Ed ecco un nuovo piccole recensioni tra amici.
Un libro che dovevo recensire da mesi (maledetta me) e uno letto più di recente.
Il mio trip per le biografie storiche intanto non accenna a diminuire, adesso sto cercando di passare dagli Asburgo agli zar, ma la storia russa più che romanticismo, mi ha sempre ispirato una forte angoscia (vai a capire perché).
Cercherò di dirottare verso qualche nuova giapponesata, sento che è l'unico modo per uscire dalla maledizione di "Sissi!
Il mio trip per le biografie storiche intanto non accenna a diminuire, adesso sto cercando di passare dagli Asburgo agli zar, ma la storia russa più che romanticismo, mi ha sempre ispirato una forte angoscia (vai a capire perché).
Cercherò di dirottare verso qualche nuova giapponesata, sento che è l'unico modo per uscire dalla maledizione di "Sissi!
(Per farvi capire lo stato in cui verso, dopo aver finito di rivedere il terzo film, quello in cui lei e Franz vanno nel lombardo-veneto è vengono accolti malissimo, ho trascinato Dolcemetà al museo del risorgimento di Milano).
Bene, bando alle ciance! Buona lettura!
RED GIRLS di Sakuraba
Kazuki ed. E/O:
Ho imperdonabilmente
fatto passare troppi mesi dalla recensione di questa che è una delle più belle
letture dello scorso autunno (un periodo peraltro di letture fortunate).
Curiosissima la recensione che avevo letto su
Internazionale che lo consigliava, ma poi diceva che insomma, applicare il
realismo magico al Giappone era una scelta un po’ così, tra l’azzardato e il
“ma perché?”.
In verità, mi sembra sia
la scelta vincente di questo libro che riesce a coniugare lo stile di scrittura
trasognato e scorrevole degli scrittori giapponesi, ad alcuni elementi tipici
del realismo magico sudamericano, in una commistione vincente e
interessantissima.
La storia è quella di tre generazioni di
donne: la nonna Man’yo, discendente da un’etnia montana giapponese (non viene
specificato chi cosa come, ma dalla descrizione sembrano Ainu, anche se gli
Ainu vivono in una specifica zona del Giappone), nomade e dedita a pratiche
rituali antichissime, come la sepoltura dei suicidi.
Abbandonata senza apparente motivo in un paese
vicino Tottori, viene cresciuta da una giovane e povera coppia, e ha il dono di
vedere nel futuro. Proprio per questo l’anziana matriarca di una delle due
ricche famiglie locali, proprietaria di una fonderia, decide che suo figlio la
sposerà. E così avviene.
Dal poverissimo dopoguerra attraversiamo il
boom economico nipponico, la grande crisi e infine i nichilisti tempi moderni.
I passaggi epocali e sentimentali anche abbastanza simili (con le dovute
cautele) a quelli del nostro paese, sono enormemente interessanti per chi ama
la letteratura giapponese e il Giappone.
Da un mondo contadino, con una fiducia
disperata nel futuro, si passa alla ribellione della generazione successiva,
quella di una dei figli di Man’yo: Kemari.
Kemari è una ragazza
selvaggia, indomita, che alle medie e superiori si unisce ai gruppi di teppiste
motocicliste che imperversavano in Giappone negli anni ’60-‘70. Un flash quasi
sconosciuto anche per chi legge spesso narrativa nipponica.
Considerando l’immagine della donna
giapponese, ancora così conservatrice e sottomessa all’uomo, è davvero
incredibile credere che sia esistito un periodo di teppismo e female gang, dedite
a minacce e a prove di fedeltà stile yakuza ma così è stato.
Si chiamavano
sukeban ed erano una curiosa propaggine del femminismo e dello spirito di ribellione anni ’70 in salsa
giapponese.
Col senno del poi ne avevamo avuto un assaggio in Mimì e la nazionale di pallavolo, quando
Mimì viene sfidata da un gruppo di teppiste e, cadendo sopra una delle loro
moto contrae il tetano (!).
La figura di Kemari è il cuore pulsante del
libro.
Viene raccontata così bene la straordinaria e debordante vitalità di
questa donna controcorrente, di una guerriera in motocicletta, poi imprigionata
dai doveri della primogenitura, da farne davvero un grande personaggio.
