venerdì 8 novembre 2013

La mysteriosa epoca d'oro delle librerie. E' mai esistito un tempo in cui i librai non guardavano al soldo, ma alla cultura? E deve o non deve la libreria avere una funzione pedagogica, e come?

Johannes Gutenberg inventore della stampa,
fu la prima vittima della brama di denaro che 
da essa poteva derivare: il suo assistente e il
suo finanziatore si imparentarono tra loro, gli 
fregarono l'idea e iniziarono a stampare alla
grandissima arricchendosi. Dopo sfighe varie
ed eventuali il buon Gutenberg morì, ma 
insomma è di lui che noi ci ricordiamo non
 di chi gli fregò l'idea
Il post sul perché del successo di Fabio Volo ha creato più interesse di quello che credevo e una valanga di commenti, tutti molto interessanti. 
 Codesti commenti mi hanno confermato un'impressione che avevo sin da quando ho iniziato a lavorare in libreria la credenza molto diffusa che le librerie debbano avere, al pari delle biblioteche, una funzione pedagogica.
 In molti rievocano presunti tempi d'oro in cui le librerie cambiavano la storia e i librai scoprivano talenti o comunque aiutavano sconosciuti talenti di valore ad emergere, in cui la libreria non era solo un negozio, ma altro, una specie di tempio del sapere e di meraviglie.
 Certo, sono esistiti librai e librerie che si avvicinano a questo immaginario, come il buon Giangiacomo Feltrinelli, che era editore-libraio e tante altre cose o la mitica Sylvia Beach proprietaria della Shakespeare & company parigina di inizio '900. Tuttavia non erano la norma e non lo sono mai stata. Anzi, fino all'800, cioè fino all'invenzione della macchina continua per stampare e di altre innovazioni tecniche nella composizione soprattutto della carta, le librerie per come le conosciamo noi non esistevano per niente. 
 Sin dalla lontana invenzione di Gutenberg la stampa e il suo prodotto ovvero il libro a stampa erano visti sotto una luce principale: IL DENARO. 

 C'è un libro che vi consiglio caldissimamente se volete farvi un'idea della storia del libro a stampa, si tratta de "La nascita del libro" di Lucien Febvre e Henry-Jean Martin. L'idea di base è dimostrare come la storia della stampa abbia mutato fortissimamente la mentalità economica stessa dell'occidente lasciandola virare in senso capitalista. Nessuno nel '500, a meno che non fosse straricco investiva in un libro perché ci credeva e ne apprezzava il valore, tutto quello che l'editore (che in genere era anche stampatore e distributore) faceva era: investire un capitale e fare qualsiasi cosa per farlo fruttare, anche perché se no falliva e addio. Se poi le cose andavano bene poteva anche concedersi alla cultura più alta, come il buon Aldo Manuzio.
"In primo luogo, un fatto che non bisogna mai perder di vista: sin dalle origini stampatori e librai lavorano soprattutto per guadagnare. Proprio come gli editori odierni, i librai del '400 non accettano di finanziare la stampa d'un libro se non sono certi di poterne vendere un sufficiente numero di copie entro un periodo ragionevole. Non stupisca dunque se la scoperta della stampa ha l'effetto, quasi immediato, di diffondere ancora di più i testi che avevano già molto successo in forme manoscritte e di farne cadere altri nell'oblio" (L.F.-H.-J. M.).
Quali erano questi testi di sommo successo dell'epoca? Opere religiose in larghissima parte, visto che l'alfabetizzazione era quella che era, molta gente o leggeva ed era in grado di capire solo testi sacri e nella stragrande maggioranza delle volte manco quelli. 
Prove di razzismo medievale su Rieduchescional libraia.
 Tra le opere di maggior diffusione andavano in giro dei fogliacci stampati con xilografie che raccontavano inquietanti storie illustrate che tanto piacevano al volgo. Come l'inquietantissima e iperdiffusa storia del truculento omicidio di un bambino di nome Simone che venne rapito a Trento e ritrovato sgozzato nel ghetto ebraico. Per vendetta gli ebrei maschi vennero processati e ammazzati e le donne convertite. Con gran gusto e gran successo si producevano e vendevano si vendevano xilografie sulla sua storia. Era quindi best seller dell'epoca, una roba che dovrebbe farci quasi rivalutare Fabio Volo.
 Nella storia del libro, il racconto popolare, come ha fatto notare qualcuno ieri, ha vinto sempre, perché: popolarità=soldi.  Quando è stata dunque quest'epoca magica dei librai? Non è mai esistita. 
 L'oggetto libro è semplicemente dotato di un'ambiguità così forte da non poter essere equiparato, come ho detto spesso, ad un tanga di pizzo, quindi da un negozio che lo vende, dai librai stessi, ci si aspetta di più, ma cosa dovrebbe fare allora il libraio? Rifiutarsi di vendere libri dall'incasso sicuro? Per cento Fabi Voli vendiamo almeno un "Mein Kampf" e non so quanti libri altrettanto morbosi sul nazismo. Quelli è pedagogico venderli? Ed è pedagogico e giusto che una persona in qualità di libraio faccia una selezione di ciò che vada o non vada venduto o esposto? 
 Dove dovrebbe stare la forza di scelta in un libraio che prima di tutto è imprenditore, visto che se non vende fallisce? Nella selezione dei libri che posso assicurare si fa anche nelle grandi catene (anche se misteriose leggende scrivono che gli ordini vengono fatti da un sommo burattinaio che decide tutto dall'alto, suppongo non dorma e non abbia famiglia visto che deve leggersi i cataloghi di tutte le case editrici della terra)? 
 Non potete capire quante cose escano giornalmente. In un'epoca in cui esiste financo il Print on demand ormai trovare qualcosa di valore è peggio della ricerca del sacro Graal, anzi quella secondo me era più facile.
 Quello che voglio dire con questo so molto palloso post, è che la libreria non può avere una funzione pedagogica perché, a scanso di personaggi eccezionali a condurle, non è nella sua natura. La biblioteca ha una funzione pedagogica perché è un servizio, è dei cittadini, è di tutti. La libreria è di un solo padrone che fa cassa e può farla in modo illuminato e (se è bravo, capace, appassionato sarà questo il suo modo di lavorare sempre anche nelle difficoltà) ma deve farla.
 In un'epoca in cui c'è la scuola dell'obbligo, l'alfabetizzazione scolastica è altissima, le possibilità di acculturarsi altrettante, il fatto che la domanda premi ancora robe alla Fabio Volo o  "Fallo felice" o "50 sfumature di bianco rosso e verdone", il fatto che l'unica cosa che riesci a far prendere in mano a tanta gente sia la storia di due adolescenti che sognano di volare tre metri sopra il cielo su una moto per  corse clandestine è triste e specchio di una società che sta perdendo un'occasione storica.
  Ed è quello che volevo dire ieri: è la domanda che fa la libreria non viceversa.

