giovedì 26 marzo 2015

Del perché non mi convince l'anonimato di Elena Ferrante: rimanere nell'ombra è lecito o quando scrivi non puoi più nasconderti? Per me è la seconda che ho detto, me l'hanno insegnato alle scuole medie e non lo rinnego.

 Le scuole medie sono un'età ingrata. 
 Sono sempre stata abbastanza convinta infatti che esse siano state create dal ministero della pubblica istruzione, o chi per lui, per isolare per tre anni in una sorta di limbo un branco di ragazzini scalmanati in preda agli ormoni della crescita.
 Non mi spiego altrimenti l'esistenza di tale istituzione dove ricevi un'infarinata di tutto, persino di educazione musicale e tecnica, ma fondamentalmente impari poco e niente.
 Una delle pochissime cose che ricordo dei tre anni scolastici peggiori della mia vita (come tutti quanti ho visto cose che mi sarei risparmiata abbondantemente), sono quelle indimenticabili finestrelle con la vita dell'autore al lato dei testi nelle antologie di italiano.
 Io e la mia migliore amica li studiavamo con solerzia, sospinte in quella dubbia attività che è la critica letteraria, da un grasso e rubizzo professore (bravissimo peraltro) dedito alle poesie in romanesco e alla raccolta delle nocciole, attività assai più redditizia dell'insegnamento.
 Leggendo la vita degli autori tutto diventava chiarissimo: Leopardi esprimeva il suo pessimismo cosmico vagando come un'anima in pena per mezza Italia lamentandosi di continuo, Manzoni ebbe una crisi agorafobica durante il matrimonio di Napoleone (ricordo anche l'indimenticabile nome di sua moglie, Enrichetta Blondel), Catullo era innamoratissimo di Clodia da lui poi trasformata in Lesbia, e boh chissà se Laura e Beatrice esistevano davvero, nel dubbio Dante e Petrarca le ammiravano da lontano.
 Insomma, delle medie ricordo principalmente questo: conoscere la vita degli autori rende assai più comprensibile e affascinante la lettura dei loro testi.
  di Elsa Morante, Moravia, Svevo. Ariosto e compagnia cantante, mi risuonano fastidiosamente nella mente tutte le volte che sento parlare della famosa Elena Ferrante.
Le finestrelle in alto a sinistra con le biografie
 Sono tre anni che chiunque in qualsiasi libreria consiglia la clarissima Elena e la sua tetralogia de "L'amica geniale" che io, almeno per il momento, volontariamente non ho letto.
 Ci sono due motivi per cui non mi convinco a concedermi alla Ferrante (cosa che certo non la traumatizzerà, ma oh, ce volevo scrive un post):
1) Anni fa lessi "I giorni dell'abbandono" (e vidi persino il terrificante film) e lo trovai di una bruttezza talmente profonda da farmi chiedere: perché?
2) Io, 'sta cosa che non vuole dire chi sia la trovo disturbante.
 Su questo secondo punto, comprendo, entriamo in un ginepraio di difficile gestione.
 Da una parte il non disvelamento della Ferrante mette il dito in una gigantesca piaga dell'editoria moderna dove ormai, spesso e volentieri la personalità dello scrittore o della scrittrice è assai più rilevante e interessante di ciò che scrive.
 Nel libro che ho brevemente recensito ieri, "Un giorno questo dolore ti sarà utile", la sorella aspirante scrittrice del protagonista, si lamenta per non aver avuto abbastanza tragedie personali: una sua compagna di classe al corso di scrittura creativa, anoressica e con famiglia disfunzionale magnum, infatti, aveva già la pubblicazione garantita.
 Ed è la stessa motivazione addotta dalla vera autrice di "Ingannevole è il cuore sopra ogni cosa", che mise su una farsa allucinante con la sorella del suo compagno facendola passare per J. T. Leroy, giovane sessualmente confuso con madre prostituta che lo aveva strappato all'amore della famiglia adottiva. Temendo di non essere abbastanza interessante, ingannò il proprio editore per anni. Editore che successivamente le fece causa, ma che realisticamente si sarebbe reso assai meno disponibile a pubblicarla se non avesse subodorato clamore mediatico. 
Da un'altra parte però ci sono due punti, secondo me, assai controversi su questa reticenza della Ferrante:
 1) Alimentando il misterioso mistero sulla sua figura sta facendo esattamente ciò che dice di non voler fare, ossia sta rendendo più interessante il personaggio dello scrittore. 
 Se fosse solo un'autrice  assai timida o non desiderosa per motivi personali di mostrarsi in pubblico, potrebbe fare come ha, per lunghissimo tempo, fatto il buon Salinger: starsene il più lontano possibile da chiunque e minacciare i suoi fan dalla sua isolata magione.
 Alimentare invece una curiosità che non si può fingere di non aver almeno minimamente calcolato rende la questione quanto meno sospetta.
 (Per essere chiari, non sono una komplottista che immagina un esercito di ghost writer a lavoro, per me può essere anche una sola persona che però è perfettamente conscia dell'effetto del suo non disvelamento e a me cose del genere non è che piacciano molto).
2) Il suo essere tanto misteriosa rende vano quell'esercizio letterario a cui, per lunghi anni, ci siamo dedicati alle scuole elementari, medie e superiori. Conoscere, nei limiti della privacy, la vita degli scrittori permette di dare ai testi che si leggono una doppia profondità, una chiave di lettura che può dare chiarezza a punti oscuri o renderne altri, puliti e luminosi, incomprensibili e inquietanti.
 Le poesie di Emily Dickinson saranno sempre belle, ma sapere che l'autrice era una donna che per trent'anni ha vissuto chiusa in casa della sorella getta un'ombra diversa sui suoi versi, quelle di Sylvia Plath rispecchiano una vita brevissima ed inquieta. "La Gerusalemme liberata" è frutto di un travaglio interiore del povero Tasso di cui tutti ricordiamo la celebre quercia romana e di Keats sappiamo che morì a venticinque anni profondamente innamorato.
 La scrittura, come tutte le arti, ma ancor di più, per le sue specifica gestazione, prolungata nel tempo e talvolta anche nello spazio,  ha un legame con la vita, non solo interiore, del suo autore, particolarmente profonda. 
Leggere un libro senza poter conoscere nulla dello scrittore, specialmente se essa è stata addirittura inserita in una lista dei cento pensatori più influenti del mondo, mi disturba.

