lunedì 22 giugno 2015

Perché la narrativa italiana non è più capace di scandalizzare? Mondi che non comunicano, talenti che non nascono, piazze distopiche, tweet schizofrenici per provare a dare una risposta a una domanda troppo difficile.

Non molto tempo fa un cliente in libreria ci ha posto una domanda che a lui pareva tanto semplice e invece ha ingenerato il panico in me e nei miei colleghi. 
 Il quesito recitava: "Ciao, vorrei leggere un libro come quelli che scriveva Pasolini, ma che parli dell'Italia attuale".
Spiegandosi meglio, cercava una sorta di critica del sistema Italia, non solo politico, ma anche sociale, rarefatto in un romanzo. La domanda era:  chi eravamo noi adesso?
 Dopo varie proposte, tra l'altro, più che altro di saggistica, abbiam dovuto cedere all'evidenza. Noi, non solo non abbiamo Pasolini, ma manco un epigono, un imitatore, un millantatore. Noi, adesso non abbiamo niente.
 Il 20 Giugno sono accaduti due fatti che probabilmente non avrei collegato se non avessi un account twitter schizofrenico. 
 C'è stato quella specie di family day a Roma, dove al grido di "morte al gender" della gente ha pensato che valesse la pena scendere in piazza per dire no ai diritti altruim nello specifico ai matrimoni gay (in un misto di calunnie, fascismi, fantascienza degni di distopie alla "V per Vendetta"), e la notte bianca della lettura, "Letti di notte".
 La bacheca di twitter perciò aveva un assurdo mix di gente che mi diceva quanto profondamente l'avesse colpita l'ultimo libro di Missiroli o di come si stesse commuovendo ad ascoltare il reading nella libreria di quartiere, misti a tweet apocalittici di omofobi che additavano i gay come sterco del demonio o di militanti Lgbt che invocavano un fulmine definitivo su piazza San Giovanni.
 Erano ovviamente due eventi diversissimi, ma accadevano in contemporanea e non si parlavano in nessun modo. Non c'era un solo nesso da nessuna parte. Voi direte, che nesso vuoi che ci sia tra una notte dedicata ai lettori e ai libri e una piazza di omofobi?
 In realtà il nesso c'è eccome: viviamo nello stesso identico paese e siamo soggetti alle stesse identiche leggi, viviamo insieme, non in due compartimenti stagni.
 Ho ripensato allora al tizio che chiedeva il libro inesistente di un Pasolini contemporaneo inesistente e mi sono posta due domande.
1) La realtà e la letteratura hanno smesso di comunicare in questo paese?
2) Esiste ancora quello che Gramsci chiamava intellettuale organico? Esistono gli intellettuali impegnati (non i radical-chic, gli impegnati davvero)? 

