Per festeggiare l'insperatissimo traguardo dei 100.000 (vi dico che era talmente insperato che, aprendo il blog, avevo promesso alla mia dolce metà che per il conseguimento di tale numero di click le avrei pagato un viaggio, questo perché credevo sarebbe accaduto tra qualche anno, forse, se gli astri mi fossero stati favorevoli e i venti avessero invertito le rotte cosmiche), ecco per tutt* voi l'intervista a Piergiorgio Paterlini.
Piergiorgio Paterlini |
Ovviamente non ha bisogno di presentazioni, ma un recap lo faccio lo stesso.
Anni e anni fa, presi in prestito in biblioteca questo libro dall'inquietante copertina (peraltro, passano le edizioni, ma la copertina resta): "Ragazzi che amano ragazzi". Il titolo mi incuriosiva e io ignoravo fosse una sorta di pietra miliare per la comunità Glbt italiana.
Erano una serie di interviste e storie di ragazzi omosessuali che mi colpirono molto. In particolare, mi rimane impressa ad anni di distanza, la lettera che uno di questi ragazzi scrisse in un italiano decisamente sgrammaticato, descrivendo la profonda sensazione che gli aveva dato vedere un banchetto con dei volontari dell'arcigay (vado a memoria quindi potrei sbagliarmi con qualche altra associazione omosessuale), tanto da non riuscire a gettare un bicchiere di plastica che costoro gli avevano dato offrendogli da bere en passant. Ritenni, nel solito modo categorico che hanno tutti gli adolescenti, che tutto ciò dovesse appartenere ad un altro mondo, a terre lontane da non prendere in considerazione, un qualcosa che dopotutto non mi toccava davvero, terminai il libro e tutto finì lì.
Lessi questa edizione. Adesso il titolo è "Matrimoni gay. Dieci storie di famiglie omosessuali" |
Anni dopo, durante un'edizione di "Più libri più liberi", presi in prestito un altro libro di Paterlini, appena uscito, "Matrimoni".
Erano le storie di dieci coppie omosessuali alle prese non solo con le beghe quotidiane, le crisi e le gioie di tutte le coppie della terra, ma anche con la pessima legislazione italiana nei riguardi degli omosessuali, che impedisce loro di sposarsi, formare coppie di fatto ricosciute, ereditare, stare vicino al propri* compagn* nel momento della malattia, di vedersi riconosciuti dai parenti dell'altro in caso di morte.
Un libro che, al contrario di "Ragazzi che amano ragazzi" riguardandomi molto da vicino e mi mise di fronte a molte amare verità e alla mia indifferenza di pochi anni prima.
Finché si ritiene che una cosa non ci riguardi, per noi quella cosa non esiste, anche se si tratta di diritti che diventano doveri morali per tutti i cittadini dello stato, per tutti coloro che si dicono esseri umani. Non è una frase fatta e neanche un pensiero così scontato come sembra, ve lo assicuro, la controprova è la lettura di questo libro, che vi caldeggio molto.
Questo è stato il modo in cui ho scoperto Piergiorgio Paterlini, giornalista e scrittore nonché cofondatore del mitico "Cuore".
E ora (finalmente direte voi) l'intervista!
Male. Insufficiente ma soprattutto con le idee poco chiare. Su dove, come intervenire efficacemente.
E-reader o carta stampata?
Entrambi!
Cosa leggeva da bambino?
Tutto
quello che trovavo, avidamente. Prima di aver imparato a leggere
tormentavo mia nonna giorni interi e la prendevo alla fine per
sfinimento. Fino a che non mi leggeva il libro “Cuore” che
all’epoca era pubblicato a puntate su “Famiglia cristiana”,
unica carta stampata che arrivava in casa.
In prima elementare
durante un’influenza ho scoperto, grazie a una cugina più
grande, Topolino, ma mi piacevano solo i testi non le figure, ero già
pazzo, ero un tossico all’ultimo stadio, ne ho letti due scatoloni
enormi senza fermarmi fino a che la scorta non era finita e con un
grande senso di fame alla fine non si sazietà. In prima
elementare ho cominciato a saccheggiare la biblioteca scolastica,
leggevo un romanzo al giorno, da Verne in avanti. Sempre a 6-7 anni,
in soffitta, avevo scoperto un libro avventuroso su una donna
prigioniera in una jungla, l’ho divorato contro il parere dei miei
che non sapevano cosa ci fosse scritto.
Forse l’unico rimpianto
della mia vita è non sapere che libro fosse e non poterlo
ritrovare. La mia copia infatti un po’ rosicchiata dai topi era
senza copertina e senza frontespizio.
A 5 anni. Mi immaginavo a 16, cioè praticamente vecchio, a Parigi, in una soffitta gelida senza riscaldamento, con la polmonite, a scrivere tutto imbacuccato il mio prodigioso romanzo, a lume di candela, mentre dall’abbaino vedevo scendere la neve. Una scena ottocentesca che avevo visto non so più dove. L’ho detto, ero completamente pazzo.
Come ha mosso i primi passi nel mondo della letteratura?