(Ps. Il fatto che io riporti un dato di fatto/un dato di fatto storico non vuol dire che sia d'accordo, ma la storia non ammette opinioni è tale e basta).

8 commenti:

  1. Non so voi ma io in musica e in lettura (nel cinema molto meno) ho dei gusti parecchio definiti e a compartimenti abbastanza stagni. Per cui MAI E POI MAI starei a sentire i consigli di un generico libraio, se enrto in un negozio, o so già cosa voglio o comunque trovo qualcosa che mi possa interessare (semmai, ho degli amici che so che consigliano sempre ottime letture, ma incidentalmente nessuno di questi lavora in una libreria). On the other hand, non trovo particolare sconforto nel vedere pile di variopinti libri di Fabio Volo sbucare ovunque (mi irrita molto di più bruno vespa, quello davvero non ci credo che vende quanto dicono): la libreria campa se vende e Fabio Volo vende.

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  2. Sono contenta che dalla discussione sia nato uno spunto per approfondire quest'argomento.
    Capisco il tuo discorso, la libreria è alla fin dei conti un negozio come una gioielleria o un macellaio. In mia opinione questa idea che la libreria debba avere anche un funziona pedagogica può essere conseguenza di biblioteche che, invece, non la svolgono.

    Non voglio fare generalismi, ma le mie esperienza da lettrice in biblioteca non mi hanno entusiasmato, purtroppo ho solo frequentato biblioteche di provincia, spero che le grandi siano meglio.

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    1. Sui processi di selezione del personale delle biblioteche c'è da tempo una furiosa discussione all'interno della comunità bibliotecaria. Si passa da concorsi dove chiedono la qualunque ad altri dove basta il diploma, senza contare la mobilità interna del personale della PA che si ritrova nell''ufficio biblioteca senza alcuna preparazione nel campo. Si ritiene spesso e a tortissimo che sia un mestiere banale in cui basta sapere quattro cose in croce sulla catalogazione e amministrazione e via. Per questo molte funzionano male malissimo. Ovviamente esistono anche bibliotecari preparati e capaci, e questi sanno bene di cosa parlo e che non mi riferisco assolutamente a loro.
      Se le biblioteche in Italia funzionassero a dovere ci sarebbero dei miracoli.

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    2. http://www.youtube.com/watch?v=78hR452CD1U

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  3. Anni fa volevo approfondire la geopolitica, così chiesi a una commessa, che mi consigliò Chomsky. Le sono grato ancora.

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  4. Non so chi dica che il librario abbia una funzione sociale e che la libreria non debba puntare alle vendite, non ho mai sentito nulla del genere e sicuramente io non lo penso. Anzi, io considero i librai, ormai esistenti solo in quanto assunti da grandi catene, alla stregua di normalissimi commessi. Non è richiesta la laurea né il liceo classico né il senso critico in sede di assunzione, quindi non capisco questo discorso.
    Il punto dovrebbe essere un altro: la funzione sociale del saggio, del romanzo, della poesia, che come sappiamo esistono in forma orale dalla notte dei tempi. Prima della stampa vi erano testi altrettanto famosi, in proporzione, a quelli di Fabio Volo, basti pensare a Omero: i testi che ora vediamo su carta al tempo avevano una funzione pedagogica. Ai tempi di Dante e Petrarca vi erano i mecenati, quindi non si guardava affatto alle vendite. I migliori lavori sono nati senza scopo di lucro. In conclusione, è il libro, non il libraio, è la cultura a dover svolgere una funzione sociale.

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    1. Ti ringrazio Akiko per questo tuo straordinario offensivo commento totalmente decontestualizzato dallo spirito del blog.

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