mercoledì 19 novembre 2014

La nostra storia e la storia d'Italia viste dal cibo. Una graziosa graphic novel e un saggio mayalesco per porre l'accento su quello strano rapporto che intercorre tra un essere umano, il suo stomaco e i suoi ricordi storici e familiari.

Ognuno di noi ha un rapporto particolare col cibo.
Ce lo avevano anche regalato, ma terrore delle onde nocive
vincit omnia
 Non parlo di un rapporto di odio o amore, di gusti o preferenze, ma un rapporto letteralmente storico. Per ragioni sociali, regionali e principalmente familiari, se ognuno di noi tentasse di scrivere la storia della propria vita attraverso il cibo, scoprirebbe quanto questo abbia influenzato la sua esistenza.
 Vi faccio un esempio. 
 Ci sono varie cose di cui io non riesco per educazione a fare uso: la lavastoviglie (che mio padre ha sempre considerato uno spreco di energia), il forno a microonde (che ci regalarono anche ma mio padre ha sempre pensato nuocesse alla salute), la centrifuga per pulire l'insalata (che mia madre ha sempre fissato con sospetto soverchio) e persino lo sbattitore per amalgamare l'impasto della torta di mele.
  Lungamente mi è stata passata anche la convinzione che mangiare più di due uova a settimana avrebbe causato la mia morte per eccesso di colesterolo seduta stante (ancora adesso ho serie problemi a fare frittate con tre uova) e da bambina ricordo il terrorismo psicologico sulle merendine (mio padre agitava lo spettro di un fantomatico cugino il cui eccessivo uso di merendine aveva fatto cadere tutti i denti che a furia di mangiare cose morbide avevano perso robustezza).
 Sostanzialmente i miei genitori erano persone che astutamente mi imponevano una dieta accompagnandola da storie che la rendessero non solo credibile, ma anche ineluttabile. Volevo morire io a causa di un uovo in più o stramazzare a causa di un surgelato (i miei avevano un atteggiamento sospettoso anche verso di essi, ora ne sono grandi fan)? Giammai!
 Da cosa nasce codesta profonda riflessione? Dalla lettura, uno dietro l'altro di due libri che hanno in comune il rapporto tra il cibo e i ricordi.
 Non sto parlando di quelle robe a base di ricette segrete e amori del passato, ma della molto graziosa graphic novel  "Acquolina. La mia vita tra i fornelli" di Lucy Knisley ed. Rizzoli e di un grazioso saggio sulla storia d'Italia vista dall'evoluzione delle mode culinarie dal secondo dopoguerra ad oggi.
 Il primo l'ho letto per caso. la copertina, complice quel lilla infestante non è proprio invogliante, invece l'autrice, una giovane americana con la passione per il cibo (non il cibo americano, il cibo buono), ripercorre la storia della sua vita tramite alcuni piatti che le sono rimasti impressi.
 Non è zuccherino, non è buonista, non parla di ammmore, ma è piuttosto un resoconto molto divertente delle sue alterne vicende familiari e dei viaggi (numerosi, beata lei) che seppur giovane, ha fatto per il mondo. Inizia quindi dal delirio della fattoria biologica in cui sua madre incolse subito dopo il divorzio, quando era bambina.
 Trasportata in una fattoria dall'oggi al domani, riuscì a trovare il lato divertente e interessante della faccenda. Scoprì come si allevano polli, come gli agricoltori vicini si aiutino e si freghino a vicenda e il magico mondo dei mercatini biologici (dove non comprava, ma vendeva). La storia continuava poi con un'adolescenziale viaggio in Messico che assunse gli strani toni di un rito di passaggio, una visita in Giappone al suo migliore amico, travasato adolescente dai suoi genitori in un posto di cui non capiva la lingua e i costumi (ma apprezzava il cibo).
 I disegni, molto graziosi, molto da blog aggiungerei, hanno un grande pregio: nonostante la semplicità fanno venire una grande fame. Soprattutto un piatto messicano a base di uova,  Huevos Rancheros, una cosa che appena avrò tre minuti di tempo mi metterò a spadellare.
 Il secondo libro invece, "La repubblica del maiale" di Roberta Corradin ed. Chiare Lettere, lo corteggiavo da un po'.
