Comunque, sebbene mi sia dedicata a "Cecità" di Saramago e abbia cercato conforto in un'ampia quantità di saggistica, il fatidico momento quest'anno è giunto solo pochi giorni fa, con "La vita agra" di Luciano Bianciardi.
In verità, qualche anno fa, un mio conoscente me lo aveva consigliato caldamente, ma io mi ero sinceramente convinta (non so per quale motivo) che trattasse dei drammi di un contadino della Basilicata (!) sullo stile di "Diario di un curato di campagna" di Bernanos.
Qualche giorno fa, incuriosita dalla nuova edizione della Feltrinelli ho colpevolmente scoperto che è invece l'opera autobiografica di Luciano Bianciardi, salito dal centro Italia a Milano per far saltare in aria gli uffici dell'industria rea di aver ammazzato 43 minatori a causa delle scarse norme di sicurezza sul lavoro e finito a sopravvivere in quel modo subdolo in cui la vita talvolta ti costringe a farlo: contando le ore, il lavoro, i soldi e i momenti dedicati al lavoro e ai soldi.
Colpisce l'odio per la città di Milano, che in parte condivido devo dire, in quanto troppo grigia e tetra e sgobbona e chiusa. E al contempo la dipendenza e il fascino perverso che suscita in Bianciardi incapace di allontanarsi, ansioso di un qualcosa che gli dia ragione e in qualche modo lo giustifichi e lo salvi.
Condivido le invettive contro le segretarie con callaborano, i lavori sempre sul filo del rasoio, i padroni che ti esautorano, le persone indifferenti, un mondo che consuma, pretende, esige, come il peggiore dei vampiri.
Bianciardi, come ho potuto ignorarti fino ad adesso? Come ho potuto?
*Come ho potuto?
RispondiEliminaFacile, c'è stata una vera e propria corsa a trascurarlo, compartimentarlo, banalizzarlo.
Ma sul "boom", "La Vita Agra" sta e starà tra i libri come "Il Sorpasso" tra i film.
Una volta scoperto non si lascia più.
RispondiEliminaE, soprattutto, non TI lascia più. Io ogni volta che sono a lavorare penso alla sua teoria dell'alzare polvere e rinnovo l'ode al suo genio.