 Chi è che sta pensando? Ho bisogno di guardarlo in faccia, di sapere. Mi sembra che così si possa avere un rapporto onesto tra scrittore e lettore, di reciproca necessaria fiducia per creare un legame, che, a prescindere da quel che si dice è ciò che chi scrive cerca, altrimenti non tenterebbe di far pubblicare il proprio libro o brucerebbe (come molti scrittori hanno fatto o desiderato fare) i suoi scritti.
 Perciò non dubito che leggendo la famosa tetralogia possa trovarla scorrevole e bella, ma non ce la faccio. Penso sempre a quelle finestrelle delle scuole medie e a me che in biblioteca, quando internet a casa era ancora un miraggio, stampavo ansiosamente tutte le informazioni possibili sulla mia scrittrice preferita, Marion Zimmer Bradley, e a casa conservavo tutto quello che la riguardava gelosamente, sognando in cuor mio di incontrarla un giorno (cosa precocemente impossibile visto che è morta nel 1999). Non lo facevo per un morboso bisogno di notizie, ma per sapere chi fosse quella donna che da qualche parte dall'altro capo del mondo era riuscita a spiegarmi tante cose di me.
 Avevamo qualcosa in comune? Cosa l'aveva resa speciale? Come erano nati i suoi libri? Perché scriveva proprio quelle storie?
 Quando scrivi non puoi più nasconderti.

 E voi cosa ne pensate di codesto tema a base di Ferrante?

22 commenti:

  1. Visto quello che è poi emerso proprio su Marion Zimmer Bradley (http://deirdre.net/marion-zimmer-bradley-its-worse-than-i-knew/ così a casissimo), penso che forse NON sapere chi scrive cose che ci piacciono e ci parlano così tanto sia una manna dal cielo... o hai citato apposta MZB pur sapendo tutta la sua storia personale? In tal caso, mi sfugge qualcosa :/

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    1. Eh, la storia della figlia l'ho letta quando è uscita. Devo dire che ad un morto che non può dire la sua si dovrebbe se non altro concedere il beneficio del dubbio, ma anche se al 99% la figlia dicesse la verità io nel lontano 1997, quando la scoprii, non potevo saperlo e l'emozione e i ricordi di allora mi rimangono.
      Potrei fare allora altri esempi, ho stampato chili di carta di interviste anche di Banana Yoshimoto (che cercai disperatamente di andare a vedere a Roma alla basilica di Massenzio, ma la visita di Bush esattamente quel giorno bloccò l'intero centro impedendomi di arrivare).
      Inoltre, tuttora, anche se so quella notizia della Bradley allora mi interrogo sui suoi libri in cui gli abusi sui minori erano presenti e trattati con molta delicatezza: era un modo per scaricarsi la coscienza? Una dissociazione letteraria? Le vite degli scrittori non sono mai separate dai loro testi.