 Avevo letto dei pezzi a campione e l'autrice non mi sembrava la solita pomposa critica alla ricerca dell'aggettivo ricercato che infarcisce gli articoli di arzigogolamenti insopportabili. Inoltre, io ho sempre avuto una passione non tanto per il maiale come cibo quanto per la parola maiale (e per tutti i suoi sinonimi, suino in particolare), quindi l'attrazione era totale.
 Considerando il prezzo non eccessivo, 12,90 infine mi sono buttata. Ho fatto bene. Segnatevelo per Natale come libro grazioso da regalare al parente di turno che magari legge poco, ma idolatra Masterchef  (o ama leggere anche cose leggere e ama Masterchef). 
 L'idea sembra banale, ma è trattata in modo molto grazioso: cosa decreta il successo e la sopravvivenza (o il revival) di alcuni cibi in determinati periodi storici?
La parola scandali non c'entra molto, ma ormai
per i frontespizi della Chiare Lettere è un must
irrinunciabile
 Poiché il '900 è stato un secolo breve e la Repubblica è molto giovane, la disamina corre velocissima saltabeccando tra i decenni e il libro va giù in un lampo. Non c'è molto spazio per le vere considerazioni sociologiche, ma l'ironia con cui si descrive il rapporto tra un essere umano sempre più distante dalla terra e sempre più attaccato ad altro è l'asse portante di quella che alla fine è una sorta di romanzo con un mucchio di illustri vittime.
 Si parte dal dopoguerra, in cui i nostri nonni o bisnonni quasi tutti poverissimi e molto più agricoli di noi, autoproducevano qualsiasi cosa, scandivano i propri ritmi vitali a seconda delle stagioni, delle sementi e delle bestie da loro allevate e mangiavano forzatamente cibarie povere che noi pauperisti per moda di ritorno, passiamo come bocconi prelibati.
 E in effetti lo sono, a me, per dire, la carne non piace, men che meno le salsicce. Ebbene, di quelle che mia nonna faceva alla brace in campagna mentre coglievamo le olive al suo terreno in novembre quando ero bambina, me ne sarei mangiata chili, come anche le bistecche.
 Di ritorno a casa le pretendevo per poi rimanere disgustata e interdetta dall'abisso che intercorreva tra una stupida bistecca del supermercato cucinata in padella e quella delizia nonnesca,
 Gli anni '60 e '70 segnano l'inizio del boom economico e dell'industrializzazione. Le massaie si dibattono tra alterni sentimenti: fare tutto a mano, dalla maionese alla pasta brisè per dimostrare di essere la casalinga dell'anno o cedere alla tentazione delle creme già pronte, della gelatina industriale e della magica panna in confezioni brik (che peraltro fanno tanto moderno)? Vince ovviamente la seconda, anche perché col passare degli anni, il tempo fuori casa cresce assieme al numero vertiginoso delle ore passate in ufficio.
 Negli anni '80 iniziano i cibi precotti, quelli per single e i grandi assemblaggi: pezzi presi qui e lì a formare piatti che non richiedono nessuno sforzo se non l'entrare in un supermercato (uno su tutti la rucola col grana). Poi, tra gli anni '90, minimal persino in cucina e le grandi sperimentazioni molecolari del 2000, si arriva alla crisi, dove lo spettro della carestia fa correre al riparo.
Peraltro dovete sapere che mia nonna, che è laziale dop doc da
tremila generazioni, somiglia davvero tantissimo alla Sora Lella
La più grande sicurezza iniziano a darla, manco a dirlo, gli ingredienti locali, ecologici, a km zero, molto ritorno alla terra style.
  Qualcuno paventa un ritorno alle origini nonnesche, ma fidatevi che se metto davanti a mia nonna una roba semicruda pseudovegana o con spolverate di robe igp, doc dop a caso, essa mi guarderà con lo sguardo di chi si chiede: ma mia nipote si droga?
 Perciò, indicativamente, a parte rari casi, in questi pallidi anni '10, siamo un po' come Maria Antonietta che nel film della Coppola gioca alla casetta di campagna con la figlia nel giardino, con le cameriere che le puliscono le uova sotto le galline perché essa non si sporchi le mani.
 Un libro muy grazioso, pieno di ricette dei tempi che furono, abominevoli ai nostri occhi eppure un tempo must irrinunciabili. E il terrore a quel punto corre sul filo: che cos'è che stiamo mangiando con tanta foga ora che un giorno i nostri nipoti troveranno assolutamente raccapricciante?
 Ai posteri l'ardua sentenza.

