venerdì 7 marzo 2025

Essere o non essere (sui social)? Questo è il problema. Se sia più nobile andarsene o levarci a combattere contro orde di troll organizzati? Una riflessione amletica

 In questi tempi oscuri che durano oscuramente ormai da un decennio e che spero prima o poi compiano (come avviene per tutte le cose umane) una parabola discendente verso il raziocinio, ho passato, come molt3 di no, ormai un tempo considerevole su internet, ma soprattutto sui social.

 Proprio perché ormai i tempi sono oscuri da anni e bene o male quasi tutt3 abbiamo passato questo considerevole tempo sui social, mi stupisce sempre come esista così poca letteratura e come non sia perennemente al centro del dibattito urbi et orbi il modo in cui la propaganda detti il discorso tramite alcune tecniche ormai chiarissime.
 
 La bestia di Salvini, per citarne una, è fatto ormai noto e in verità non è che serva particolare genio per capire come eserciti di troll ben governati riescano a creare, alimentare e gestire il discorso sotto letteralmente qualsiasi post di politica venga pubblicato.

La propaganda è questa cosa che a sinistra abbiamo deciso che fa un po’ schifo,
malgrado se ne sia fatto ampio uso in passato e malgrado non se ne possa fare a meno.
 
 Voi pensate che a sinistra non la usino perché non sono capaci, ma in realtà è vero solo in parte. 
 La verità è che c’è una certa diffidenza verso la propaganda, un sentimento avverso che si alimenta anche dall’uso che la destra ne fa.
 
 Ossia, uno dei modi, pensano molti a sinistra, per differenziarsi da quello che ormai è diventata la destra, è rifiutarsi di usare le loro armi. La propaganda insomma è una cosa vista con un’accezione puramente negativa. 
 Solo che mentre ci si scervella su questi dilemmi morali, abbiamo a che fare con gente clamorosamente amorale che sta devastando la politica planetaria.
 
Per dirla con una massima del passato che abbiamo nascosto sotto il tappeto, andrebbe ricordato che “La rivoluzione non è un pranzo di gala”.
 
 Non lo è per la destra, e purtroppo manco per la sinistra.
 
 Ma sparare sul pianista, in questo caso i partiti politici di sinistra, è un esercizio troppo facile che ci dovremmo stancare di praticare. Questo perché è sempre molto semplice dare la colpa agli altri e non guardare mai le proprie.
 
 Quello che vorrei mettere al centro del discorso è un altro dubbio amletico che mi attanaglia da anni: ha senso o non ha senso stare sui social? 

 Ma soprattutto, ha senso o non ha senso cercare di partecipare e rispondere ai discorsi, ai commenti, alle illazioni, ai post pieni di bufale, alle fake news messe in giro da questa macchina di propaganda oliatissima di estrema destra?

  Non cito a caso la locuzione “dubbio amletico” perché qualche sera fa, mentre combattevo con la cena, mi sono ritrovata per l’ennesima volta a farmi il sangue amaro per un tizio che aveva attaccato briga sotto un mio commento su ig e per l’ennesima volta mi sono domandata: ma a me chi me lo fa fare che sono già oberata da un’ingente quantità di problemi e non ho certo bisogno di ansiarmi con un troll che penso, immagino, venga pure pagato da qualcuno (o programmato da qualcuno che viene pagato)?
 
 Da lì la mia mente, evidentemente capace di salti logici a me lucidamente insospettabili, si è improvvisamente agganciata al celebre monologo Shakespeariano: “Essere o non essere?”
 
 Per curiosità sono andata a rileggermelo ed effettivamente questa riflessione calza perfettamente al dubbio che percorre molt3 dopo il coming out trumpiano collettivo della broligarchia tecnologica mondiale: ma davvero ha ancora senso stare sui social (o anche qua su blogger) a dare i nostri dati a delle tecnocrazie per controllarci o per addestrare macchine che ci sostituiranno/controlleranno (a voi non sale il crimine quando vedete la gente baloccarsi su Linkedin con le AI invece di preoccuparsi? A me sì)?
 
