venerdì 20 settembre 2013

Borghesia borghesia per cattiva che tu sia. Post di sfogo politico: cosa spinge una persona a comprare gli aforismi di Agnelli e a votare un certo imprenditore?

Alcuni eventi della mia vita mi hanno indotto ad uno status che poco si accorda, assai probabilmente, col XXI° secolo. Tale movimento dell'anima non si quieta neanche dopo tempo: trattasi della mia profonda avversione (odio pare brutto ma potrebbe anche essere) verso la borghesia.
 
Quando ero alle medie credevo molto ingenuamente che i borghesi fossero questa classe sociale formatasi perché in sostanza l'aristocrazia non faceva una beneameata mazza campando sul latifondismo e i servi della gleba. Mentre principi e visconti se ne stavano in panciolle sui loro enormi cuscini piumati aspettando la decima, avvocati, commercianti e uomini brighevoli di estrazione sociale più bassa diventavano sempre più ricchi grazie al loro duro lavoro (dovremmo dare una rivista ai libri scolastici credo). Alle superiori, si iniziava ad avere un quadro un po' più chiaro della faccenda, ma c'è da dire che se non si vive in un contesto fortemente borghesizzato rimane sempre un po' tutto nel boh, chissà de che stamo esattamente a parlà? Non riesci (o almeno io nella mia tontaggine non riuscivo) a fare alcuni collegamenti fondamentali. Fino alla V superiore, avevo l'idea confusa, probabilmente generata dalla scuola pubblica che fossimo davvero tutti uguali e davvero il più bravo dei bravi sarebbe giunto in cima alla catena alimentare del successo. 
 Poi, fortunatamente, ho messo piede all'università e sdeng, ho capito finalmente che la borghesia andava  ben oltre il pur bel romanzo di Moravia, "Gli indifferenti".
 Me lo diedero da leggere al liceo, a molte mie compagne non piacque, io ci vidi una sorta di profonda vendetta verso un mondo che meritava di ripiegarsi su se stesso e morire. Se Carla preferisce sposare un ricco uomo che prima se la faceva con la madre pur di vivere negli agi, e il fratello vuol vivacchiare depresso, nel tipico sconforto blasè di chi non ha un cavolo a cui pensare, cavoli loro. Era anzi, a mio parere un trionfo del bene.
 Se ben osservata, la libreria offre una risposta al perchè il nostro paese sia tra le grinfie di un chiacchierato imprenditore da così tanti anni, tanto da aver quasi festeggiato i vent'anni di regno quasi ininterrotto. 
 Nella sezione di economia c'è un ripiano piccino picciò abitato da questi libri sulle biografie dei grandi imprenditori o delle grandi famiglie industriali dell'Italia e in the world. Ovviamente i signori incontrastati del settore non possono essere altro che gli Agnelli, sviscerati in ogni loro forma e sottoforma. 
 Ebbene, vendono in modo inquietante. Voi direte, vabbeh, gli Agnelli tra morti, amanti, principesse, intrighi di potere e compagnia bella, sono un boccone molto ghiotto, è tipo leggere "Beautiful", ma vero. E vi do ragione. Ma l'anno scorso, in occasione del decimo anniversario della morte del caro avvocato (a 10 anni sappiate che scatta la santificazione, quest'anno è toccato ad un imprenditore morto suicida durante tangentopoli: bello, ricco, sì ladro, ma stai a guardà il capello?) ci è giunto in libreria un tomo che per qualche tempo è stato vendutissimo.
 Titolo: "Mi piace il vento perché non si può comprare" by Gianni Agnelli. Una sorta di raccolta di aforismi/pensieri/imperdibili perle del proprietario della Fiat.
 Adesso, di titoli orrendi ce ne sono tanti, (l'altro giorno ne è arrivato uno di religione che raffinatamente si chiama "Chi non muore si rivede", sì stiamo parlando dell'aldilà), ma questo non solo è orrendo, è sfacciatamente sincero. Uno degli uomini più straricchi d'Italia il cui degno nipote sta divorando un'industria col concorso di un manager che se rinunciasse al suo stipendio sfamerebbe tutti gli operai di tutte le fabbriche in barba alla crisi, ti dice vezzoso che insomma, il vento è fico perché supera la tua capacità di ottenere tutto coi soldi. Cazzarola che profondità.
 Ecco questo libro è stato vendutissimo, te lo chiedevano! Ah, il povero avvocato, ah la santificazione postuma! 
Mi chiedo come non si rendano conto che il signor dottor industriale li avrebbe guardati con lo stesso sguardo di benevolo disagio, un po' paternalistico, che la moglie sciura dell'imprenditore ai cui figli rincoglioniti facevo ripetizioni, mi fissava. "Sa", mi diceva in ansia. "Dovrebbe fargli fare tutti i compiti della settimana oggi, perché poi andiamo in Svizzera a sciare tre giorni e non vorrei fossero disturbati dallo studio."
 I pargoli che non devono essere disturbati mentre sciano, avranno un giorno molte più possibilità della maggior parte dei figli di coloro che, boccaloni, comprano la raccolta di aforismi di Marchionne "Chi comanda è solo" (sognando che un giorno il loro pargolo diventi un bel padroncino come lui).
 C'è un libro della Feltrinelli, uscito quest'inverno di Susan George, si intitola: "Come vincere la guerra di classe". Molti diranno: stiamo ancora qui a raccontarcela e a parlare della lotta di classe, così non andremo mai avanti. Ma voltando il retro ci si accorge che il titolo non deriva da una massima di Marx, ma direttamente dalla viva bocca di uno degli uomini più ricchi del mondo, una delle grandi star della leadership, che migliaia di uomini in tutto il mondo non solo seguono, ma arricchiscono comprando i suoi libri.
"C'è una lotta di classe, è vero, ma è la mia classe, la classe ricca che sta facendo la guerra, e stiamo vincendo"
 Warren Buffett, la terza persona più ricca del mondo.

ps. Oggi volevo in verità parlare di tutt'altro, ma la visione di "Viva la libertà" di Roberto Andò e gli scempi che stanno accadendo in questi giorni, tra cui un certo videomessaggio, mi hanno sospinto verso questi momenti di ribellione molesta. Domani rientrerò nei ranghi, promesso.

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