Come tutti, ho scritto e pubblicato una raccolta di poesie bruttissime. A 17 anni. Poi ho scritto poesie spero migliori. Fin dal liceo, il giornalismo. In fondo, il mio primo libro vero è arrivato tardissimo, nel 1991, quando avevo già 37 anni.
Un consiglio a un giovane scrittore?
Leggere
fino a lasciarci la pelle. Poi trovare un bravo editor. Pagarlo a
costo di consegnare pizze per anni. Cercare qualcuno che massacri il
suo lavoro fino a che non ha imparato a scrivere come si deve.
Qual è il suo metodo di lavoro?
Il lavoro. Il lavoro come metodo.
Lei ha scritto uno dei libri italiani più importanti sulla questione Glbt “Ragazzi che amano ragazzi” quali furono le reazioni alla sua uscita nel 1991?
Entusiasmo di molti, moltissimi. E totale silenzio da parte di tutti quelli contrari. Credo abbiano pensato che un libro così vivo e letterario insieme si poteva combattere solo col silenzio. Ma chi lo ha amato – tantissimi – parlava eccome.
Ha incontrato di nuovo qualcuno dei ragazzi intervistati?
Con
ognuno di loro ho avuto e ho un rapporto diverso. Da nessun rapporto
a un’amicizia che è diventata più forte con gli anni
(casi rarissimi).
Ma con questi pochi neanche mi ricordo che sono
stati i protagonisti di “Ragazzi”. Per me quei ragazzi sono ora
“personaggi” come per qualunque lettore, universali in qualche
modo, e per questo con la possibilità ancora oggi di
riconoscersi in loro, nelle loro vite, parole, emozioni.
Il problema è molto più complesso secondo
me. Credo abbiamo sottovalutato tutti il tabù millenario e il
bullismo quotidiano. La domanda che mi pongo da qualche anno non è
cosa è cambiato e cosa no ma: come mai tutto quanto è
cambiato – ed è innegabile – arriva così poco alle
persone, ragazzi e no? Se riuscissimo a rispondere correttamente a
questa domanda forse saremmo a metà del’opera. Sicuramente
il cosiddetto movimento Glbt perderebbe meno tempo in inutili e
dispendiose sciocchezze.
C’è
stato pochissimo di surreale in “Cuore”. Perché per la
prima volta da decenni, “Cuore” era prima di tutto giornalismo.
Giornalismo fatto da (bravi) giornalisti. Giornalismo che utilizzava
anche – ma non solo – la satira. La utilizzava, non era un
gironale di satira. Era un giornale, un giornale di critica sociale e
politica, un giornale di controinformazione a trecentosessanta gradi.
Questo lo hanno capito in pochi ma percepito tutti, e noi non solo ne
eravamo ben consapevoli, ma abbiamo voluto ovviamente quella formula
di rottura. Questa è stata la vera chiave del suo
straordinario successo.
Un
libro e un autore che vuole assolutamente consigliare?
Ne direi uno diverso ogni giorno. Oggi tocca a Michel Tournier.
(Purtroppo difficile da trovare, oggi, in libreria. Ma per fortuna
esistono le biblioteche).
Era
appena nato “Cuore” e io continuavo a collaborare a “Linus”,
che secondo me – per le ragioni appena dette – è stato il
vero precursore di “Cuore”, non “Tango”, non “Il Male”
come tutti credono.
Le ragazze di Linus un giorno mi hanno detto:
vieni a vedere un’attrice nuova bravissima? Lella era al secondo
spettacolo. Sono andato. Mi è piaciuta. Sono andata a
salutarla in camerino. Le ho fatto i complimenti e lei mi ha detto
che io ero il suo “profeta”, insomma che mi leggeva sempre ed era
lei ad ammirare me. Non ci potevo credere. Le ho proposto di
collaborare a “Cuore”, cosa che poi è successa, e lei mi
ha chiesto di entrare nel pool dei suoi autori.
Le
pongo una domanda generazionale. Lei che è ed è sempre
stato attivo sia socialmente che politicamente pensa che la mia
generazione (quella dei trentenni e quasi trentenni) abbia un
atteggiamento vittimistico nei confronti della crisi?
No.
Conosco e incontro una quantità sterminata di ragazze e
ragazzi strepitosi. Penso che debbano trovare, anzi inventare, un
modo radicalmente nuovo rispetto al passato di organizzarsi
collettivamente. Una volta che l’avrete trovato – vale anche per
te/lei – cambierà (finalmente) il mondo.
Progetti prossimi venturi?
Un
romanzo a breve che credo molto “forte”, poi un romanzo per
giovani adulti, una graphic novel da “Ragazzi che amano ragazzi”,
un libro stranissimo sul basket, la ri-uscita a catalogo Einaudi di
tutti i miei libri precedenti a “Matrimoni” e a “Fisica
quantistica della vita quotidiana”. Si comincia già in
aprile con “I brutti anatroccoli” in ETscrittori.
Ringrazio ancora tantissimo Piergiorgio Paterlini per la disponibilità e vi invito anche a leggere il suo capitolo all'interno de "Le cose cambiano": "Quando sono uscito dalle catacombe". Vi farà bene.
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