lunedì 9 settembre 2013

Il libraio e "il commesso di libreria": quando una lotta giusta porta avanti un caposaldo sbagliato.

Durante quel poco che ieri sono riuscita a navigare su internet, sono incappata in una sorta di manifesto del "buon lettore" di cui non citerò gli autori istituzionali. Fatto sta che questo buon lettore, oltre ad apprezzare gli e-book perché non ha più spazio in casa e a sentirsi emozionato quando nel fine settimana entra in libreria (nei giorni feriali, sappiate, compra su internet che nun c'ha tempo), sa che le librerie indipendenti non sono dei panda ma dei ricettacoli di cultura e soprattutto "sa distinguere un libraio da un semplice commesso di libreria".
 Prima di iniziare la mia invettiva premetto la solita cosa d'obbligo che non si comprenda male:
Questo post NON è librerie di catena vs librerie indipendenti. Anche io troverei agghiacciante se un giorno dovessero esistere solo enormi catene, magari senza neanche un commesso umano (altra distopia possibile nel mio immaginario da incubo prossimo venturo), ci sono librerie indipendenti che trovo bellissime, come Tuba Bazar a Roma o la Libreria popolare di Via Tadino a Milano. Anche perché spesso le librerie indipendenti si concentrano su argomenti specifici a me molto cari (come Tuba) che nelle librerie di catena vengono affrontati male e pure molto di corsa. 
 Questo post è sul rispetto che, secondo me, si deve ad ogni lavoratore, specie se in condizione di debolezza.
 Mi si deve spiegare perché si ritiene che se tu possiedi una libreria indipendente sei automaticamente migliore di chi lavora in una libreria di catena. Come ha detto saggiamente una mia collega "Non si capisce perché loro sarebbero Brunello e noi Tavernello."
 Nell'immaginario comune chi possiede una libreria è una sorte di custode della conoscenza, un amante indefesso della cultura, un amico di scrittori e un abbeveratore di giovani menti. Il commesso di libreria, bene che gli va, è un giovane che sta cercando se stesso e nel frattempo lavora in libreria, oppure è equiparato (ma ciò va inspiegabilmente a cozzare con lo sconcerto diffuso del: perché non sa tutto?) al cassiere del supermercato: qualcuno che sta lì e fa le cose meccanicamente perché un misterioso burattinaio dall'alto fa tutto il lavoro mentale al posto suo. 
 Qualche mese fa andai ad un incontro sull'editoria indipendente, i 4 editori presenti non fecero altro che sputare veleno sulle catene e soprattutto sui loro lavoratori, asserendo sostanzialmente che qualcuno fa degli ordini in massa dall'alto e quelli dal basso si vedono arrivare dei titoli che mettono a scaffale,senza alcuna voce in capitolo stile robot (in nome, al solito di una grande cospirazione mondial/economica, un argomento in voghissima, ma credevo non tra le menti eccelse degli editori indipendenti).
 Io e una mia collega non osammo contraddirli in pubblico (non funziona così il grande burattinaio, se pure esiste, non fa ordini dall'alto, quelli se li smazzano i dipendenti). Poi però, una volta a casa, ero furiosa. Mi avevano fatto vergognare del mio lavoro.
 Allora io faccio coming out: lavoro in una catena. Ho fatto studi molto specifici sui libri e in verità avrei voluto lavorare in una biblioteca, ma ho anche deciso che se sto ad aspettare che il Ministero dei beni culturali sblocchi i concorsi sto fresca (e non ho intenzione di infognarmi in una comunità montana, con tutto il rispetto per loro, per lottare con altre millemila persone per 1 posto da bibliotecario che magicamente si è liberato). 
 Sin da quando ero alle superiori mi veniva fatto notare che: "dovevo investire nel mio futuro".
 In sostanza dovevo, capitalisticamente parlando, investire del fantomatico denaro sulla mia preparazione, così un giorno avrei potuto avere opportunità migliori degli altri. La domanda che mi sono sempre fatta (e ho sempre fatto) è semplice e condivisa da uno sterminato numero di giovani: ma se uno questi soldi da investire non ce li ha, che fa? 
 Le risposte sono sempre state due: "dai che in fondo questi soldi puoi trovarli "o semplicemente "ti attacchi".
 Visto che non sono mai stata choosy, perché non me lo sono mai potuta permettere, ho lavorato malpagata qualche anno, come tutt* del resto, e infine ho trovato lavoro in una libreria, dove comunque, sottolineo, siamo tutti laureati. E' ovvio, ovvissimo, che avrei preferito aprirmene una da sola, scegliere il catalogo solo in funzione del mio proprio gusto, organizzare solo gli eventi che mi aggradavano, ma non è una strada percorribile per tutti.
 Tra i miei colleghi ce n'è uno che aveva libreria, l'ha chiusa dopo 10 anni e ora lavora in una appunto di catena. Come funziona? Prima era un libraio degno di nota e con tutti gli onori e ora è un poveretto guidato dall'alto? 
 Mi scuso per lo sfogo, ma questo atteggiamento del "commesso di libreria" è molto frustrante. Molti ti trattano come se fossi l'ultimo anello della catena evoluzionistica lavorativa, altri appunto riescono a farti vergognare del tuo lavoro, che a casa mia mi è stato insegnato, è sempre e comunque degno di rispetto.
 Quello che voglio dire con questo, so, molto inutile post, domani tornerò a postare cose più sensate, è che la contrapposizione librerie di catena/librerie indipendenti porta come capisaldi dei punti risparmiabili
 Se non ci fossero state le catene io probabilmente questo lavoro, nonostante tutti i miei studi e l'amore che ho per i libri, non lo avrei mai fatto perché non ho di che  investire né una famiglia di librai. 
 C'è un pezzo nel film di Virzì "Tutta la vita davanti" che spiega benissimo quello che voglio dire. Dopo l'incidente al personaggio di Elio Germano, molta gente si sente colpita dall'evento e come forma di protesta contro l'azienda inizia a chiamare il call center in massa e a riempire di insulti le telefoniste. Marta, la protagonista, sconsolata, non può che ascoltare gli improperi ripetendo al telefono: "Sì signora, è tutta colpa nostra, tutta nostra."
 Prendersela con la base non fa certo arrivare al vertice.

1 commento:

  1. Lavoro anch'io in una catena,e purtroppo non faccio parte della categoria dei "veri librai",onestamente,vengo da un Ricordimediastore che è stato tramutato in libreria Feltrinelli,e se di musica e sopratutto film posso considerarmi un esperta,purtroppo coi libri la strada è ancora lunga,sebbene ormai siano passati 8 anni dalla metamorfosi.
    Certo ho imparato tanto,ma ancora quando mi chiedono "che libro mi consiglia" me la faccio in mano,e solitamente mi rivolgo ad una delle vere libraie che pure ci sono,nel mio negozio come in tanti altri PDV della catena,informate,esperte,appassionate.
    Ci sono anche quelle,e non bisognerebbe dimenticarlo,o discriminare a prescindere.

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