mercoledì 1 marzo 2017

Piccole recensioni tra amici! Due fumettose novità: il poco riuscito "Il giorno più bello" di Mabel Morri e il commoventissimo seguito de "Il cane che guarda le stelle" di Takashi Murakami.

Stamane mi sono svegliata con un bel sole marzolino, così puntuale da farmi venir voglia di scrivere un post a tema stagioni (che probabilmente vedrete domani).


 Purtroppo o per fortuna per tutti noi avevo già quasi pronto un piccole recensioni tra amici a tema fumettoso, che, peraltro, ci starebbe pure visto che venerdì andrò, come blogger molesta non come autrice, al Cartoomics di Milano a fare un bel giro.

 Spero quindi di tornarne carica di buone e belle idee e buone e belle conoscenze (ho scoperto che la tecnica di molestare i poveri editori al grido di "ho un blog" può avere anche buone conseguenze non solo la sempiterna vergogna).

 Comunque le due recensioni di oggi sono accomunate, oltre dal comune fumettoso linguaggio narrativo, dal fatto di essere entrambe novità, ergo, se vi interessano, le potrete trovare senza indugio assai facilmente in libreria.

 Bando alle ciance!


IL GIORNO PIU' BELLO di MABEL MORRI ed. Rizzoli Lizard:

 Mabel Morri è una di quelle fumettiste che non è che ha fatto la gavetta, di più.

 Fanzine, racconti brevi, la fondazione di una piccola casa editrice, autoproduzioni distribuite a mano in epoca pre-internet, i libri per Kappa edizioni e via discorrendo.

 Che sia perciò finally approdata a una grossa casa editrice, la Rizzoli Lizard, non può che far piacere (non che sia sminuente pubblicare per case editrici minori, assolutamente, ma di certo una major riesce a farti arrivare a un pubblico assai più grande).

 Proprio per questa lunga e onorata carriera, mi ha lasciato davvero perplessa la qualità della storia che ha deciso di dare alle stampe.

 "Il giorno più bello" è ineccepibile dal punto di vista del disegno, sempre originale, ma risulta davvero visto-rivisto-stravisto, trito-ritrito-stratrito da quello della trama.

 La storia è quella di tre amiche, Tina, Vane e Giò, che hanno trentacinque anni e, più o meno da una quindicina, vivono nello stesso modo: senza eccessivo impegno, svolacchiando di fiore in fiore, sempre pronte a mettere l'amicizia al primo posto.

 Poi però Tina decide di sposarsi col fidanzato storico e sconcerta Vane e Giò che invece faticano a trovare un loro equilibrio sentimentale.

 Vane si comporta da vera stronza con la sua povera fidanzata che prende e molla quando vuole e con la quale non vuole proprio andare a convivere, mentre Giò chiude tutte le sue storie appena prima che possano diventare importanti.

 Il matrimonio di Tina porrà loro la fatidica domanda: è paura di crescere o voglia di libertà?

 Come noterete è sempre lo stesso tema della sindrome di Peter Pan che affligge troppi film e troppi libri a questo mondo.
 Certo, è una di quelle questioni universali che hanno sempre qualcosa da dire a patto che ci si inventi una variazione sul tema che possa renderle sensate.

  Film con la stessa tematica ci sono riusciti, come "L'ultimo bacio" che è rimasto memorabile per la dose di cattiveria che riusciva a infilarci, mentre "Santa Maradona" restituiva una Torino che pareva uscita fuori da un film indipendente americano.

 Le trame erano flebili, ma era il modo in cui venivano raccontati che contava.

 "Il giorno più bello" non trova nessuna variante sul tema, anzi, peggiora la situazione spostando la scena su un altro luogo comune italico tritissimo: la magica Puglia della taranta e del tarallo, della quale, con tutto il bene che posso volere ai pugliesi, non se ne può più.

 Questo è un caso, come avrebbe detto il mio professore di teatro alle superiori di storia "Telefonata, telefonata, telefonata", ossia inutile, ripetuta anche un po' artificiosa.

 Un peccato, certa delle ottime capacità di Mabel Morri, spero nella prossima prova!



IL CANE CHE GUARDA LE STELLE- RACCONTI di Takashi Murakami ed. J-Pop:

 Ogni tanto amo ricordare questa mia pecca inquietante nell'era dell'animalismo: non ho mai avuto una particolare passione per gli animali.

