mercoledì 5 novembre 2014

"Sesso, droga e rococò" la storia del falsetto attraverso i secoli di Massimo Di Vincenzo. Da Darkness ai Pooh, da Farinelli a Prince storia di una per me stramba usanza musicale.

All'inizio dell'università, una mia carissima amica di allora aveva un fidanzato con un sogno: diventare una star di una band di fama mondiale glam-rock.
Qualcuno li ascolta ancora? O se li ricorda?
Per ottenere il suo scopo, amava ricoprirsi di paillettes, indossare boa di piume di struzzo, pittarsi le unghie e atteggiarsi da divo consumato assieme al suo migliore amico, un nasuto bassista dai vaporosi boccoli biondi tenuti fermi da un cerchietto. 
 Assicuro al cosmo virileggiante che no, non hanno mai mostrato gaye tendenze, sognavano semplicemente di vivere in un mondo a misura di David Bowie.
 I loro idoli principali, in quell'epoca oscura, erano i "Darkness", gruppo il cui cantante raggiungeva acuti allucinanti stretto in tutine microscopiche nel bel mezzo di video dalla scenografia atroce.
 Se escludiamo questo episodio e un grande amore per il film "Velvet Goldmine", questo è stato fino a qualche settimana fa il quasi unico contatto che io abbia mai avuto col falsetto.
  Lo premetto. Io di musica capisco poco e niente. Sono anni che sento random praticamente le stesse cose: De Andrè-Guccini-De Gregori- Rino Gaetano-Baustelle (e cantautori vari ed eventuali) con rari innesti di canzoni che mi piacciono al momento. Considerando che la maggior parte dei libri di musica (e degli appassionati di musica) ti fa passare la voglia di leggerli a suon di citazioni, rimandi, riferimenti tecnici e accenni a cose, persone, città, per loro famosissime, per me ignote, di saggistica musicale credo di aver letto poco e niente in tutta la mia vita (escludendo le biografie che ho sempre leggiucchiato abbastanza). 