La risposta alla prima domanda, personale, ma voi mi direte spero cosa ne pensate nei commenti, è che SI' la letteratura e la realtà in questo paese non si parlano più. Non so da quando visto che devono aver smesso assai prima che io raggiungessi l'età della ragione, ma non riesco a ricordare un solo libro, inteso come romanzo (la saggistica, a sprazzi illumina parti di realtà, ma è un'altra cosa), che dia un affresco della società italiana. Ne è una prova evidente il fatto che nessun libro sia degno di scandalo da decenni.
 Un tempo i libri venivano processati per oscenità, creavano dibattiti, litigi accesi sui giornali, polemiche da stadio, adesso la colpa sarà anche dei lettori meno impegnati, ma seriamente, per quale libro dovrebbero infuocarsi i lettori italiani?
 Non posso menzionare un solo libro italiano che abbia scandalizzato le masse. Scandalizzare, una parola che praticamente manco si usa più e che pure, tra le connotazioni negative date dal dizionario ne ha una che negativa non lo è affatto: "turbare la coscienza di qualcuno".
 Potete effettivamente dire che un libro scritto negli ultimi 20 anni vi abbia "turbato la coscienza"? No perché a me l'hanno turbata "Gli indifferenti" di Moravia, "Teorema" di Pasolini (io ho dei problemi col concetto di borghesia), ma non ho preso in mano un solo romanzo italiano che mi abbia dato da pensare.
 Perché è questo che manca quando la letteratura parte per una sterile tangente immaginifica e dimentica completamente il contatto con la realtà: i libri smettono di dar da pensare. Che non basti leggere per essere colti o per farsi una coscienza critica lo sappiamo tutti, molto dipende da cosa leggiamo, oltre che dagli strumenti che abbiamo per comprenderlo, ma ora manca la materia prima, quei libri che ti diano da pensare, ti mostrino la realtà.
 Un libro non scandalizza per le scene di sesso o di violenza, (se lo fa facciamoci due domande), un libro scandalizza quando mostra quelle piaghe della realtà che non vogliamo vedere.
 La coscienza si turba solo quando tu mostri il reale di cui tutti sanno che preferiscono ignorare. Non basta provocare per creare uno scandalo, quella provocazione deve colpire esattamente una ferita che tentiamo di coprire, il nostro punto debole.
 Per fare un esempio, "Sottomissione", il romanzo di Houellebecq uscito recentemente in Francia colpisce violentemente un punto scoperto dei francesi, il terrore di un'inculturazione passiva.
 L'unico libro italiano che abbia ingenerato un dibattito popolare negli ultimi anni, ossia "Gomorra" (che non per niente ha dato vita all'unico autore che tenta di fare il mestiere dell'intellettuale tout court), svelava all'Italia non solo un sud in mano alla criminalità organizzata, ma una gioventù misera e abbandonata, campi fumanti acido brucati dalle bufale di cui noi mangiamo le mozzarelle, regioni intrise di morte letteralmente alle radici.
 Ci colpiva nel vivo e non solo perché raccontava fatti reali (ci sono pacchi di libri che lo fanno), ma perché lo faceva in modo da colpire la nostra coscienza, da far entrare quel fatto nel nostro vissuto. Ci poneva delle domande sconcertanti.
 Il fatto che il 20 Giugno migliaia di lettori in Italia twittassero beati e felici mentre accadeva una roba di una gravità enorme a Roma (provate a pensare se avessero marciato per il no al matrimonio agli ebrei o alle persone di colore), mi ha fatto domandare se i lettori in Italia non manchino anche per questo. A cosa serve leggere sempre e solo per svago? A cosa serve scrivere sempre e solo per svago?
 Perché il problema non è solo dei lettori, ma, ovviamente, anche degli autori.  
Indubbiamente nell'editoria esistono mode come nelle case discografiche.
 Negli anni '70 i cantautori italiani furoreggiavano al punto che Gianni Morandi dovette mettersi a studiare al conservatorio in attesa di tempi migliori, ora per trovare un cantautore devi andare ai festival indie e sperare, nella massa pretenziosa, che qualche cosa di vagamente ascoltabile emerga.
 Perciò immagino che, in tempi di crisi dell'editoria, l'ultima cosa che ti viene in mente di fare è pubblicare un romanzo che sappia descrivere gli italici vizi e le italiche virtù (quel tipo di libro che penso sempre, ingenuamente, che dovrebbe vincere il premio Strega). 
 Tuttavia per tortuose che possano essere le vie della pubblicazione, il dubbio che sorge spontaneo dando un'occhiata alla gittata continua di romanzi in libreria è che manchi la capacità generale di farla questa critica.
  Il romanzo che descriva i vizi e le virtù non esiste perché forse non esiste chi sa scriverlo.
 Detta così pare che aspetto il corrispettivo italico de "Il grande romanzo americano", in realtà l'altra sera ho visto, per assoluto caso, "Made in Italy" di Nanni Loy in tv, un film degli anni '70 che descriveva in numerosi episodi, come tanti splendidi cortometraggi, piccole storie che dicessero qualcosa sull'evoluzione sociale degli italiani.
 Ebbene, uno solo di quegli episodi bastava come trama di un romanzo di critica di costume, non troppo lungo, affatto noioso, molto popolare e raffinato al contempo.
 Ma allora com'è che mi ritrovo circondata da romanzi o troppo pretenziosi o assolutamente pieni di niente? Dov'è stato l'errore? Quando i lettori di Letti di Notte e quelli della piazza omofoba non solo hanno smesso di parlarsi, ma di essere a conoscenza gli uni dell'esistenza degli altri?
 Perché l'editoria non è più in grado di turbare le coscienze?
 Io non penso che esistano tempi in cui nascono persone più talentuose, penso che la nascita di un fermento culturale, l'emersione, ma anche lo sviluppo di determinati talenti venga spesso da una forza esterna, da un contesto favorevole o stimolante, dalla voglia di esplodere.
 Un'epoca tiepida, che si compiace di sè stessa, non ha dubbi. E non c'è niente di più stupido che non dubitare mai.