 Per rinfrescare la memoria, riposto a vostro uso e consumo il testo integrale del monologo:

“Essere o non essere: questo è il problema.
 Se sia più nobile tollerare le percosse di una sorte oltraggiosa,
 o levarci a combattere tutte le nostre pene e risolutamente finirle?
 Morire, dormire… null’altro.
 E con il sonno dar termine agli affanni dell’animo e alle altre infinite miserie che sono l’eredità della carne.
 Ecco una fine da bramarsi devotamente!
 Morire, dormire… Dormire. Sognare forse.
 Ma qui è l’intoppo: perché in questo sonno di morte, una volta liberati di questa spoglia mortale, quali incubi ci perseguiteranno?
 Ecco cosa ci ferma!
 È proprio questa idea che ci fa reggere tanto a lungo la sventura di vivere:
 chi sopporterebbe altrimenti il flagello e le offese del tempo, l’ingiuria degli oppressori, la villania dei superbi, gli spasimi dell’amore disprezzato, le lungaggini della giustizia, l’arroganza dei potenti e gli sfregi che subisce dagli indegni l’umiltà dei meritevoli, se è possibile liberarsene da sé con un solo colpo di lama?
 Chi mai vorrebbe portare sudando e gemendo il fardello di una logorante esistenza, se la paura di qualcosa oltre la morte
 – l’inesplorato mondo da cui nessun viandante fece mai ritorno –
 non trattenesse la nostra volontà, facendoci preferire i mali presenti ad altri che non conosciamo?
 E’ così che la coscienza ci rende codardi;
 così l’incarnato della risolutezza si fa pallido roso dalla riflessione.
 Anche le più alte e generose imprese vanno a finire nel nulla e perdono il nome stesso di azioni.”
 Diciamoci la verità, stranamente o forse non tanto, questo monologo racchiude molti dei dilemmi sulla questione.
 
 Ho discusso con tante persone in questo periodo su quale fosse più sensato comportarsi in un’epoca in cui le squadracce sono online e le intimidazioni sono segnalazioni di massa, ricondivisioni di screen e pubbliche gogne (attuate anche da politici).
 
Fondamentalmente, come si chiede Amleto:
 
"Se sia più nobile tollerare le percosse di una sorte oltraggiosa,
 o levarci a combattere tutte le nostre pene e risolutamente finirle?"
 
 Le risposte sono state varie, alcuni vogliono riuscire ad abbandonare i social (ma per lavoro è ormai difficile), altri si limitano a farne un uso privatissimo, altri ancora vorrebbero anche arginare questo dilagare propagandistico nero, ma poi gettano la spugna perché un singolo contro un insieme organizzato cosa mai può fare?
 
 Per quanto condivida e trovi sensate tutte le risposte, a me però il dubbio rimaneva ed è esattamente quello espresso da Amleto:
 
Morire, dormire… Dormire. Sognare forse.
 Ma qui è l’intoppo: perché in questo sonno di morte, una volta liberati di questa spoglia mortale, quali incubi ci perseguiteranno?”
 
 È abbastanza affannoso per un singolo opporsi al dilagare, ma quali incubi ci perseguiteranno per anni se abbandoniamo le nostre spoglie virtuali e ci arrendiamo?
 
 S’intende. La lotta online non è la sola lotta, anzi, per me la lotta online manco dovrebbe esistere, ma non prendiamoci in giro, nuovi mezzi di comunicazione hanno sempre fatto da volano a chi per primo li ha saputi sfruttare e non possono essere ignorati come se vivessimo ancora nel 1960.
 
 La riforma protestante non sarebbe avvenuta in quei termini senza l’invenzione della stampa a caratteri mobili e anche quella non è stata un pranzo di gala in termini di conseguenze.
 
 Vedo su questo punto una certa mancanza di riflessione collettiva. Cosa fare delle nostre esistenze online: essere o non essere?
 
 È sensato permanere e opporci con tutte le nostre forze? Ed è sensato, a questo punto, non pensare che sia necessario organizzarsi in un qualche modo per opporci a una macchina molto ben organizzata?
 
