Non avere la tv rende lievemente aborigeni.
Nel senso che si può campare benissimo, anzi molto meglio, anche perché passata una certa età, a meno che non si abbia un gruppo di amici Mariadefilippidipendente raramente si incappa in un: "Oh, ma l'hai visto ieri sera questo?".
Finalmente qualcuno che ha capito a cosa serve il cibo: a mangiarselo! |
Probabilmente per questo avevo potuto ignorare a lungo l'esistenza di Chef Rubio, un mio quasi coetaneo quasi proveniente dallo stesso luogo geografico. Durante l'ultima Pasqua, tornata a casa e in possesso di una tv, dopo aver tracannato una dose di "Il mio grosso grasso matrimonio gipsy" ecco che cambio canale e mi ritrovo in un mondo di unto, ciccia, tante frattaglie e finalmente nessun Cracco che mi fisso torvo credendosi fraccavolo da Velletri perché sa combinare l'uovo marinato col sangue col paté d'olive della Patagonia.
Non avevo molta voglia di mettermi a vedere l'ennesimo programma di cucina, ma c'era qualcosa di stranamente coinvolgente nell'atmosfera. Gente di strada, cibo buono e non pretenzioso, addentamenti senza forchette d'argento e dei sani "vai a quel paese" che è quello che mi verrebbe da dire ogni tanto ai numerosi che ormai hanno preso l'insana abitudine di rimandare indietro il cibo quando si mangia fuori. A meno che non ci sia qualcosa di PALESEMENTE storto, educazione impone che te magni quello che ci sta, poi torni a casa lo sconsigli a tutti i tuoi conoscenti, fai recensioni roventi su trip advisor e non ci torni mai più neanche sotto tortura. Contribuivi insomma al suo fallimento, ma spedire indietro il cibo anche no.
Sartre ti chiedo umilmente perdono per averti citato |
Rapita, ho fatto qualche ricerca scoprendo che chef Rubio andava in giro da almeno un anno di trasmissione, era un idolo delle folle internettiane e aveva anche scritto qualche libro: uno di ricette da cuoco vero, uno ispirato alla trasmissione "Unti e bisunti" e che era in uscita un fumetto sulla sua ibrida figura cuoco/rugbysta (e da quel che dicono le amiche di mia sorella e il web in generale pare sia una combo erotica particolarmente riuscita) ed era protagonista di un fumetto a tema spy-story.
In esso, egli eroico cuoco rugbysta dai sani valori alimentari si ritrova a combattere una megamultinazionale che possiede una gigantesca catena a metà tra un fast food e una sorta di incubo vegano in cui qualsiasi cosa è composta da soia. Ad aiutarlo, oltre ad una scienziata molto gnocca (sospettosamente in verità simile a Belèn), un gruppo di cuochi militanti uscito paro paro da un centro sociale, con tanto di agguerrita ex inclusa.
Il rapporto tra industria del cibo e alimentazione, chimica e gusto, rapporti di potere tra multinazionali potentissime (come la Monsanto) e contadini, rende il cibo e la cucina pratiche molto più militanti di quel che non si crede.
In un celebre episodio Aron smosse l'animo filosofico di Sartre indicando un drink: "Se sei un fenomologo", gli disse, "puoi parlare di questo cocktail ed è filosofia". Parafrasandolo: "Se fai politica militante, puoi parlare di cibo ed è militanza".
Per provare che il nesso esiste senza ricorrere a libri sulle ecomafie ho scelto per voi tre testi graziosi, divertenti e molto istruttivi! Let's go!
"CUCINA DI GUERRA" ed. Stampa Alternativa di Giancarlo Ottaviani:
.Pare che l'inquietantissimo Carneplastico fosse fatto così. Evito di dire cosa mi sembra e aggiungo che sì, il fascismo era machista pure in cucina |
E' un interessante libretto che racchiude ricette e consigli per massaie e cuoche all'epoca della seconda guerra mondiale, quando, tra autarchia e povertà, scarseggiava tutto e bisognava inventare il cibo. Si inizia con il Manifesto della cucina futurista che io misconoscevo. Tale manifesto, opera di Marinetti, esalta la cucina come arte e lancia un'invettiva contro la pastasciutta, rea di ingozzare e non nutrire atque di fiaccare gli entusiasmi rendendo gli uomini meno vivaci e ignavi (boh).
Seguivano ricette futuriste il cui top era il CARNEPLASTICO una specie di tocco di kebab mignon ripieno di verdure poggiato su delle sfere di pollo e ricoperto di miele (lo ammetto non ho capito come si cucinava). Pare che all'epoca spopolasse nei posti giusti.