 Nella mia famiglia, a parte qualche cugino provvisto di gatto, non siamo mai stati particolarmente dediti agli amici di zampa e così, come per molte cose in cui l'abitudine familiare ha il suo grosso peso (pur con le dovute eccezioni), non ho mai avuto questo forte moto affettivo verso cani, gatti, pulcini, pesci rossi o qualsiasi animale da tenera compagnia.

 Questo ve lo dico non perché possiate inondarmi di commenti in cui mi dite che non c'è niente di più bello che stringere un peloso al nostro cuore, ma per dare ancora più forza alla recensione.

 I racconti che fanno da seguito a "Il cane che guarda le stelle" sono infatti bellissimi e strazianti, proprio come bellissimo e straziante era stato il primo libro.

 Nella storia primigenia si raccontava del legame tra un cane, Happy, e un uomo che, dopo anni di duro lavoro, veniva licenziato.

 Una volta perso il lavoro, vedeva ogni cosa attorno a sé crollare: la moglie chiedeva il divorzio e prendeva la casa, la figlia diventata una sorta di teppista, gli amici lo allontanavano. Solo il cane, trovato dalla figlia quando era bambina e poi da lei trascurato, gli rimane fedele. Solo per lui che il suo padrone abbia o meno un lavoro o uno status sociale non conta assolutamente niente.

 Il libro proseguiva poi come un viaggio on the road del protagonista che, di tappa in tappa e di anno in anno diventava quello che noi definiremmo un barbone il cui solo amico continua ad essere l'amato Happy.

 In questo sequel scopriamo cosa è successo a due personaggi della prima storia: il fratellino di Happy che rimaneva solo e agonizzante nella scatola dalla quale la bimba traeva l'altro cucciolo, e un bambino taciturno e sconvolto che il protagonista della prima storia salvava dalla strada portandolo in Hokkaido.

 Entrambe le storie raccontano la solitudine degli invisibili, lì dove gli altri esseri umani si rifiutano di arrivare, là dove le persone vivono dolori e tragedie avvolte da un silenzio che tutti evitano scientemente di rompere, ecco che un piccolo animale riporta la vita.

Dal libro precedente
 Il cagnolino agonizzante diventa, dopo anni, la prima fonte di affetto per un'anziana scorbutica e profondamente sola che pensa solo al momento in cui la morte la porterà via.

 Il bambino taciturno che nella prima storia appare e scompare senza dirci nulla di lui, è l'unico figlio di una donna sconsiderata che lo tratta alla stregua di un pupazzo da chiudere in casa mentre passa di relazione in relazione.

 Il bambino, solo e affamato, decide di scappare per tornare dall'amato nonno nell'Hokkaido e lungo la strada affronterà mille peripezie e solo l'incontro col protagonista del primo libro che generosamente gli darà un passaggio, lo salverà da un brutto destino.

 .
Le storie sono costruite apposta per sgrimardellare tutte le difese del nostro cuore

 Non penso ci sia persona che sia messa alla prova delle lacrime.

 Può essere molto furbo, ma può essere anche un modo, in questi tempi dove non riesce più a commuoverci nulla, dove parliamo di altri esseri umani come fossero spazzatura o insetti da schiacciare, per ricordarci che dietro ogni persona c'è qualcuno che ha una storia, aveva dei genitori, forse dei figli, dei fratelli, un sogno, un grande dolore, un amore, degli amici.

 O forse è sempre stato solo, ha sofferto tanto, ha perso il lavoro, non ha mai trovato la sua strada, avrebbe voluto studiare, avrebbe voluto crescere in un altro posto o vivere in montagna, avrebbe voluto che le cose andassero in un modo diverso.
 In qualsiasi caso, c'è un altro essere umano che merita rispetto.

 Insomma, Il cane che guarda le stelle ci dovrebbe ricordare quella vecchia faccenda di cui ci raccontavano alle elementari: che siamo tutti uguali, sotto un unico cielo, esseri umani che non meritano di vivere una vita di solitudine, chiusi dentro una bolla.

 E, per quanto possa apprezzare l'amore incondizionato degli animali da compagnia, continuo a pensare che sia la gentilezza di un altro essere umano quella che può davvero salvarci dalle prigioni in cui talvolta ci rinchiudiamo.

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