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    2. Non per scavare nel torbido, ma è che ho anch'io amato MZB da adolescente e quando è uscita questa storia l'anno scorso non ho potuto fare a meno di approfondire: la lettera della figlia ha solo rivelato pubblicamente una cosa che era già stata portata in tribunale. Se cerchi su internet (perdonami ma non mi va di rifarlo) trovi la trascrizione delle testimonianze in tribunale in cui lei ammette di aver fatto roba bruttissima. Quindi lei la sua l'ha detta, e ha confermato. Ora non ricordo se sia stata condannata per qualcosa, se non sia stata condannata per qualche motivo tipo prescrizione, o se si sia potuta accertare solo la sua connivenza passiva con le violenze commesse dal marito, e dunque non la si è ritenuta colpevole in prima persona... fatto sta che pulita non lo è affatto.

      Detto questo (brrr), in generale, io mi schiero con chi pensa che l'arte debba parlare da sola. Se scopro che la Ferrante è una noiosa casalinga brianzola con la molletta di plastica a tenerle su i capelli i suoi libri potrebbero piacermi meno che se fosse una cinquantenne tosta e amante della vela? Se non sapessi che la Némirovsky è morta ad Auschwitz mi sembrerebbero meno splendidamente taglienti i suoi romanzi? Forse sì, ma secondo me è meglio se no :)

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  2. Al di là della storia personale della Bradley, credo che quando tu dici "era riuscita a spiegarmi tante cose di me",
    ribadisci il potere terapeutico della letteratura, e di tutte le fasi che in essa si susseguono. Scrivere, leggere, ci porta a conoscenze intime assolute, in primis di noi stessi. Ma anche degli autori, come dici "non puoi più nasconderti".
    Io sinceramente non ho mai letto nulla della Ferrante, ma trovo inutile e banale, montare su un caso editoriale e mediatico, solo perché questa/questo ha deciso di non mostrarsi.
    Che poi io, a pensarci, se mai un giorno riuscissi a pubblicare il mio romanzo, vivrei solo per veder su scritto il mio bel nome e cognome. Altro che pseudonimo!!! ;-)

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  3. La Ferrante ti sta ricordando che fra scrittore e lettore non c'è nessun rapporto onesto. Tu non hai modo di sapere chi è veramente lo scrittore (hai fatto tu stessa degli esempi) e chi ha scritto veramente cosa. Tutto quello che ti viene raccontato è frutto di filtri, interessi, interpretazioni. Anche la vita reale è così. Noi stessi siamo così: chi è che diceva "Conosci te stesso"? Avrebbe potuto dirlo se noi tutti avessimo un rapporto onesto con noi stessi? Gli psicanalisti sarebbero tutti disoccupati. :-)

    Ma venendo alla letteratura: la Ferrante ci dice che in questo campo l'unica cosa che conta è l'opera scritta. Chi rende interessante l'autore non è la Ferrante, che continua a non dare informazioni, ma i lettori che non si rassegnano alle scelte di chi non vuol entrare nel circo mediatico.

    (Personalmente approvo incondizionatamente la scelta della Ferrante. E non ho letto nulla di suo.)

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    1. Concordo sul fatto che la Ferrante ricorda che tra lo scrittore e il lettore non può esserci un rapporto onesto.
      Non concordo sul fatto che l'unica cosa che conta sia l'opera scritta. Se fosse così non passeremmo anni della nostra vita a studiare a memoria la vita di Dante, i drammi di Leopardi e la psicosi del Tasso. Io penso che anche questo celarsi e non celarsi al contempo sia troppo studiato per essere genuino, i veri misantropi si comportano in altro modo. Non rispondendo a chi li candida allo Strega per esempio.

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  4. Io invece apprezzo l'anonimato di Elena Ferrante. Sebbene io sappia che conoscere la storia personale di un autore permetta di capire meglio i significati della sua produzione letteraria, di certi autori preferirei davvero non sapere o non aver saputo nulla. Mi è capitato per (s)fortuna di conoscere autori di libri che si sono rivelati delle persone piuttosto misere e questo ha determinato il fatto che non posso più distinguere l'arte dall'artista.
    Forse è solo una questione di distanza temporale.
    Conoscere le miserie di Tolstoj non mi turba perché il mio presente è lontano dal suo; non so quanto potrei apprezzare "Alice nel paese delle meraviglie" se fossi contemporanea di Carrol e sapessi della sua passione nel fotografare ragazzine.
    Parlando del presente, per fare un esempio, avrei davvero preferito ascoltare la musica dei Noir Desir senza sapere nulla di Bertrand Cantat.

