venerdì 4 marzo 2016

Quando la tecnica ammazza il contenuto o anche quando lo scrittore non ha il coraggio di affrontare il proprio dolore. Una recensione perplessa e non soddisfatta de "L'opera struggente di un formidabile genio" di Dave Eggers.

  Esiste una particolare tipologia di libri (e anche di film) che si potrebbe tranquillamente definire: "I libri che prima o poi vorremmo leggere, ma, per qualche motivo, alla fine, non leggiamo mai".
C'è quella wishlist di titoli che pensiamo siano interessanti, ma poi, ai fatti, lasciamo scivolare sempre in secondo piano quando si tratta cosa scegliere di leggere la sera prima di andare a dormire. 
 Ecco, soprattutto da quando tengo il blog e ho bisogno di tenere un ritmo molto costante nel leggere, quando ci sono quei periodi di magra in cui niente mi convince, attingo alla mia wishlist titubante e, in parecchi casi, mi spiego come mai avevo sempre titubato.
 L'ultima delusione riguarda "L'opera struggente di un formidabile genio" di Dave Eggers. 
 E' un libro che aveva tutte le carte in regola per piacermi: autore giovane e pop, scrittura ottima, storia potenzialmente interessante. E in effetti ha tutto questo, ma anche una montagna di difetti che riescono ad annullare gli enormi pregi.
 Partiamo dall'inizio.
 La quarta di copertina è ingannevole. Sembra che tu stia per leggere una sorta di road book, in cui due fratelli, alla tragica morte per malattia di entrambi i genitori, decidono di salire su una macchina e viaggiare per l'America, sfidando le convenzioni. Così, almeno io per le prime 150 pagine ero in attesa di un viaggio che non partiva mai e che, in effetti, non poteva partire non essendoci.
 Il viaggio dei due fratelli è infatti metaforico: i due levano le tende dalla tranquilla cittadina di provincia, dal villino da perfetta famiglia americana, e si trasferiscono sulla costa iniziando una serie di quelle che potenzialmente sono una serie di tragicomiche avventure e invece sembrano una sorta di rigurgito forsennato dello scrittore.
 Il materiale è incandescente. La storia è in gran parte autobiografica e quando si scrive un'autobiografia non basta avere la storia più triste, drammatica, figa, strana del mondo. Bisogna anche saperla raccontare. 
 Nel caso di Dave Eggers non gli basta neanche saperla raccontare, perché se c'è una cosa che ti fa arrivare alla fine di questo libro molto disordinato e confuso è solo una: la scrittura dell'autore.
  E' innegabile che Eggers sia un fenomeno. E' bravissimo, quello che nelle mani del 98% degli scrittori sarebbe un papocchio, nelle sue è quasi un romanzo di formazione accettabile.
 Il problema è quel quasi: Eggers sembra scrivere questa storia quando non ne ha ancora tratto nessuna morale e soprattutto quando ancora non ha raggiunto un qualche tipo di pacificazione. Se sei ancora troppo arrabbiato con le persone di cui parli, la scrittura sarà potente. ma la mancanza di distacco rischia di fregarti. Perciò non è un caso se le parti migliori del libro riguardano il rapporto con Toph, il fratellino di otto anni che è rimasto in affido a lui dopo la dissoluzione della loro famiglia.
 Mentre gli altri due fratelli maggiori, Beth e Bill, rimangono sullo sfondo (addirittura ci ho messo un po' a capire che Bill era un fratello) e non vengono mai descritti, (in un libro non autobiografico Bill sarebbe proprio stato depennato in fase di editing credo), il rapporto con Toph, ragazzino dalla pazienza prodigiosa è tenero e straordinario.
 Come può fare il genitore un ventiduenne in balia di ragazze, ormoni e il sogno di fondare una rivista per giovani anticonvenzionali? Così, finché il libro si tiene sui binari della vita familiare, risulta anche un buon libro, in alcuni casi ottimo. 
 Poi, ad un certo punto non si capisce più niente. Toph scompare dalla trame ed entriamo nel tunnel della vita lavorativa di Dave: come si fonda una rivista per giovani alternativi? Cosa vogliono dimostrare questi giovani alternativi? Così praticamente inizi a leggere un altro libro di cui, però, fondamentalmente te ne frega poco. Ma come?? Non stavamo leggendo di come Toph se la cavava a scuola? 
 Vabbeh, continui fiducioso, poi, almeno per me, è arrivata la mazzata nel momento dell'intervista.
 C'è un punto centrale infinitoooooooooooo lunghissimooooooooo in cui Dave decide di voler diventare uno dei personaggi di un reality: alcune telecamere seguono una serie di ragazzi e ragazze nella loro vita di tutti i giorni. Ovviamente devono essere persone interessanti e Dave si sottopone ad un'infinita intervista sui motivi per cui dovrebbero sceglierlo. 
 Ad un certo punto, tra il racconto di una tragedia familiare e un altro, fa una cosa che non avrebbe MAI dovuto fare: spezza il patto tra scrittore e lettore. Ossia fa dire all'intervistatrice: "E' un espediente, questo andamento in stile di intervista. Inventato di sana pianta. Una sorta di contenitore per tutta una serie di aneddoti che sarebbe stato inefficace combinare insieme in altro modo."
 Ok, Eggers voleva fare la genialata, sfondare la seconda, terza, quarta parete, metaletteratura, sperimentazione e tutto quello che ci pare, ma posso assicurarvi che, nel momento in cui mette queste parole in bocca all'intervistatrice, io mi sono sentita presa in giro. 
 Non si può iniziare un libro e poi farlo diventare altri cinque libri diversi, per il semplice fatto che il lettore non solo non capisce più che caspita stia leggendo ('sto libro poteva finire in qualsiasi momento in qualsiasi modo), ma perde anche il filo del coinvolgimento. 
Non so se chi lo ha letto ha avuto la mia stessa impressione, ma, ad un certo punto sembrava di leggere due libri completamente diversi e senza nessun nesso logico tra loro, una cosa magari fighissima a livello sperimentale, ma molto disturbante. Tra l'altro la deviazione di circa 150 pagine sulla vita della rivista per ggggiovani devasta il climax finale che, inspiegabilmente, torna sul punto iniziale: la morte dei genitori.
E non a caso Adam Levin, dà l'impressione
di essere un wannabe Dave Eggers
 Il risultato è un pastone non ben identificato, con personaggi che ogni tanto sbucano e ti chiedi; ma questo chi cazzarola è? Uno su tutti, tale John, di cui Eggers si prende cura nonostante le sue varie problematiche di alcol e tentati suicidi, ma sbuca random in modo insensato senza che il lettore capisca che caspita voglia comunicarci.
 Tempo fa, scrissi una recensione sulla raccolta "Rosa shocking" sulla verità e l'ipocrisia nella letteratura. Ossia, a cosa serve saper scrivere benissimo se poi si usa quel talento non per dire qualcosa, ma per farci capire quanto si è bravi?
 Non dico che il libro di Eggers sia solo tecnica, ma, secondo me, la tecnica è troppo preminente rispetto al contenuto: cosa volevi dirci Eggers sotto quell'enorme quantità di parole? Sotto quelle decinaia di righe di cui non ce ne fregava niente? Perché non ci hai detto più di Toph? Più della tua famiglia? Perché hai concluso in un modo tanto privo di senso?
 La sensazione è che si possa scrivere di un dolore solo quando lo si può e vuole affrontare e non quando ci si vuole girare intorno. I veri scrittori vanno dentro loro stessi anche in modo violento a scandagliare parti e ricordi che preferirebbero dimenticare, i veri scrittori consegnano il loro dolore al mondo. Eggers non lo fa, finge solo, come quelli che conosci da anni e non si sa perché, nonostante tu ci abbia parlato decine di volte, ti accorgi, di non sapere ancora un bel niente di loro.
  Sono simpatici, entusiasti, allegri, ma se non dicono niente, cosa ci parliamo a fare?

