giovedì 23 marzo 2017

E se il nostro tempo non ci rispecchiasse più? L'epoca del sospetto e la volontà di sopravvivere ad essa: recensione de "L'invasione degli ultracorpi".

 Negli ultimi anni mi sta avvenendo una cosa curiosa di cui non mi vanto affatto: mi sento un po' sfasata rispetto allo spirito del tempo.

 Dello zeitgeist e delle sue fauste conseguenze se uno lo prende in pieno surfandolo alla grandissima, avevo parlato nel post dedicato a Philip Dick che durante gli anni '70, tra lsd e controcultura, aveva passato i migliori anni della sua vita, sguazzando come un pesce nel suo oceano preferito.
 In qualche modo ho sempre avuto una buona capacità di adattamento e continuo ad avercela (prova provata è il fatto che io tenga un blog nonostante non provi questa spassionata simpatia per un internet privo di regole in cui ognuno si sente libero di dare fondo ai suoi più bassi istinti) perciò non è che da fuori si nota molto questo sfasamento.

 Mi accorgo però di fare molta fatica per quel che riguarda il discorso sulla cosa pubblica, sulla civile convivenza e su tutti quei grandi temi che in questi anni stanno diventando non fonte di dibattito etico, ma di nevrosi collettiva: uno di essi è, per esempio, la libertà di scelta del singolo nei confronti della collettività (per me, ad esempio, il bene conclamato della collettività viene prima).

 Un altro è questa insofferenza generalizzata nei confronti di tutto: tutti sono fonte di odio, invidia sociale, livore e accuse. Io, per dire, non so come si possano trovare ancora persone sane di mente che accettano di candidarsi a qualsiasi carica pubblica sapendo che nel migliore dei casi andranno incontro alle forche caudine e al pubblico ludibrio.

 Nel senso, accusare di corruzione l'universomondo sulla base di una denuncia, non è che fa diminuire la corruzione, fa solo spaventare a morte i non corrotti che, giustamente spaventati dal poter essere accostati a persone di dubbia moralità, si dicono "Sai che c'è? Me ne sto a casa", che non crediate che gli stipendi dei sindaci di paese siano più alti di un mero rimborso spese.

 Questo è per dire che ultimamente mi pare di essere finita in una gabbia di matti isterici. Poiché tento di ragionare, mi dico che magari non sono gli altri una massa indistinta di urlatori, ma io che non mi trovo più in questo tempo.

 Ho sbagliato la tempistica, magari dovevo nascere tra vent'anni o vent'anni prima ancora, non lo so, di certo mi guardo attorno e provo un certo senso di spaesamento. Poi appunto, siccome lo spirito di adattamento ce l'ho, maschero bene.

 Questo preambolo personale di cui capisco potrebbe non fregarvene niente, è per farvi capire il sincero sollievo con cui ho letto un piccolo classico della fantascienza: "L'invasione degli ultracorpi" di Jack Finney.

 Lo trovavo citato, come esempio di allegoria del delirio maccartista, in "Danse Macabre" di Stephen King e mi aveva incuriosito (fino a quel momento lo collegavo solo confusamente a un film horror di serie B mai visto).

 La storia in effetti sembra molto film di serie Z. La trama.
 In una tranquilla cittadina americana, un bel giorno al dottor Miles Bennell, giovane e fresco di divorzio, riceve la visita di una sua ex compagna delle superiori, la giovane e fresca di divorzio Becky.

 Becky asserisce che una sua amica (la bibliotecaria nubile che però, nonostante questi difetti è rimasta una persona quasi normale) è preda di una strana fissazione: è convinta che suo zio non sia più suo zio. Ossia, esteticamente e nel modo di comportarsi è identico a suo zio, ma c'è qualcosa che istintivamente la disturba e le suggerisce che non può proprio essere suo zio.

 Nell'arco di una settimana, questa strana allucinazione colpisce varie persone, costringendo Bennell a spedirle tutti dallo psichiatra cittadino, Manfred Kaufman.

 La faccenda, bollata come allucinazione collettiva, subisce una svolta quando una coppia di amici di Miles, Jack e Theodora, scoprono nel loro scantinato due strani baccelli che progressivamente si trasformano in loro copie perfette.

 I quattro, in un crescendo di orrore, scoprono quindi che è in atto una sorta di subdola invasione aliena: dei baccelli venuti da chissà dove, stanno prendendo il posto dei loro concittadini.
 La copia è così perfetta che distinguerli dagli originali è quasi impossibile, tanto che quando i quattro decidono di scappare e poi di tornare tempo dopo per vedere cosa è successo al loro paese, non lo trovano poi così cambiato.