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  5. Ciao, è possibile che non ci sia alcuno stratagemma dietro l'identità nascosta della Ferrante. Magari molte delle cose che scrive nei suoi libri sono autobiografiche, almeno in parte, e lei non ha nessuna intenzione di svelarsi così tanto al prossimo. Certo lei potrebbe negare davanti ai giornalisti che i suoi libri abbiano tratti autobiografici ma la vita, per fortuna, non è solo sui giornali o sui social. Forse la Ferrante è solo una persona riservata (rarità assoluta, altro che anoressiche con famiglie disfunzionali) e siccome ha usato "materiale personale" (eventi, pensieri, dolori etc.) nei suoi libri, magari parzielmente riconoscibili, non vuole che tutte le persone che la conoscono la "psicoanalizzino" in base a ciò che sta nei suoi libri! L'anonimato è mistero ma è anche libertà e forse lei non l'ha mantenuto per creare mistero (dunque per gli altri) ma per conservare la libertà (dunque per se stessa)

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  6. Ti ringrazio. ^_^ Hai tappato la bocca a tutti quelli che accusano noi scrittori di essere troppo narcisisti. ;) Però, circa Marion Zimmer Bradley... sarebbe stato davvero meglio non conoscere la sua vita privata: http://www.fantascienza.com/magazine/notizie/19032/la-brutta-bruttissima-storia-di-marion-zimmer-bra/

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  7. Mah, non sono d'accordo. L'uso di pseudonimi è vecchio come la storia della letteratura, e francamente non ci vedo nulla di male.
    Facilmente il mistero intorno all'identità della Ferrante sarà una trovata di marketing, ma comunque non mi pare così turpe (sarà che a me sapere che certi libri sono scritti sotto pseudonimo non fa né caldo né freddo, e come trovata di marketing mi pare delle più innocue XD).
    Se poi, invece, si tratta davvero di qualcuno che, onestamente, preferisce solo restare nell'ombra, tanto meglio.

    Capisco il discorso che fai sulle biografie degli autori, ma riflettiamo su una cosa: secondo me possono essere efficaci quando si parla di autori ormai morti e sepolti, la cui parabola di vita possa essere giudicata con oggettività e globalmente. Come dice pigropanda, è questione di distanza temporale.
    L'ossessione per conoscere i dettagli di vita di un autore vivente, in una situazione in cui 'la polvere non si sia ancora posata', in cui l'oggettività sia impossibile, non la trovo utile. Mi dà l'impressione di un interesse più da fan che da critico letterario. Indagare la vita di MZB (o chi per lei) in tempo reale non mi pare diverso dal cercare avidamente gossip sui propri attori e cantanti preferiti su "Cioè" (e non lo dico con acrimonia: io stessa ho comprato gran massa di "Beautiful Magazine" in adolescenza, per leggere anche le briciole sui protagonisti dei miei telefilm preferiti :D). La sensazione, così facendo, di conoscere davvero il proprio 'idolo' resta, nell'uno e nell'altro caso, puramente illusoria.

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  8. Anch'io non capisco le ragioni del successo della Ferrante, forse perché di suo ho letto solo "L'amore molesto", libro che ho trovato fastidioso e inutile, e pure scritto con un linguaggio spesso ripugnante.
    Resto poi dell'idea che dietro il nome Elena Ferrante si nasconda non un esercito di ghost writer ma un uomo.

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  9. Anch'io ero rimasta colpita dal nome di Enrichetta Blondel!!
    Di Elena Ferrante non ho letto niente e non mi importa, probabilmente è un uomo.
    Invece sto leggendo "Un giorno questo dolore ti sarà utile" e mi piace molto.

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  10. Condivido il desiderio - che si fa necessità a volte - di voler sapere di più sugli autori, siano essi scrittori, musici, pittori e così via. Senza spinte voyeuristiche, né morbosità da superfan, è semplicemente un modo per me di aggiungere qualche pezzo al quadro complessivo (e complesso) di un'opera, che ha avuto origine da un individuo. Mi sarei persa molte sfumature, se non mi fossi presa la briga di indagare sulle biografie - operazione che solitamente effettuo a posteriori, se si tratta di un autore che non conosco, per evitare il rischio di eccessivi condizionamenti. Anche scoprire dettagli che rendono ottimi artisti delle pessime persone non mi turba, non che mi lasci indifferente, ma se ho amato un'opera, l'ho amata in quanto prodotto a sé - poi il giudizio sull'uomo/donna sarà appunto giudizio sull'uomo/donna, disgiunto dal valore dell'opera ma collegato ad essa proprio perché mi aiuta a capire. Il fatto che gli esseri umani siano profondamente insondabili, mi sembra banale e ovvio ma non mi pare sia pertinente.

