giovedì 31 marzo 2016

Siamo mai stati davvero liberi? Il moralismo nell'adolescenza, la provincia addormentata, il sessismo nel fumetto, il giudizio degli altri e la recensione di "Incendi estivi" di Giulia Sagramola.

 Giulia Sagramola è un'assai quotata fumettista e illustratrice italiana di cui ho sempre sentito parlare senza però aver mai dato più di un'occhiata veloce alle sue opere. Non per un motivo specifico, ma tutto quello che mi capitava di sfogliare aveva su di me poco appeal.
 Nell'ultimo numero di Linus che ha lasciato molto spazio alla famosa polemica lanciata dal collettivo di fumettiste donne che si battono contro il sessismo nel mondo del fumetto il Collectif de Créatices de Bande Dessinée in merito all'assenza di candidate donne al Gran Prix d'Angouleme (una sorta di premio alla carriera), c'era, tra gli articoli e fumetti sul tema del maschilismo nel mondo del fumetto, anche un suo intervento.
 Le tavole proposte dalla Sagramola mostrano tre fumettiste seminude intente a dipingere leziosamente storie da donne: del resto a quanto pare è quello che ci si aspetta da fumettiste donne no? Storie "al femminile" disegnate in reggiseno rotolandosi vezzosamente sul pavimento.
  Mah, mi è piaciuta l'impostazione della polemica, ma meno il messaggio di fondo della polemica.
 Il maschilismo in tutti i settori, fumetto compreso, è una piaga ed è ovviamente pretestuoso e insopportabile sentire che le fumettiste donne scrivano per donne
 Il punto però è secondo me sottilmente anche un altro: ci sono fumettiste donne che scrivono storie che non sentono per un pubblico specifico, altre invece lo fanno pensando magari ad una corrispondenza da parti di lettrici donne.
 Il problema è che quando gli autori uomini scrivono chiaramente pensando a uomini, le storie sono epiche, mitiche, magiche e una donna che si avventura in un mondo che si ritiene non suo ELEVA il proprio standard di lettrice.
Quando invece un lettore maschio si addentra nei meandri di storie dedicate a vite e problematiche più prettamente femminili c'è la sensazione strisciante che si stia ABBASSANDO.
Simbolo del Collettivo
 Questo è un altro problema che bisognerebbe sottolineare e che, a mio parere, non è né giusto né saggio affrontare col sistema: i lettori e i generi sono senza genere (io, lo ripeto sempre, leggo tutto e senza farci caso, ma non è che la mia sensibilità sia quella universale).
 Comunque, chiusa la parentesi Linus, ho deciso di leggere la prima graphic novel (non autoprodotta) di Giulia Sagramola e "Incendi estivi" è stata una piacevole lettura.
  La storia fa parte di quella tradizione di vicende ambientate nella provincia addormentata, un luogo spaventoso fatto di grettezza, moralismo, dicerie, poche opportunità e una grande voglia di fuga. 
 Le protagoniste sono due sorelle, Rachele e Sabrina, assai vicine d'età e, secondo me, sin troppo simili graficamente (ho fatto un po' fatica a seguire la distinzione soprattutto all'inizio). 
 Le due frequentano le scuole superiori nel loro paese, non hanno un ragazzo (ma non vuol dire che non ne frequentino) e devono vedersela col grande mostro dell'adolescenza: la reputazione.
 Messaggini minatori, minacce, fotografie rubate, insulti velati, quella misoginia che nasce spesso nei ragazzi durante l'adolescenza (vi siete mai chiesti perché si lavora moltissimo sulla civiltà fino alle scuole elementari e poi si apre un gorgo nero di sessismo, razzismo, omofobia e quanto di peggio?) e il senso di superiorità che si impadronisce delle ragazze che riescono a seguire le regole sociali alla lettera.