 La loro città è semplicemente, orrendamente, trascurata. La vita sociale è morta, non si organizza più niente, nessuno si preoccupa più di mantenerla curata e i venditori lamentano un calo delle commissioni spaventoso.
 "Tutto quello che vedevo era rimasto identico ma sembrava diverso; eppure non sapevo con precisione in cosa consistesse la differenza. Se fossi stato un pittore e avessi dipinto la strada come la vedevo in quel momento, avrei fatto le finestre sghembe, le persiane abbassate a metà per farle somigliare a occhi che ci spiassero ostili."
 Il ritorno si rivela però un grande sbaglio.
I quattro assistono alla consegna dei malefici baccelli parassiti ad altri paesi vicini e quando vengono scoperti si danno a una fuga disperata che però finisce male. Le due coppie vengono fatte prigioniere in due luoghi diversi.

 Miles e Becky vengono sorpresi nello studio di lui, dove si erano rifugiati in cerca di riposo, dallo psichiatra cittadino, Manfred Kaufman, incaricato di baccellizzarli.

 La cosa curiosa è che in questo frangente (che contiene anche una scena molto splatter), si verifica un dialogo per certi versi simile a quello de "La luna è tramontata" di Steinbeck.

 Nel libro di Steinbeck (ovviamente molto più bello e di valore) in un paese del nord Europa occupato dai nazisti, per punire degli atti partigiani contro gli occupanti, il sindaco viene condannato a morte come rappresaglia.

 Prima della morte affronta un dialogo contro l'ufficiale nazista che preferirebbe non condannarlo a morte (un po' per non farne un eroe, un po' perché davvero non vorrebbe) e gli chiede di convincere i propri concittadini a smetterla per evitare altri spargimenti di sangue. Il sindaco, un uomo semplice, ma molto retto, ribatte fermamente:

"Vedete signore, nulla potrà mutare la situazione. Voi sarete disfatti e schiacciati. I popoli non amano essere conquistati e per questo non lo saranno. Gli uomini liberi non possono scatenare una guerra, ma una volta che questa sia cominciata possono continuare a combatterla nella sconfitta. Gli uomini-gregge seguaci di un capo, non possono farlo, ed ecco perché sono sempre gli uomini gregge che vincono le battaglie e gli uomini liberi che vincono le guerre. Vi accorgerete che è così."

 Nello studio di Miles succede un po' la stessa cosa: lo psichiatra baccellizzato tenta di convincere in ogni modo Miles a farsi baccellizzare.
Le motivazioni, sono a suo dire molto valide: il baccello diventa una loro versione priva di emozioni e perciò libere dalla frustrazione e dalla nevrosi, dalla paura e dall'ambizione, da tutto quanto rende la nostra vita una continua fonte di preoccupazione.

 E poi usa l'arma di persuasione favorita: tutti lo fanno, tutti si sono piegati, non dobbiamo avere pregiudizi, dobbiamo essere aperti verso ciò che è nuovo (anche se in questo caso si tratta di una specie aliena parassita).

 "Non vi faremo del male, e quando avrete capito quello che... dobbiamo fare, penso accetterete la cosa, anzi vi domanderete perché abbiate fatto tante storie"

 Rimasto solo Miles si interroga: effettivamente che senso ha combattere?
 Una battaglia peraltro che sembra già perduta in partenza? Basterà infatti che lui e Becky si addormentino perché i baccelli prendano il loro posto e, in effetti, il sonno già si appresta e le palpebre si fanno pesanti..
 Poi però Miles pensa una cosa, una cosa che sembra straordinaria quando tutti gridano e cercano di convincerti che stai sbagliando, che devi cedere, che dopotutto resistere è solo un'inutile fatica.

 "Allora capii (Miles ndr) che c'era qualcosa che potevo fare per lei, invece di accarezzarle i capelli. Potevo convincerla. Potevo accettare ciò che Mannie aveva detto, sforzarmi di crederlo, convincere anche lei. Avrebbe potuto essere la verità, avrebbe potuto esserlo...Mentre accarezzavo la testa di Becky e la tenevo stretta a me, mentre la sentivo tremare, lasciai che il desiderio di credere si rafforzasse. Tuttavia... Budlong aveva ragione: la volontà di sopravvivere non può essere negata e sapevo che dovevamo batterci, dovevamo. Come un uomo condannato a morte cerca inutilmente di trattenere il fiato nella camera a gas, noi dovevamo resistere finché ci fosse stato possibile, dovevamo lottare e sperare anche quando non rimaneva più alcuna speranza."

