Stanno giungendo in questi giorni a lavoro, tantissimi graphic novel e fumetti degni di nota. Personalmente bramo e mi limiterò a bramare "Gli archivi Bonelli vol. 2" con le migliori storie dei personaggi Bonelli e la prefazione di Claudio Giorello, "Diario di un cattivo papà" di Guy Delisle e "Marx" di Corinne Maier e Anne Simon sulla vita del sempre compianto Karl.
Nel mucchio è poi spuntata un'altra graphic novel, che non brilla particolarmente per i disegni e neanche per la particolare poesia della storia, e che tuttavia possiede una strana forza, struggente, desolante. Quella forza che hanno le storie che vorresti fermare per dire, "Com'è possibile che sia andata così?"
Parlo de "L'autunno del '79" del francese Barthe Hugues ed. Clichy, secondo capitolo dell'autobiografica adolescenza dell'autore iniziata con "L'estate del '79". La storia, autobiografica, per molti aspetti ricorda il celeberrimo "Blankets" di Craig Thompson. E' impressionante come in continenti diversi, problemi diversi abbiano afflitto due persone tanto simili: sensibili, gentili, completamente avulse e differenti dal contesto che li avvolgeva. Come fossero due alieni capitati per caso in una terra non loro.
In "Blankets" (per chi non lo conoscesse) Thompson era vittima di una di queste famiglie ipereligiose che però poi sfornano tanti scrittori e artisti di successo (la repressione estrema stimola la fantasia in modo estremo?). Diverso dai compagni grossi, volgari e machi della provincia americana, viene cresciuto in un clima di totale senso di colpa. Tutto agli occhi di Dio è peccato. Poi, per caso, ad uno di quei campi scuola religiosi che amano fare pure in Italia, conosce una ragazza bellissima e riesce in qualche modo a farsi spedire da lei per due settimane durante le vacanze invernali.
Le vacanze più belle, dolci, poetiche, complicate della sua vita. Era molto tenero il Thompson ragazzino, ingenuo, limpido (o almeno così si dipinge), per lui il massimo del sogno raggiungibile era starsene per sempre abbracciato con lei su un albero, che dipinge sul muro. Nulla sarà mai più così luminoso, neanche quando, finito il liceo, si trasferirà in città provando l'ebbrezza di una festa perenne. Meraviglioso è il momento in cui entra nella biblioteca: tutti i libri del mondo da leggere! Un sogno per chi in casa aveva sempre avuto solo la Bibbia e al massimo quelli di scuola.
La storia di Hugues, parte dallo stesso presupposto: una persona sensibile sbattuta a vivere in un ambiente ostile.
Solo che, a mettere in moto la sua storia, iniziata ne "L'estate del '79", un violento interno familiare di una sonnolenta e ipocrita provincia francese (anche loro hanno i loro seri problemi con le provincie addormentate), è un evento molto più triste e cataclismatico: suo padre, quando aveva tredici anni, comprò un fucile e iniziò a dire a tutti, nel paesello dove vivevano, che avrebbe ucciso sua moglie e i suoi tre figli.
La signora Barthe fece come tante altre donne: si prese paura, fuggì coi bambini e poi pochi mesi dopo, credette alle parole di pentimento del marito alcolista e tornò. Questa è la storia della vita di Hugues in quei mesi fuori dal tempo ordinario. Sballottato di casa in casa e diviso dagli altri due fratelli, venne preso in custodia da una sua zia, Dominique, che lui ricorda con tanto affetto, ma a cui io (quando briga per liberarsene non ascoltando le preghiere di un ragazzino terrorizzato) avrei davvero mollato due schiaffi.
La signora infatti lo porta con sé in una cittadina che a lui sembra praticamente NY perché ha quel minimo di civilizzazione che secondo me un luogo dove si sceglie di vivere dovrebbe avere.
A casa sua, Hugues inizia a disegnare, ad ascoltare musica classica e a leggere i classici di sua cugina, che vive altrove. La notte sogna di essere Martin Eden e la sera, guardando la tv legge Papà Goriot, (anche se di questo mi domando il perché visto che non ne comprendo l'appeal su un ragazzino). E' terrorizzato all'idea che sua madre lo venga a riprendere e lo riporti a casa, dove suo padre li picchia, lei piange, la scuola è un incubo e gli altri lo tengono lontano perché è il figlio dell'ubriacone. Implora la cara zia Dominique di tenerlo, ma sua madre nel bel mezzo dell'autunno, tornerà inesorabilmente a riprenderlo.
Fu una stagione molto breve, eppure col tempo farà la differenza. Gli impedirà nella miseria umana ed emotiva degli anni che verranno, di non annegare nel niente.
Non è una storia di trionfi, del genio che nasce dalla miseria, della pianta che non viene sradicata dal freddo, a me è sembrata, più che altro, quella di tutti coloro che crescono e non muoiono nonostante il mondo pretenda da loro solo questo. Che muoiano dentro, che muoiano tutti i giorni, come diceva Neruda nella sua poesia più sbrodolata e citata. E, come sa chi mi fa l'onore di leggere questo blog, è una delle cose che apprezzo di più nelle trame.
Se ce la fate prendetelo, vale la possibilità che gli date. Magari dopo aver riletto "Blankets" che è sempre un piacere.
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