Fortunatamente per me, non ho nessuno spiacevole ricordo in particolare delle superiori.
Non ho memoria di episodi di un qualche tipo di bullismo o di malelingue che abbiano reso la vita impossibile alle genti e allora mi pareva normale. Ora che sono cresciuta e probabilmente guardo i giovanissimi con l'occhio clinico e inquieto di chi non saprà mai cosa avviene davvero nel loro cervello o nelle loro stanze, mi accorgo che la vita avrebbe potuto essere ben più spaventosa.
  Si ha sempre questa idea che l'adolescenza abbia il privilegio di essere un periodo particolarmente felice dal punto di vista creativo: puoi essere te stesso, puoi tingerti i capelli di blu, poi sederti per terra in stazione, puoi correre gridando per il treno facendoti odiare da tutti gli altri passeggeri.
 In realtà, come probabilmente possiamo ricordare tutti o quasi, ciò che ho elencato appartiene ad un'apparenza che oblia chiaramente un fatto incontrovertibile: il periodo che va dalle scuole medie alle superiori sarà pure indimenticabile per le amicizie per la pelle, i primi amori e quella incomparabile dose di spensieratezza MA rimane comunque uno dei più conservatori della propria vita.
 Mi sono spesso domandata perché sia così, immagino ci sia una specie di meccanismo di difesa che spinge a seguire delle regole non scritte alla lettera perché si vive un momento di rara instabilità emotiva (se siete invece dei pedagoghi che sanno la vera motivazione perdonate questo mio subdolo momento alla Crepet). Tutto è nuovo e invece di sperimentare, tendenzialmente si cerca di aggrapparsi a qualsiasi cosa dia una vaga certezza, pure una prigione.

Il risultato è che quando sei alle superiori sembra di vivere in una corte settecentesca dove una diceria può stroncare una carriera e la perdita dei favori di principi e regine può determinare o meno l'esclusione da un gruppo. E' quel magico periodo in cui una volta che ti è stato affidato un ruolo, lo sfigato, il nerd, il secchione, quello che fa ridere, la bonazza, la facilona, quella che non la dà, difficilmente si riesce a cambiarlo. Puoi fare quello che ti pare, ma il tuo destino per il momento è segnato.
 Sulla base di questa maledizione sociale, un corretto comportamento è indispensabile per evitare pettegolezzi che possono renderti la vita impossibile: se qualcuno inizia ad additarti come gay o puttana (per le ragazze le regole da sostenere per dimostrare di essere una ragazza che non la dà troppo o troppo poco sono infinite) o vai a capire cosa è il momento buono che puoi scordarti di vivere in santa pace. 
E questa sensazione di disagio la Sagramola la rende perfettamente: Rachele non riesce a vivere serenamente il primo amore perché teme il giudizio degli altri, sua sorella Sabrina si sente già etichettata perché forse si è lasciata troppo andare. 
Le guardi e pensi: così giovani e così intrappolate. Non c'è quindi mai stato un periodo in cui siamo stati davvero liberi?

 Non succede molto in "Incendi estivi" e francamente quel poco che succede davvero come la patente da prendere o gli incendi estivi causati da non si sa chi, sono davvero troppo metaforici. Se si vuole andare sulla similitudine col grande percorso interiore bisognerebbe essere un filino più raffinati.
 Tuttavia cos'è quello che accade davvero, per mesi, quando siamo adolescenti? Niente. Assolutamente niente. Eppure il tempo, in confronto a quando diventiamo adulti, sembra scorrere lentissimo e i ricordi sembrano moltiplicati per mille.
 Probabilmente era diversa l'intensità o l'importanza, la magia del vivere e la sua tristezza. 
 E soprattutto c'era quella speranza che invecchiando svanisce: l'idea che ci attende un futuro, da qualche parte, oltre gli incendi, le estati piene di malelingue, gli amici che di colpo ti odiano, le azioni che vorremmo non aver mai compiuto, gli amori che forse potremo un giorno recuperare.

Voi l'avete letto? Avete vissuto un'adolescenza di assoluto delirio e creatività e siete in totale disaccordo con me? Siete delle vittime della provincia addormentata e finalmente potete sfogarvi? Testimoniate!