 Finney scrisse "L'invasione degli ultracorpi" per parlare del delirio maccartista, quella caccia alle streghe che rese chiunque mostrasse caratteristiche vagamente fuori dalla convenzione, un papabile comunista teso a minare le basi della società americana.

 Rese chiunque una papabile spia e chiunque un papabile colpevole, distrusse carriere, pose migliaia e migliaia di americani sotto il rigido controllo dei servizi segreti (Dick riceveva visite a scopo interrogatorio continue) e rilasciò una nevrosi nella popolazione assai simile a quella che ci ha raggiunto in questi anni.

Chiunque in Europa è un colpevole: un papabile terrorista o un papabile ladro di soldi altrui.

 E proprio come nella città baccellizzata i cittadini si ritrovano su due fronti: i baccellizzati, identici a prima, convincenti, persuasivi eppure subdoli e omissivi (lo psichiatra tenta di nascondere fino all'ultimo i lati negativi della baccellizzazione, ossia mancanza di emozione e morte prematura) e gli spaesati resistenti, che non si spiegano perché, tra tutti, proprio loro non si riescano a convincersi.

 Forse, sono solo scivolati fuori dal tempo. Gli altri si sono accomodati sul nuovo spirito del tempo e loro hanno perso il treno, non riescono ad adattarsi, a trasformarsi e istintivamente resistono ai baccelli che li renderebbero come tutti.

 Non sarebbe tanto più semplice pensarla come tutti? Surfare alla grandissima lo spirito del tempo?

 Probabilmente, ma come dice Miles, "La volontà di sopravvivere non può essere negata", anche se non è più il nostro tempo, la nostra città, il nostro mondo.

 Il finale del libro rovina secondo me la metafora, bisognava essere più crudeli. O forse sono io che non ripongo una grande fiducia nella bontà e nel buonsenso altrui e anche questo strano vento passerà tra qualche anno, come tanti, nel bene e nel male prima di lui.

Ps. Il libro ovviamente mi è piaciuto!

7 commenti:

  1. Bellissima riflessione!
    Non so se tu, non parlando (ancora) bene l'inglese segua i social americani. Non sono tutti addormentati e passivi come sembra dall'Europa, mi danno grossa fiducia.

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  2. E' curiosa l'interpretazione del libro come denuncia del delirio maccartista. In realtà, il film di Don Siegel che ne fu tratto è considerato un'opera impregnata di maccartismo (con i baccelloni che ovviamente sono i comunisti che vogliono invadere l'America).

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    1. Secondo me quel film è interessante anche perchè può essere visto così come hai detto tu ma anche all'opposto: cioè i baccelli rappresentano l'essere conformi, l'essere "americani" in base a quello che viene stabilito essere "americano".

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    2. L'interpretazione del delirio maccartista è quella che dà anche Stephen King in Danse Macabre. L'idea che un clima di sospetto possa trasformare i nostri amici, parenti e vicini da una vita, in estranei di cui sospettare. L'intuizione potente è trasformare le persone più prossime a noi in mostruosi alieni (che appunto è un po' quello che sta succedendo anche a noi, l'altro come papabile colpevole di tutto).

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  3. Ci avevo fatto un post in dicembre, in occasione del compleanno di Kirk Douglas, su questo tema del maccartismo che alla fine è sempre attuale.

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  4. Questa storia mi ha fatto venire in mente un film di qualche anno fa, una commedia simpatica ma con un significato inaspettato, alla fine. S'intitola "La fine del mondo" e parla di un gruppo di amici che tornano alla loro città natale per fare in una notte il giro dei pub (e finire con il "World's end", appunto), peccato che scoprano qualcosa di simile all'invasione degli ultracorpi!
    Comunque, a costo di dire una banalità, penso che sia la capacità di comunicare così in fretta, e che tutti possano farlo, che sta facendo girare la testa un po' a tutti. Abbiamo inventato qualcosa come internet ma è stato come dare a un uomo di neandertal una macchina a vapore, non sappiamo ancora come usarlo al meglio e, nel frattempo che impariamo, sbagliamo. (Da qui la nevrosi collettiva, immagino.)

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    1. Non sono fiduciosa che impareremo senza che ci piova in testa qualche ragguardevole catastrofe

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