 Spero in molti commenti da parte di chi ha letto il libro. Sono curiosa di sapere che impressione vi ha dato. Testimoniate!

6 commenti:

  1. È stato uno dei 10-11 libri che ho abbandonato nella mia vita, ho provato a riprenderlo in mano dal punto in cui lo avevo lasciato almeno 3 volte e per 3 volte mi son detto: ma di cosa cazzo sta parlando?? Dopo di che il libro è stato abbandonato a lato del comodino a prendere polvere per almeno 6 mesi finchè il mio buon cuore lo ha sistemato in libreria con ancora la pieghetta sulla pagina..ora la tua recensione mi ha fatto quasi venir voglia di riprenderlo per non capirci un'acca un'altra volta...quasi..

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    1. Qui c'è un caffè dove fanno bookcrossing...tu lasci un libro e ne prendi uno in cambio. In teoria è solo per i libri da prendere in prestito al caffè e restituirli, ma a quanto pare chiudono un occhio sugli scambi...e soprattutto non stanno a controllare cosa porti, l'importante è un libro in cambio di un libro. Magari anche da te c'è qualcosa del genere? :)

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    2. ahahah valide alternative ai libri che proprio non vanno :)

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    3. pensa che una volta ho lasciato lì un dizionarietto di spagnolo che era allegato a una rivista...in cambio ho preso Mali e remèdi della editrice Filippi, che non si trova più!

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  2. Sono molto d'accordo con quello che scrivi. Il momento dell'intervista mi ha dato un gran nervoso, al punto che ho chiuso il libro e l'ho restituito in biblioteca, con il pensiero:" ok, sei bravissimo, ma per questi sproloqui non ho tempo".

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  3. A me era piaciuto abbastanza, ero in una fase in cui la sperimentazione esaltata mi interessava! Pero' avevo penato anche io su quegli stessi limiti che hai sottolineato tu, in particolare il delirio dell'intervista, in cui non si capisce più se siamo in una sorta di flusso di pensiero, o se siamo semplicemente cretini a farci prendere per il naso cosi' da un ragazzetto...

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