In un articolo del post si trovano le prime pagine ----> Incendi estivi

4 commenti:

  1. Questo post mi ha fatto sorridere, avere il desiderio di leggere la graphic novel (e contemporaneamente il bisogno di evitarla come le tasse), e poi pensare tantissimo. Non so se nei miei molti e deliranti commenti l'ho già detto, ma il motivo del perché leggere questo blog è per me ormai uno dei pochi hobbies sopravvissuti all'angoscioso momento presente, è proprio che mi fa riflettere e pensare quasi me nolente. Vedendo che questo bellissimo - e, a mio avviso, uno dei post migliori che abbia letto finora - è passato pressocché ignorato, sento il bisogno di dedicare qualche minuto a scriverti la mia (poi, ovviamente, trascurabilissima) opinione.
    Hai ragione. L'adolescenza è il periodo più conservatore della vita, anche secondo la mia esperienza: senti il bisogno di omologarti, e persino i gruppi sociali che dovrebbero fare dell'anti-omologazione la loro bandiera, finiscono per creare "requisiti di accesso" che ne marcano l'appartenenza come "tribù", finendo per essere omologati essi stessi. Ti mancano i requisiti che rendono la vita adulta (ovviamente vita adulta autentica, quella di individui dotati di raziocinio e un briciolo di buonsenso), bene o male, in grado di autodeterminarsi: maturità e denaro.
    Sei abbandonato per la stragrande parte della tua giornata in mezzo a un "gruppo di pari" che NON hai scelto, e molto spesso NON VORRESTI essere costretto a frequentare, senza nulla in cambio (ovvero: non è come in ufficio, dove magari sei costretto a sopportare capi nazisti e colleghi fiancheggiatori in cambio comunque della tua libertà economica). In più, come se tutto questo non fosse di per sé sufficiente a scardinare anche le personalità più granitiche, ti stai formando: non più come persona che cresce fisicamente, o meglio, non solo, ma come individuo. Ce n'è da uscire pazzi, e credo sia per questo che sei contemporaneamente libero dalle preoccupazioni del quotidiano e prigioniero di una società dalle spinte e microspinte dalla complessità bizantina. Credo sia anche per questo che, come in uno dei tuoi post precedenti, è in questo periodo che l'insolito, l'assurdo, lo straordinario entrano nella vita con prepotenza tragicomica per poi scomparire in seguito (quando le preoccupazioni della vita quotidiana semplificano la complessità bizantina della società: se questo sia poi un bene o un male non ne ho idea).

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    1. Lo ammetto, mi piace molto scrivere i vari post che parlano di come sia difficile sopravvivere alla propria adolescenza (anche "Skim" delle cugine Tamaki pur toccando altri punti parla di questo). Il fatto che magari piacciano meno di altri secondo me può dipendere dal fatto che non tutti ci si riconoscono, chi ha avuto un'adolescenza magari un po' travagliata, per vari motivi, personali ed esterni, sì. Io la penso come te, l'adolescenza non è un periodo che francamente rivivrei, però è anche quel momento in cui, se sei abbastanza forte e lucido, riesci a capire quelle cose fondamentali che non ti doneranno ricordi megagalattici, ma un certo senso critico nei confronti della vita sì. Il succo è sempre lo stesso: è stato bello vivere certe situazioni? Sentirsi sempre in un certo modo? No. Ne è valsa la pena a lungo termine? In un certo senso sì. Se passi un'adolescenza adeguatamente complessa, non è che avrai vita facile, ma, a mio parere, avrai di certo più forza per affrontarla. Questo non vuol dire che migliorerà, ma io non ho mai desiderato una vita perfetta, senza intoppi, ho sempre pensato non facesse vedere molti lati della realtà e ammazzasse l'empatia verso il prossimo. A lungo andare credo che uno dei problemi della società sia quello: se non sei mai stato quello che perde o che è rimasto indietro, se non hai mai visto cosa c'è dalla parte di chi non è conforme (che magari vorrebbe anche adeguarsi, ma per sua natura non può), allora conosci solo un pezzo di tutta la storia e io non vorrei mai essere dalla parte di chi sa solo ciò che gli si mostra. Non so se sono riuscita a spiegarmi.

