Per il grande ritorno delle recensioni di mezzo, ne approfitto per mettervi in guardia da "La donna dalla gonna viola" di Natsuko Imamura ed. Salani.
Io, come sa chi segue il blog da sempre, amo molto la narrativa giapponese quindi tendenzialmente cerco di leggere tutto quello che esce e, sarò sincera, raramente ne vengo delusa. MA. Ma qualche volte accade e "La donna dalla gonna viola" è una di queste.Si tratta di un romanzo di cui è davvero difficile, se non impossibile, cogliere il senso logico nella sua parabola che ci trascina percorrendo varie strade senza imboccarne nessuna con reale convinzione per non approdare poi da nessuna parte.
Ma partiamo dalla trama.
La narratrice è una misteriosa donna dal golfino giallo che tutti i giorni osserva con fare da stalker l'altrettanto misteriosa donna dalla gonna viola.
Entrambe non se la passano benissimo. La donna dal golfino giallo lavora in una ditta di pulizie per alberghi, mentre quella con la gonna viola campa di lavoretti saltuari e in generale sembra avere difficoltà a prendersi cura di sé stessa.
Entrambe vivono ai margini e passano tutto il loro tempo libero in un giardinetto dove alcuni bambini passano il tempo a inventare una patetica prova di coraggio che consiste nel toccare la spalla alla donna dalla gonna viola.
La donna dal golfino giallo all'inizio ha un piano che noi poveri lettori possiamo comprendere: cerca di far assumere la donna dalla gonna viola nella stessa azienda di pulizie dove lavora anche lei. In tal modo potrà avvicinarla e diventarne amica. E ok, ci siamo.
In qualche modo questa cosa accade veramente, ma la donna con la gonna viola contro ogni aspettativa vive una sorta di momento di gloria: le capo servizio la prendono subito in grande simpatia e non solo la promuovono, ma la mettono a parte di tutto il vasto mondo del taccheggio delle inservienti.
A quanto sembra tutte loro ladreggiano cibo e piccoli oggetti o accessori, tipo shampoo e asciugamani, dalle camere che puliscono per poi dare la colpa ai clienti ormai involati.
Anche il tizio che dirige questa sorta di azienda (o comunque gestisce le inservienti nell'albergo) inizia a subire il fascino della donna dalla gonna viola che, col passare dei giorni, acquista sicurezza e si imbellisce, sotto lo sguardo sconcertato della donna dal golfino giallo.Natsuko Imamura (a destra)
al premio Akutagawa
Per motivi che non sono chiari e che non vengono nemmeno ben spiegati, la donna dal golfino giallo, dopo aver pregato per mesi che l'altra venisse assunta per farsela amica, finisce per non avvicinarsi mai a lei procrastinando a oltranza il momento.
Se però tutto si può spiegare con una diversa introspezione del personaggio nella narrativa giapponese (che sarebbe anche materiale interessante da analizzare a livello di critica letteraria), quello che davvero non ha senso è il finale che danneggia drammaticamente una trama già di suo abbastanza monotona.
Il finale non ha senso perché è accidentale e studiato al tempo stesso. Non voglio fare spoiler, ma sostanzialmente, dopo il momento di gloria la donna dalla gonna viola diventa invisa alle altre a causa della sua relazione col loro direttore.
Accade poi una cosa accidentale e imprevista che però collima con lo scopo dell'ossessione della donna dal golfino giallo.
Va bene che i complottari dicono che le coincidenze non esistono, ma in questo modo si vanifica il meccanismo già di suo non molto coerente dell'intera storia che in patria ha incredibilmente vinto il premio Akutagawa e immagino sia stato tradotto proprio in funzione del prestigioso riconoscimento vinto in patria.
Per leggerlo, si lascia leggere (soprattutto e più che altro se amate la narrativa giapponese, altrimenti rischia di essere anche abbastanza noiosetto), ma non rimane assolutamente niente.
Anche il millantato gioco psicologico funziona nella prima parte, nonostante la protagonista respingente, ma non trova senso nel finale che, se da una parte è provocato da quella che è un'autentica stalker, dall'altra sfocia in un caso che non poteva essere previsto manco in "Minority report".
Quindi a conti fatti anche questa ossessione che non sappiamo dove nasce né perché né a cosa miri non è un motore abbastanza forte per rendere questo romanzo convincente.
Davvero sarei curiosa di sapere quali erano le alternative per il premio Akutagawa, ma chissà magari mi sfugge qualcosa, come quella volta che un'indignata Dolcemetà tornò dal cinema dopo aver visto "Lady Bird", candidato all'oscar e favoleggiò per svariati giorni sulla possibilità che ci sfuggisse qualcosa che poteva essere colto solo con occhi americani.
Ecco, magari è qualcosa del genere, intanto per me è un no.
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