Intro di servizio:
Intanto spoiler della recensione di oggi. Il film tratto dal libro omonimo di Culicchia con un Mastandrea giovanissimo |
Come ben sapete io ho due principali format per una recensione: recensione lunga ed elaborata (che mi porta via svariate ore) e le Piccole recensioni tra amici (che essendo meno elaborate e più brevi mi portano via meno ore, a meno che non mi impelaghi in qualche roba complessa).
In ragione del mutato tempo a disposizione, ho creato una via di mezzo (della quale magari voi non sentite il bisogno, ma almeno io mi sento meno in colpa quando mi trovo con un post che non è né una cosa né l'altra).
Codesto format viene battezzato: "Le recensioni di mezzo", per non sbagliarci.
Ed ecco che subito lo inuguro con un libro che mi ha ricordato tante letture dei vent'anni:
CANI MALATI IN VAL PADANA di Francesco Rago ed. Ultra:
C'è tutto un filone narrativo che coinvolge libri et film che a me personalmente piace moltissimo.
Mi ci rivedo molto, anche se disgraziatamente i protagonisti sono solitamente uomini o forse proprio per questo, così posso risparmiarmi quelle cose presuntivamente femminili in cui mi sono sempre rispecchiata fino a un certo punto (tutto quel florilegio di turbamenti sentimental-sessuali da corpo che cresce, si trasforma e capisce, che mi facevano orrore da adolescente e mi fanno orrore anche adesso).
Se non avete letto questo libro alle superiori/ università mannaggia a voiiii. "Tutti giù per terra" è un must assoluto! |
Si tratta dei libri alla "Jack Frusciante è uscito dal gruppo", alla Culicchia prima maniera (il suo "Tutti giù per terra" rimane tuttora uno dei miei libri preferiti), alla Tondelli, alla "Santa Maradona", alla Morozzi, al primo Matteo B. Bianchi col suo "Generation of love"
Libri che hanno molto in comune: giovane ragazzo (etero o gay, in questo caso l'orientamento sessuale non è assolutamente una discriminante), stranamente dell'area nord-ovest del paese con una speciale concentrazione in Emilia Romagna (mia personale terra dei sogni), è giunto alla fine della primissima giovinezza e non sa cosa fare.
Le superiori non hanno apportato nessun significativo arricchimento personale e l'università sembra una terra abbastanza ignota e dalla quale nessuno si aspetta abbastanza niente.
Si hanno sogni ma neanche così enormi, la carica sessuale di un post-adolescente (esplosiva), l'impaccio di un post-adolescente (altrettanto esplosivo), la pressione della famiglia che si aspetta da te, come del resto la società, un comportamento improvvisamente adulto.
Ora che hai 19 anni saprai di certo cosa devi fare. O almeno fino alle fine degli anni '90 i diciannovenni avevano di queste aspettative che adesso in una giovinezza dilatata all'infinito (dai giovani, ma soprattutto dalla società che ti tratta da imberbe fino ai 45 anni e passa) sembrano spostate in avanti.
Storie sospese tra servizio militare/servizio civile, ormai reperto storico del passato per noi lettori nati da inizio anni '80 in poi, prime esperienze amorose e il grande ceffone in faccia del futuro post diploma: ehi bello, credevi davvero che adesso potessi avere il controllo della tua vita?
Mi sono sempre piaciute perché fondamentalmente è così che, servizio militare a parte (anche se ho comunque fatto un anno di servizio civile), mi sono sentita dopo il diploma, nei primi anni dell'università, con l'aggravante dell'essere meno dedita per natura a un cazzeggio vario ed eventuale, che mi è sempre colpevolmente mancato (stupido senso del dovere rovinagiovinezze).
In questa quarantena dettata da una nostalgia per il passato e per casa mia che ha assunto ormai livelli patologici, ho trovato una vera sorpresa sulla scia del genere, sapientemente nascosta da un'orrenda copertina: "Cani malati in val padana" di Francesco Rago.
"Cani malati in val padana" di Francesco Rago |
Il protagonista, Stefano Baroni detto Ruben, che in questi libri ha sempre un livello di mimesi con l'autore elevatissimo, ha 19 anni alla fine degli anni '90.
E' uno degli ultimi ai quali tocca il servizio militare che lui trasforma in civile venendo destinato all'ufficio oggetti smarriti in quel di Piacenza (o provincia non ho ben inquadrato). Non ha particolare successo con le ragazze e, quando lo ha, c'è sempre qualcosa a rovinare la festa.
Non sa se iscriversi all'università, ma dopotutto, dopo un'incandescente estate in fabbrica perché no?
E, dulcis in fundo, sogna di diventare scrittore.
La prima parte mi è piaciuta moltissimo. Amo questa giovinezze di provincia quando non sono drammatiche e crepuscolari o fonte di qualche episodio disagiato di giovani psicopatici che si danno alla droga o alla tortura dei deboli.
Sono le parti in cui mi riconosco: episodi che sembrano trascurabili se non ci fosse sempre, da qualche parte, quell'oscuro dettaglio di follia.
Cose che nei film filerebbero liscissime e nella vita reale prendono pieghe surreali. Personaggi talmente assurdi per essere veri che poi, puntualmente, finisci per incontrare con livelli di follia esponenzialmente maggiori, anche nella realtà.
Mi è quasi spiaciuto che la seconda parte virasse su Milano (che attualmente non è né il mio posto né il mio argomento preferito) e sulla storia che i giovani scrittori dovrebbero forse smettere di raccontare: il giovane scrittore che vuole diventare scrittore e in qualche tortuoso modo ce la fa.
Perché le storie di quel tipo entrano in una prospettiva di realtà e aspettative che guastano un po' il contorno di genuina follia che rende divertente i libri della vita quotidiana di un ventenne.
Lo immettono in una carreggiata di ambizioni e obiettivi, che, dieci anni dopo, ti rendi conto, non c'era alcuna fretta di imboccare.
Come cantava Guccini "A vent'anni tutto è ancora intero", quindi perché affannarsi così tanto a fissarlo in una cornice finendo per tirarlo troppo e romperlo?
In ogni caso, sentori personali a parte, è un libro fresco, grazioso, perfetto per un pomeriggio estivo un po' nostalgico.
PS Assolutamente insensata la copertina che fa pensare a un saggio su cani problematici. Capisco che un libro non dovrebbe giudicarsi dalla copertina e questo ne è l'esempio lampante, ma sembra ci si dimentichi, di tanto in tanto, che un lettore, entrando in libreria, viene attirato anche dalla copertina che, se non altro, dovrebbe comunicare velatamente il contenuto del libro.
Ora, per carità, sono esistiti libri con copertine oscene diventati successi imperdibili, ma mi sento propensa comunque a credere che vestire un libro bene possa aiutarlo nel suo, già difficoltoso, ciclo di vita.
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