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  2. Questo commento è stato eliminato dall'autore.

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  3. Ora, io posso portare la mia esperienza - per certi versi abbastanza insolita - di individuo che per una serie di tiri della sorte, caratteristiche personali e famigliari, contesto chiuso in cui si è trovata a muoversi, e anche una serie di problemi fisici abbastanza colossali, non ha vissuto l'adolescenza in modo conservatore.
    Per me il periodo che è andato dai 15 ai 22 anni è stato il più creativo della vita, e anche quello in cui (nonostante le varie ed eventuali burrascosità sociali nelle quali chiunque venga a trovarsi in una classe di liceo volente o nolente viene coinvolto) ero più libera di autodeterminarmi nelle amicizie, nelle frequentazioni e nel carattere: ero il classico individuo che è in grado di urlare "Ehi!, cos'è 'sto mortorio!" nel pieno di un funerale, e di non trovarci niente di strano.
    Le condizioni per questa fuga dal conservatorismo si sono prodotte (per analogia, o in taluni casi per una sorta di contrappasso) erano dovute principalmente ai seguenti fattori:
    1) Avevo un corsetto ortopedico che mi chiudeva per diciannove ore al giorno in una gabbia dal collo al pube, cosa che creava in me un mood fatalista tipo: "Peggio di così non può andare, facciamoci un bicchierino";
    2) Frequentavo una scuola quasi solo femminile (due soli maschi in tutto il liceo) gestita da monache che, sita in un edificio del '600 in mezzo alla città con tanto di sbarre alle finestre (lo giuro), creava una sensazione distopica tipo "mondo disco", dove niente era come sembrava ed eri costretto a indossare una specie di muta da sub per le gare di nuoto a rana dei giochi della gioventù (giuro anche questo) allo scopo di meglio nascondere le - scandalo!, orrore! - forme muliebri;
    3) Non me ne fregava molto di chi frequentavo o delle sue caratteristiche, purché mi ispirasse simpatia e interesse, per cui avevo amicizie negli ambienti più svariati (cosa che mi ha predisposto ad avere, per un caso particolare, un mucchio di amici appartenenti alle più svariate minoranze: un paraplegico, una persona che viveva in una comunità di recupero, omosessuali-work-in-progress che in un paio di occasioni mi hanno usato come primo teste per i loro coming out, individui appartenenti ad altre religioni e ad altri colori), oltre alla solida base di cugini che mi sono portata dall'infanzia ad oggi;
    4) Interessi abbastanza diversi dai coetanei - studio semiprofessionistico del canto lirico, poesie, scrittura, divulgazione scientifica e debunking.
    Per tutti questi motivi - che, riconoscerai, hanno creato un sostrato abbastanza eccentrico - avrei potuto trovare ragionevolmente ancor più comodo conformarmi più possentemente di altri allo scopo di crearmi una sorta di "coperta di Linus". Per qualche ragione, non me ne fregava niente, e ho avuto una di quelle adolescenze libere che molti adulti rimpiangono.
    Però non ero comunque felice: perché il prezzo per tutta questa creatività/libertà era di essere sempre più o meno da sola, e di scontrarsi continuamente con le aspettative di chi ti avrebbe preferito un po' meno dura e più comprensibile.
    Credo, in definitiva, che qualsiasi adolescenza tu viva, conformista o meno, in compagnia o da soli, lo scotto da pagare di essere un individuo in formazione col cervello immerso in una bagnacauda di ormoni sia questo: una permanente sensazione di infelicità, per cause che tu stesso non riesci a capire, interrotta da sprazzi di gioia che svaniscono dopo pochissimo lasciandoti stranito/a.
    Perché si debba rimpiangere, col senno di poi, un periodo del genere, mi è incomprensibile. L'unico momento della vita che valga la pena di rimpiangere, è quello dell'infanzia, secondo me. E anche in questo caso, è pieno di eccezioni.

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