    Non conosco la Ferrante, non ho letto né credo ne leggerò qualcosa in futuro (non uscirò mai dal tunnel dei classici, ahimé), ma sono d'accordo nello scorgere - o almeno sospettare - una vena di autopromozione in questo: non mi risulta che gli scrittori siano attanagliati dalla popolarità, e - forse faccio un esempio poco calzante - ma per me è emblematico il modo in cui l'attore romano Elio Germano riesca a sottrarsi all'assedio dei media tutti, curando la sua privacy pur facendo un lavoro che in scena ti ci mette letteralmente, e in cui la componente promozionale gioca un ruolo essenziale.

    E se tutti i libri fossero a firma anonima? Lo tollereremmo?
    Non sarà onesto, ma il legame tra fruitore dell'oggetto d'arte e artista c'è eccome. EF esiste, semplicemente si sottrae scegliendo di mostrare il mistero e va più che bene, per carità, ma non riesco a non vederci margini maliziosi, almeno un po'.

    [Ti seguo da qualche mese Giovane Libraia, e scavo negli archivi: grazie, è un vero piacere leggerti.]

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  11. Forse ci dimenticamo un fatto: *oggi* la Ferrante è anonima. Nel futuro, magari anche lontano, potrebbe non esserlo più. E potremmo (potranno i nostri nipoti) fare quello che auspica Nathan, frugare nella sua vita per conoscerla meglio.

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  12. C'è una emme di troppo in potremo... sic!

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  13. Scusate, ma perché pensate che dietro questo pseudonimo ci sia un uomo? Trovate che una donna non sia in grado di scivere così bene? Inoltre credo che se una persona decide di rimanere anonima e condurre una vita normale senza rinunciare al proprio talento, questa sia una questione assolutamente personale. Ma forse quando non si è capaci di fare niente bisogna scagliarsi contro chi sa fare qualcosa.

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    1. Quello che non capisco è: ma che leggete a fare un post se alla fine dovete scrivere una boiata degna di Maria de Filippi? Risparmiatevi la fatica.

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  14. oci di corridoio rivelano la vera identità di Elena Ferrante. Per molti sarebbe la scrittrice napoletana Elena Raja, dipendente della casa editrice E/o (che pubblica appunto i suoi libri) e moglie dello scrittore Domenico Starnone. Perchè non dice il suo nome ? I motivi parrebbero essere molto meno nobili di quanto leggo nel tuo blog. Per un semplice e banale motivo commerciale. Da un lato non vuole danneggiare il marito, che pubblica tutt'altro genere (molto impegnato e che vende ben poco) e non vuole danneggiare l'immagine della casa editrice. Se dici che a pubblicare è un editor, un dipendente, fai la fine di Nicola Lagioia che l'hanno fatto anche vincere il premio Strega ma che se invece che lo scrittore faceva il salumiere era meglio. E poi si sa, l'anonimato stuzzica la curiosità (e le vendite).
    Per il resto io invece penso che se il libro fosse pubblicato senza nemmeno il nome dell'autore questo sarebbe meglio. In quel caso si apprezza l'opera pura e non il nome. Oggi infatti si è portati molto ad enfatizzare il nome, a vendere anche l'elenco del telefonico stampato tanto sopra c'è impresso il nome di grido. Ma per la Ferrante il discorso è diverso. Non è anonima, anzi. E' ancora più famosa di chi davvero esiste perchè il nome c'è comunque. per inciso: a me i suoi libri non piacciono. Si chiami come vuole, i suoi libri non piacciono lo stesso.

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  15. A me pare che conoscere la vita di un autore (a patto di non conoscerlo di persona, che deve essere un'esperienza sommamente deludente) non faccia altro che aggiungere romanzo al romanzo. La cosa importante, più che il rapporto dell'autore con la sua opera, dovrebbe essere il rapporto del lettore con il libro, che a volte smuove (almeno in me) qualcosa che riguarda un "riconoscimento" profondo, poi c'è tutta il lato della critica letteraria, degli stili e delle influenze che va comunque al di là di un'unica personalità e poi forse c'è anche il rapporto del pubblico con la biografia dello scrittore, che non è la vita dello stesso. Che importanza può avere l'anonimato? E' una scelta come un'altra che in ogni caso aggiunge esperienza alla lettura.

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