 Perché continuiamo a trattare quello che di fatto è un monopolio del discorso online che ha concrete ricadute sulle nostre vite come qualcosa di cui possiamo disinteressarci? 
 
 Vorrei che fossimo onesti su questo punto. Una parte di noi (al netto di quelli che se ne fregano proprio, ma sono un altro problema) lo fa perché probabilmente perché pensa sia troppo stressante e che la vita ci dia già troppi problemi (lo penso anche io il 90% del tempo) e un’altra parte perché lo ritiene, fondamentalmente, una parte non rilevante in modo sostanziale di tutto il tracollo generalizzato a cui stiamo assistendo.
 
 Questo atteggiamento rispecchia secondo me una sorta di errore di prospettiva storico.

Sempre per citare Mao, citato in realtà da Stephen King in quel manuale politico dei giorni nostri che è “La zona morta”
“Quando soffia il vento del cambiamento, alcuni costruiscono muri, altri mulini a vento”.
 
 Ecco noi ci troviamo in questa situazione. C’è una parte che sta usando i social come mulini a vento e una parte che si illude di fermare il tutto o costruendo qualche muretto o nascondendosi direttamente dietro.
 
 Del resto, sempre Amleto ce lo dice perché lo facciamo:
 
 “Chi sopporterebbe altrimenti il flagello e le offese del tempo, l’ingiuria degli oppressori, la villania dei superbi, gli spasimi dell’amore disprezzato, le lungaggini della giustizia, l’arroganza dei potenti e gli sfregi che subisce dagli indegni l’umiltà dei meritevoli, se è possibile liberarsene da sé con un solo colpo di lama”.
 
 Fondamentalmente se spegniamo i cellulari e troviamo il coraggio di disintossicarci dai social non vedremmo più tutto questo. Se eliminassimo la nostra presenza online o ci confinassimo in qualche recinto ben custodito potremmo sicuramente sfuggire a ingiurie e villanie con un colpo di lama neanche troppo doloroso.
 
 O no?
 
O siamo al punto in cui se abbandoniamo la battaglia online presto ci troveremo ad affrontarne una molto più perigliosa e pericolosa dal vivo?
 
“Chi mai vorrebbe portare sudando e gemendo il fardello di una logorante esistenza, se la paura di qualcosa oltre la morte
 – l’inesplorato mondo da cui nessun viandante fece mai ritorno –
 non trattenesse la nostra volontà, facendoci preferire i mali presenti ad altri che non conosciamo?”
 
 Io per mia natura sono pessimista e ho sempre il retropensiero che i mali che non conosciamo siano assai peggiori di quelli di cui siamo a conoscenza. Finora la mia esistenza da millennial non mi ha smentito.
 
 E quindi cosa fare? Qual è la risposta tra l’essere o non essere online?
 
La risposta a mio parere è cosa facciamo di quell’esistenza in questo momento e se basti il modo in cui stiamo al mondo nel mondo virtuale. Per me no. Non basta più.
 
 Perché mentre noi ci scambiamo video su gatti e papere, su comici e Asmr, qualcuno lavora per inquinare e far sua ogni singola parte. Per distruggere quel mondo. E ci sta riuscendo.
 
 E io non penso che la soluzione sia attendere, guardare e sottovalutare. Penso che la soluzione sia prendere questa situazione sul serio e capire come affrontarla, non singolarmente, ma in modo organizzato.
 
 Chi deve organizzare? Eh, giovani, il problema sta tutto qui. I partiti un tempo l’ufficio di propaganda ce lo avevano e lo usavano senza farsi troppi problemi, ma adesso viviamo in un’epoca in cui qualcuno può permettersi tutto e manipola il discorso dando l’impressione che gli avversari non possano permettersi niente.
 
 Quindi chi deve fare qualcosa? Che si inizi a pensarci.
 
“È la coscienza che ci rende codardi”.
 
 O forse è la coscienza che pone scrupoli, umani, in tempi disumani. E forse non possiamo più permetterceli.
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