 Sono domande praticamente sui massimi sistemi, eppure penso che sarebbe interessante un dibattito del genere (che fa molto dibbbbbbattito post cineforum in una sala semideserta con la gente che dorme rivoltata sulle siede, però oh, ogni tanto ce vò, se no che caspita leggiamo a fare?).

9 commenti:

  1. Questo commento è stato eliminato dall'autore.

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  2. Non so. A volte mi chiedo se di romanzi così ci sia ancora bisogno. Nel senso. Per capire "i vizi e le virtù" dell'italiano medio odierno, le pulsioni che lo animano, il male che cova dentro, necessitiamo davvero di un romanzo? Tutto lo sfacelo materiale, morale, culturale, l'imbarbarimento cui siamo andati incontro non trapela già abbastanza da quello che avviene in tv, nel paese, in quello che ci viene mostrato nei programmi che continuano a insistere su Yara, Sara Scazzi, il piccolo Loris, ecc., tutto l'odio e l'ignoranza di cui siamo capaci non viene già abbastanza fuori sui social network?
    Chi è dotato di un po' di senso critico probabilmente ha già sotto gli occhi il ritratto di cos'è l'Italia oggi (più o meno), perché - volente o nolente - la società dell'immagine e del 2.0 glielo sbatte in faccia ogni singolo minuto; e ne ha ormai la nausea. Capisco anche che poi voglia evadere dal paesaggio di miseria, almeno quando legge.
    Chi il senso critico non ce l'ha, di un romanzo come quelli che dici tu non saprebbe che farsene.
    La società lavora perché i secondi siano sempre più dei primi.
    Un romanzo alla-Pasolini, al giorno d'oggi, semplicemente, rischierebbe di non essere neanche notato (dici che "Gomorra" è un romanzo di quel tipo? Boh, può darsi. Ha fatto scandalo per i contenuti o per altro? Me lo sto ancora chiedendo, sinceramente).
    Gli editori lo sanno, e fanno di conseguenza.
    Che poi il 90% degli intellettuali di oggi abbiano semplicemente usurpato il titolo, va da sé, fa parte del paesaggio generale: imbarbarimento, ignoranza, ecc.
    Del resto, ripeto, perché un romanzo 'intellettuale' faccia il suo lavoro, c'è pure bisogno che dialoghi con un pubblico preparato (a capirlo, a incazzarsi, a condividerlo, a metterlo in discussione). Spiace dirlo ma rispetto agli anni '70 non credo neanche che quel pubblico esista più. Ora la gente si incazza per le spunte su Whatsapp.
    Scusa la botta di pessimismo, eh.

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    1. Mah, però questo dire molto contemporaneo che i tempi sono cambiati e ci sono cose diverse ecc ecc. Alla fine i tempi sono cambiati in modo rivoluzionario tante volte nei secoli eppure c'è sempre stato qualcuno che ha avuto la forza e il talento di raccontare un'epoca. Alla fine i classici sono tali proprio per questo: ci raccontano un periodo specifico con una forza universale. Le commedie di Aristofane, la Londra terribile di Dickens, l'Algeria coloniale di Camus ecc. ecc.
      Sembra più che a fronte di tante cose da raccontare a nessuno vada più di raccontarle davvero. Non lo so perché accada, se è pigrizia, se magari è un momento storico intellettualmente sterile, se c'è un meccanismo inceppato dell'editoria da qualche parte, però si è bloccato qualcosa, secondo me, almeno.

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  3. Io credo che non ci sia voglia di realtà.
    Proprio questi giorni commentavo quello che è il mio manga preferito: Real di Takehiko Inoue, l'autore di Slam Dunk e Vagabond, per intenderci. Real parla di qualcosa di scomodo legato al mondo del basket in carrozzina. Si capisce che i protagonisti non hanno storie felici alle spalle, così come il corollario degli altri personaggi. E' molto realistico, niente effetti speciali, solo metafore immaginifiche di qualcosa di molto doloroso e duro. Mi è stato chiesto di smettere di parlare, che di cose deprimenti che hanno a che fare con la realtà non volevano saperne.

