo fuori commercio dell'Associazione Italiana Biblioteche.
Neanche l'immagine vera ho trovato:
la copertina era fucsia
Me lo ricordo come un raggio di luce nel buio, mentre scrivevo le tesi, perché la biblioteca del mio paese aveva una copia di questa gemma miliare datata 1997 e in anticipo siderale sui tempi italiani.
 Si trattava infatti di una microscopica trattazione dell'editoria femminista in Italia: i motivi dello sviluppo, il percorso storico, le ragioni e un ricco e minuzioso elenco di tutte le case editrici del genere nate, vissute e morte in Italia.
 Tuttora non esiste nulla del genere e posso assicurarvi che, a mio parere, rimane ancora modernissimo e meriterebbe ristampa, anche da una casa editrice specializzata con maggior diffusione in libreria.
 La storia dell'editoria femminista in Italia è avventurosa, ricca di personaggi particolari, di eventi assurdi, di traduzioni coraggiose che adesso vengono editate anche da grandi case editrici, ma all'epoca fecero scandalo. E' fatta di scandali (come il celeberrimo "Sputiamo su Hegel" di Carla Lonzi, fondatrice anche della casa editrice indipendente Rivolta femminile), amicizie, passioni e una voglia di mettersi in gioco e tentare di cambiare le cose che adesso, femministi o meno, dovremmo TUTTI ricordare.
 Qui un bell'abstract: http://bollettino.aib.it/article/view/8390/7495. Se riuscite a recuperarne una copia, vi si apriranno mondi

"AUTOBIOGRAFIA DI UNA FEMMINISTA DISTRATTA" di Laura Lepetit ed. Nottetempo:
Ogni tanto escono delle autobiografie piccine, troppo piccine, in cui grandi personaggi raccontano la loro vita parlando del loro mestiere (alla fine anche "On writing" di King è così).
  In questi giorni è uscita una brevissima (troppo breve) autobiografia di mestiere di Laura Lepetit, la fondatrice della storica casa editrice, purtroppo ormai scomparsa, La Tartaruga.
 Nata benestante, dopo la guerra paventava con orrore un futuro di moglie e madre molto bene, intenta a infiniti burraco con le amiche, cene di beneficenza, crescita dei pargoli e molta vita casalinga.
  Fortunatamente non fu così e Laura Lepetit attribuisce gran parte del merito della svolta con l'incontro col gruppo di autocoscienza femminile di Carla Lonzi in cui scoprì che sfidare il sistema era una faccenda molto seria e sicuramente da donne. 
 Erano tempi in cui si poteva litigare per un principio e fu quello che, ai nostri occhi incredibilmente, le allontanò: Laura Lepetit decise di fondare una casa editrice che proponesse titoli di scrittrici (fu sua la prima edizione de "L'erba canta" di Doris Lessing per dire), e Carla Lonzi la criticò aspramente: una casa editrice è pur sempre un'impresa commerciale che deve, volente o nolente, piegarsi almeno in parte alle logiche del sistema. E il sistema si combatte, sempre.
 Non fecero mai pace, ma la casa editrice ebbe una vita lunga e prospera, come la sua autrice, il cui unico rimpianto e aver compreso come la sua generazione abbia fallito in una cosa fondamentale: ha insegnato alle ragazze di adesso a essere più libere, ma non a lottare (ma quello. vorrei dirle, è un problema generale).

Ebbene, buon otto marzo a tutte! E mimose in quantità!

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