Infine sua figlia Toko. Un personaggio davvero
scialbo che conclude il libro non all’altezza del modo in cui è stato condotto.
L’escamotage di darle una sorta di mistery da risolvere (la nonna morendo dice
di aver ucciso un uomo) non riesce a dare un minimo di personalità a quella che
è una ragazzetta indegna di sua madre e di sua nonna.
Sta da una vita con uno
che la tradisce, non ha interessi, non ha una direzione, si lamenta e basta.
Non so se l’autrice volesse con lei
rappresentare l’insopportabile nichilismo di alcuni membri delle giovani
generazioni presi da un interminabile peana di lamentele e da un fastidioso
fancazzismo da “tanto non serve a niente”.
Fosse quello il suo scopo c’è
riuscita benissimo, ma credo il libro meritasse un finale meno insipido e più
travolgente.
In ogni caso è un bellissimo libro, forse un
po’ penalizzato dalla copertina in stile manga.
Chi li legge abitualmente sa
che ci sta benissimo, ma il più largo pubblico rischia di collegarlo a qualcosa
di poco serio o per ragazzi.
Mentre invece, wow!
TRA MOSTRI CI SI AMA di Viviana Fiorentino ed. Transeuropa:
E’ particolare questo libro di Viviana
Fiorentino.
La storia prende le mosse da una gelida Berlino dove la
protagonista, Alice, un’expat siciliana, vive l’esistenza gelida di molti expat:
bella la Germania, il lavoro, la civiltà, la pulizia, ma insomma, se non fossi
costretta non ci vivrei.
E però da un certo punto di vista forse non
vivrebbe neanche più a Palermo (i mostri del titolo sono lei e la città
sicula): viva, debordante, accecante, violenta e tracimante. E’ un limbo in cui
si trova spesso chi se ne va e vorrebbe tornare, ma poi quando torna non ci si
trova più tanto.
La storia inizia con Alice che decide di iscriversi ad un corso di Aikido, una cosa che vorrebbe fare da
sempre e che, incredibilmente scopre riuscirle facile. Qui incontra Elisa, una ragazza ambigua (anche se sembra
ambigua solo a chi non ha ancora chiaro di essere se non lesbica almeno
bisessuale) che le smuove dentro sentimenti e molti ricordi.
I ricordi la
portano a Elena, amica liceale verso la quale provava tutto quel misto di
sentimenti ambivalenti tipici di chi non ha il coraggio di ammettere di esserne
innamorata: amicizia ossessiva, invidia, competizione, gelosia, una certa dose
di simbiosi tipica del “Non so se vorrei essere te o se sono innamorata di te”.
Di colpo le giunge una strana mail da costei,
scomparsa da anni, e Alice decide di mettersi alla sua ricerca.
Qualcosa le dice che
dietro quell’improvvisa comparsa ci sia una richiesta d’aiuto. Così, molla la
donzella di Aikido (con la quale non ha ancora capito cosa fare) e torna in
Sicilia.
La parte siciliana, devo ammetterlo, è un po’
confusa.
Probabilmente nel tentativo di comunicare la spirale di follia nella
quale Alice precipita, avvengono tantissime cose. Troppe cose. Gente che muore,
incidenti, Palermo che sembra praticamente il Bronx ma con ‘o mare e ‘o sole.
Ovviamente è la lente distorta di qualcuno sempre meno padrone di sé stesso,
che crede persino di riconoscere nella vicenda di Ruby e della Olgettine (!)
tracce di un suo vecchio gioiello che la legava all’amica.
Tuttavia, c’è davvero
troppo attaccato a questa trama, come il ramo di un albero sovraccarico di
troppi frutti che finisce per spezzarsi.
Alcune immagini rimangono impresse,
l’andamento c’è, ma troppo spesso il focus è oberato di eventi che lo
nascondono continuamente al lettore, confondendolo.
Se non altro è una trama un po’ diversa.
E’ un
esordio comunque che lascia sperare in una maturazione dello stile, soprattutto se l'autrice sarà in grado di imparare a limare le proprie idee, pulsanti e tracimanti, proprio come la città
mostro del titolo.
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