"LA PARMIGIANA E LA RIVOLUZIONE" di Daniele de Michele aka DonPasta:
"Cucinare è un atto politico. Lo è la parmigiana di mia nonna fatta solo in Agosto con le melanzane di stagione. Può esserlo evitare di comprare creme fosforescenti spacciate come pappe per bambini. Dal momento in cui si produce, si trasforma, si vende, si compra, si cucina, si mangia, ogni passaggio domanda scelte".
Così inizia questo libro sulla cucina come pratica militante.
Lo ammetto, l'introduzione in cui l'autore mi informa che era un economista-dj non mi aveva proprio ben disposto nei suoi confronti, temevo fosse uno di quei fricchettoni ricchi che vivono nel loro mondo fatato di prodotti biologici, tanta rivoluzione che poi la sera si torna nell'appartamento di proprietà arredato dal papì. Non ho in realtà dissipato le nebbie al riguardo, ma il libro è un grazioso mix di ricordi personali, riferimenti musicali e piatti adatti ad ogni evenienza militante. Dal biologico, agli OGM, dalla lotta al Caporalato nel ricordo della strage di Rosarno all'interculturalità che in cucina diventa più facile e comprensibile, ci sono solo ricette semplici e senza ingredienti assurdi. Pasta e fagioli, Sartù di riso, frittata di pasta e cotognata. Anche qui se parla come se magna e viva la revolucion!
CUOCHE RIBELLI. La cucina impudica. La cuoca di Buenaventura Durruti. La cuoca rossa.
Questo corposo volume della DeriveApprodi raccoglie i tre diari ricchi di ricette di tre donne ugualmente anonime. Tommaseo scriveva: "Si divertono a scrivere anonimi per informare impunemente" e considerando che in fondo potrebbe essere anche la hit di questo blog, direi che aveva pienamente ragione.
Il primo diario, ritrovato in allegato ad un libercolo di pasticceria su una bancarella, apparteneva ad una misteriosa cocotte francese degli anni '19-'31 ed è ricco di aneddoti sui tempi che cambiano e la vivace vita culturale e politica della Parigi dei tempi.
Il secondo è a mio avviso il più interessante, si tratta infatti di una serie di vicende personali incalzanti sulla guerra civile in Spagna. L'autrice, il cui nome di battaglia è Nadine, è una ragazza normale interessata alla cucina e alla politica che verrà coinvolta nella guerra civile spagnola. La fame, le battaglie, i ferimenti, le sconfitte si legheranno ai vari piatti di fortuna che di volta in volta è costretta a preparare per sfamare lei e i compagni.
L'ultima ragazza è la "cuoca rossa" studentessa della Bauhaus e militante di una cellula spartachista all'epoca della repubblica di Weimar. Con altri ragazzi rilevò un ristorante e tenne questo diario ricchissimo tra il 1932 al 1939. Il curatore si riferisce alle sue ricette come differenti dalle altre due in quanto nordiche. Non è così vero: in tempo di fame i piatti poveri gira che ti rigira son sempre gli stessi. Il suo diario fu ritrovato nel 1970 in un lotto in vendita presso la storia libreria Pinkus di Zurigo, importante centro nevralgici per gli anrchici e i movimentisti d'Europa.
Di tutti e tre ammetto che, forse influenzata dalla scoperta del burro autarchico e del pollofiat, il primo libro è il mio favorito.
E voi? Avevate mai pensato al cibo come pratica militante? Conoscete altri libri affini?
ps. Rimanete sintonizzati su questi schermi che domani GRANDE sorpresa!
Oddio... A me 'sto carneplastico sembra vagamente fallico ;D
RispondiEliminaEhm... Era più o meno chiaro fin dalle allusioni in didascalia... ;)
EliminaPerdonatemi, sono rimasta così scioccata dalla salsetta giallina sulla cima del "coso" che neanche ho letto quello che c'era scritto sotto!
RispondiEliminaTi comprendo, quando ho trovato la foto e ho finalmente capito come fosse fatto sono rimasta O.o anche io.
EliminaC'è un altro libro che può rientrare nella categoria: è "Rivoluzione in cucina - A tavola con Stalin", una traduzione del "libro del cibo sano e salutare" che era la bibbia della cucina sovietica. L'introduzione cala il libro nel contesto culturale in cui è nato (anche se forse si sofferma un po' troppo su aspetti che con la cucina hanno poco a che vedere) ed è corredato di un articolo scritto proprio da Stalin per un'edizione degli anni 30.
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