Ps. Dedico questo post a mia nonna, che un giorno mi sconvolse affermando di non aver mai visto né assaggiato una melanzana fino ai 16 anni di età (mia nonna non ha neanche 80 anni).

6 commenti:

  1. Non so tu, ma io mi sono fatto delle fisse mie e ho abbandonato quelle dei miei:

    1) Da quando ho preso una lavastoviglie super tennologica - praticamente li lava a secco - non lavo più nemmeno un bicchiere. E sono separato con figlia a mezzo carico. Quando avvio la lavastoviglie praticamente camminano. :-)
    2) Microonde solo per scaldare e i pop corn.
    3) Margarina no. Se devo morire di colesterolo, che sia quello buono del burro.
    4) Latte parzialmente scremato o scremato o a lunga conservazione no. Meglio un the o un bicchiere d'acqua.
    5) Pietanze light da evitare. Come dicevo: morire di colesterolo ok, ma almeno felici.
    6) Vini e formaggi non italiani solo in casi eccezionali. Ne abbiamo così tanti qui, e buoni, non capisco perché comprare quelli esteri.

    Poi non so perché, forse pigrizia, non riesco ad usare gli aromi. Semplicemente me li dimentico (a volte anche il sale!) o non ho voglia di pulirli/prepararli/comprarli. Eccezione: coriandolo, i semi secchi tritati a mo' di pepe.

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    1. Condivido il terrore della margarina e il burro è assolutamente bandito da qualsiasi cosa non siano dolci (qui al nord mi viene male di continuo: lo mettono ovunque!!)

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  2. Fino a pochi anni fa quando si ammazzava il maiale a casa dei miei c'era mia nonna (capelli bianchi, grembiule insanguinato, berretto sformato in testa) che rimestava in un paiolo con un bastone: pian piano emergevano vari scarti del maiale, testa, grugno, orecchie, occhi... così si fa la "coppa di testa" in Romagna, per alcuni un salume prelibato, per me antidoto perpetuo alla finta passione agricola di ritorno...

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    1. Sì, però dillo che in Romagna i più lo chiamano 'musotto', e davanti alle scritte del supermercato come 'coppa di testa' restano interdetti... XD
      Anche io ho visto macellare il maiale e nascere tutte le prelibatezze - e le schifezze - connesse. Anche a me il musotto non è mai piaciuto (però ti passo un "segreto": se lo metti a farcire la piadina calda, la parte oleosa si scioglie un po', vengono fuori gli aromi, e si sfanga decisamente meglio ;) ), ma ci sono talmente tante alternative in un maiale, che non sarà quello a rovinare il gusto della vita in campagna, dai XD

      @Nathan Ranga
      Anche a casa mia certe fisse ci sono sempre state. Niente ostracismo alla lavastoviglie (come dice mia madre, consumo molta più acqua io, a lavare i piatti a mano, ché ho la fobia di ogni singola bollicina rimasta sui piatti, e sciacquo, sciacquo, sciacquo... :P), ma il microonde non è mai entrato perché mio padre la pensa come il tuo.
      Margarina mai vista neanche col binocolo e surgelati 'compri' praticamente assenti da sempre, a parte qualche rarissima busta di verdura fuori stagione, se era del tipo che i nonni non coltivassero da sé e stivassero in congelatore autonomamente.

      Per il resto, per mio padre le merendine avevano senso solo nell'intervallo a scuola (per praticità), ma solo se 'lisce' o con marmellata. Tutte quelle con creme, cioccolate, farciture, ecc. erano severamente bandite (con l'unica eccezione della crostatina, di cui veniva tollerata anche la versione al cacao, ma solo tra molti mugugni).
      Come ho avuto modo di ricordare recentemente, annovero tra i miei traumi infantili l'aver dovuto ingollare per anni all'intervallo delle elementari viscide nastrine o crostatine fredde, appena uscite di cellophane. Snack che, a oggi, faccio fatica anche solo a guardare. Bleah!
      Per fortuna alle medie trovai un'amica coi genitori più integralisti dei miei, a cui le merendine erano proibite tout court, e spesso regalavo a lei la mia crostatina in cambio della sua tigella fresca con stracchino e rucola. Mai capito come facesse a preferire la mia merenda, eh! Mah, ehi, de gustibus, ecc. e io ci ho guadagnato! XD

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  3. Anche qui niente lavastoviglie: per mia madre è assurdo accumulare piatti sporchi per aspettare di riempirla e quindi attivarla (ovviamente consuma più acqua, figurati).
    Il microonde è entrato di soppiatto per scongelare, ma lo guardiamo tutti come se fosse radioattivo.
    Ho il tuo stesso problema con le uova, tanto che quando mia zia una sera a cena mi propinò DUE uova al tegamino, mi prese un colpo.

    Nonostante questo, mio padre è un adoratore di schifezze, merendine, caramelle, bibite gassate e porcherie varie, che ho difficoltà a far levare dalla sua dieta. D'altronde, può mangiare quello che gli pare, solo che tira nel baratro anche gli altri inquilini della casa.

    Dipendesse da me far fuori gli animali per farci prosciutti o per mangiarmi un pollo arrosto, mi sa che condividerebbero con me l'insalata e vivremmo tutti insieme appassionatamente. Non avrei problemi a diventare vegetariana, ma sono fortunata, perché la mia cucina regionale prevede un sacco di ricette in tal senso.

    Di certo ci saranno tante nonne domani che, invece di preparare quelle teglie al forno supergrasse e torte e biscotti piene di uova, latte, burro e zucchero, rifileranno una finta carbonara (perché quella veg non è una carbonara, datele un altro nome, ma non ci prendiamo per i fondelli da soli) e biscotti senza uova, senza latte, senza zucchero... praticamente granaglie impastate con acqua e tanti di quegli ingredienti strani che vengono da luoghi sperduti con il teletrasporto per non inquinare, suppongo.

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  4. Noi siamo 3 e usiamo eccome la lavastoviglie e anche il microonde che ha 20 anni e fila che è una bellezza, essendo tt col colesterolo alto il burro lo limitiamo ovviando con l'olio x quanto possibile

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