    Credo che oggi la maggior parte delle persone voglia chiudere gli occhi di fronte alla realtà, voglia evadere, andare oltre quello che succede. Io sono stata a un reading di poesie sabato e mi sono sembrate vuote. A un certo punto hanno fatto gli estrosi con poesie erotiche, in realtà infarcite solo di parolacce, ma molto poco comunicative, se non di sensazioni personali del micromondo dell'autore.

    Non so, io ho fotografato la mia generazione e mi viene lo sconforto: trentenni rimasti praticamente adolescenti, che fanno finta di niente, fanno finta di non essere adulti perché significherebbe fare i conti con il fatto che si è precari in tutto, dal lavoro ai progetti fino ai sentimenti. Si vive nell'eterno allontanamento della resa dei conti, fingendo che i genitori siano eterni, che ci sia tempo... ma il tempo che ci è concesso non lo conosciamo oppure si dà importanza a emerite idiozie come i cinquenni, ci si incazza perché Tizio non accetta l'amicizia su Facebook o Caia si sposa prima di Sempronia.

    Hai provocato il pessimismo, cara libraia! :D

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  4. In effetti penso anche io che quel tipo di romanzo non sia oggi necessario. Per creare scandalo ci sono altri mezzi, forse non efficaci come un romanzo, ma ci sono. Si seguono sul web intellettuali di respiro più ampio, o su argomenti più specifici. Chi ama mento l'intelletto si scandalizza a comando sui socialcosi. Poi ci sono autori da satira che ancora descrivono molto bene come siamo, tipo Crozza, la famiglia Guzzanti, Antonio Albanese, in qualche modo anche il trio di 610 alla radio.

    Io non mi preoccuperei tanto di questo problema. Semmai mi preoccuperei di trovare qualche romanzo scritto bene e chissene se è straniero o nostrano, se è impegnato o di svago, se del 1800 o del 2015. Ce ne sono tanti, per fortuna. Leggiamo.

    (Non farà scandalo, forse, ma descrive bene un piccolo angolo della nostra società anche il romanzo della Cosenza, Stasera mi butto.)

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  5. Ho scritto alla piffero, ma spero che si capisca. (È stata una giornata difficile, oggi.)

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  6. Molto interessante quanto scritto, e nel post e nei commenti. Credo ci sia tutto quanto detto nell'incapacità o nella non volontà di scrivere narrativa impegnata o di critica sociale seria e approfondita in Italia.
    Tutto è estremamente veloce di questi tempi, il tempo della lettura è per contro lento, un fatto intimo e richiede inoltre uno sforzo cognitivo di un certo tipo: non fanno che dirci che il mondo tech ha diminuito drasticamente la nostra capacità di prestare attenzione a lungo. Da una parte, quindi, un pubblico dal facile tedio.
    Dall'altra, il 'perché scriverci un libro, se mi basta una battuta al vetriolo entro i 150 caratteri twitteriani?'

    Forse la questione più pertinente è che sono cambiate le forme di intrattenimento più fruite e la critica sociale ha cambiato contenitore. Non azzardo a pronunciarmi sulla necessità o meno, oggi, di una tale narrativa: sono più portata a pensare che sarebbe meglio ci fosse, anche se probabilmente letta e capita da pochi.
    Rimane, a mio avviso, un bel po' di amaro per la chiara tendenza alla sintesi, all'immediatezza, al commento al caldo che imperversa in ogni dove.

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  7. Manca il romanzo che descriva i nostri tempi, le nostre vite. In America ci sono i Franzen, gli Auster, i Ford. Raccontano di persone, me inserite nel loro "momento storico", spesso partendo da storie comuni, se non addirittura banali.
    Qui in Italia non siamo in grado, non c'è niente da fare. Ci vuole l'intimismo psicologico, oppure storie di infanzia, un po' di sindrome di Asperger (ma non trattata come in "Lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte", purtroppo), o in alternativa la mala del Veneto, per scrivere un libro in Italia. O scrivi così, o niente. Questo siamo, e questo scriviamo. Trovatemente uno. Ciao (e complimenti)

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