Tuttavia questa estate si è palesato in libreria un libro il cui assurdo titolo e la sua assurda copertina avevano attirato la mia goliardica attenzione, si trattava di "Sesso, droga e rococò. Storia del falsetto dai castrati all'Heavy metal" di Massimo Di Vincenzo ed. Arcana.
 Preso atto dell'esistenza di tale opera, il mio interesse era più o meno scemato all'istante, poi il caso aveva voluto che la7 mandasse in onda "Farinelli. Voce regina" in una di quelle sere in cui la tv (o la tv sul pc) la guardiamo io e un centinaio di vecchi sopra i 70 anni.
 In codesto film, il solito efebico Stefano Dionisi, si dibatteva come un'anguilla per la disperazione di essere stato castrato a tradimento dal fratello maggiore, un aspirante scrittore di opere liriche da percuotere con un randello. Giacché il danno era fatto, almeno Farinelli ebbe in sorte di avere un ugola eccezionale, e la usò con sommo gradimento di tutti i teatri europei finché non avvenne un fatto assurdo: la moglie dell'allora re di Spagna, uomo colto da strana depressione (allora malattia ignota) pensò bene di portarlo a corte per sollevare lo spirito del consorte. per quegli assurdi moti quasi romanzeschi del destino, il piano funzionò: il re si riscuoteva davvero dal torpore ascoltando la sua voce e volle che rimanesse a corte per cantare solo per lui.
 Il film si perdeva poi in una complessa vicenda di vendette e desiderio di paternità del povero Farinelli che ricorreva infine ad una fecondazione eterologa fatta alla maniera antica.
 La curiosità era però ormai accesa e così questo libro capitava a fagiolo. 
Dionisi Farinelli style
 Così per la prima volta in vita mia ho dato una possibilità ad un saggio musicale e fortunatamente non sono rimasta delusa.
 Allora, innanzitutto c'è da dire che il libro ha una struttura fatta apposta per i profani come me: ha brevi introduzioni storiche capitolo per capitolo, seguite da  una serie di brevi biografie condite da aneddotica
 . L'aneddotica, ed è quello che penso da sempre, è quella cosa magica che ti permette di trovare interessanti e studiare anche le materie più pallose. Probabilmente è uno dei motivi per cui in matematica sono sempre stata una zappa.
 Il libro parte da quel tragico momento, a metà '500, in cui corti reali e pontificie iniziarono a richiedere letteralmente sangue umano: quello dei ragazzini castrati. Piacevano infatti le voci bianche, ma soprattutto alla Chiesa non piaceva che le cantanti donne si esibissero, essendo la cosa considerata indecente. Così si pensò alla cosa più ovvia: castriamo i quasi adolescenti canterini più promettenti.
 Erano principalmente ragazzini poveri o che, per vari motivi, erano passati tra le mani di medici praticoni che  avevano fatto danni lì sulle loro parti basse. Eccezione a questa castrazione di classe fu il povero Farinelli che nonostante provenisse da una famiglia napoletana molto benestante, al limite della pubertà fu immerso nell'acqua calda e zak, privato di un organo alquanto vitale.
 La moda dei castrati cavalcò nei secoli moderni, fino alle soglie del fascismo.
 L'ultimo castrato di un certo successo, l'unico di cui si abbia una registrazione sonora, è Angelo Moreschi "l'angelo di Roma", morto nel 1922 tra lo sconcerto generale. Pare infatti che tutti strabiliassero nell'aver saputo che questo relitto di un'epoca che sembrava preistorica fosse ancora in vita.
 Dagli anni '20 si entrò quasi per direttissima nei favolosi anni '60. Via le tonache, via i re di Spagna affetti da melancholia e benvenuta dance!
  I falsettisti non sono più dei ragazzini sacrificati al coro della chiesa, ma dei baldi giovanotti vogliosi divertimento on the beach.
 Ed ecco che appaiono i Beach Boys e i Bee Gees che scelgono il falsetto come nuova chiave per far muovere le pelvi di mezzo mondo contagiando falsettisti sparsi in ogni dove, persino in Italia.
 Chi c'è qui da noi? Ivan Cattaneo, bergamasco alquanto queer, gli indimenticabili Cugini di campagna che sono riusciti a rendere romantica una canzone che sembra cantata da una vicina di casa in crisi d'ansia, e persino i Pooh che disseminano il loro repertorio di falsettate ad hoc (indimenticabile per me l'intro di una canzone che mi piace moltissimo "Piccola Katy" ooooooh piccola katy ooooohoooooh).

Si salta poi negli anni '80, il decennio che è riuscito nuovamente a rovinare un secolo che si era quasi ripreso dagli orrori delle guerre regalandoci yuppie e turbocapitalismo, ma il tutto con una moda inquietante e a ritmo di dance.
 Prendono il volo in questi anni pieni di tulle e jeans, il piccolo Prince, Freddy Mercury e artisti apertamente votati alla causa gay come Bronsky Beat (apparso anche nel film "Orlando") e Klaus Nomi, cantante bavarese lanciato da David Bowie scomparso prematuramente a causa dell'Aids.
 Il libro, che arriva fino al segaligno Mika, il quale in Grace Kelly gigioneggia con un falsetto di epiche dimensioni, fa venir voglia di ascoltare una discografia infinita (vi dico solo che scrivendo questo post ho mandato i Pooh in loop), si legge agilmente e non annoia mai.

 Ho un unico appunto: io non mi lamento assolutamente mai di queste cose, non dei refusi della tipografia, non della grafica e simili, ma io una rivistina all'editing finale fossi stata nell'editor o in chi per lui gliel'avrei data. In giro per il libro ci sono frasi palesemente dialettali che insomma anche no. 
 Per il resto, non so agli esperti di musica che effetto faccia questo libro, ma io ho apprezzato.
 (E comunque ora che ci penso mi piace anche Lady Gaga).

Ah, il fidanzato glam rock della mia amica, ora è un ex fidanzato e fa il truccatore e sì, è sempre molto etero.



3 commenti:

  1. Io questi qui li adoravo, The Darkness! Mi venne pure una fissa per il secondo chitarrista, un po' più tenebroso.
    Con il Glam Rock vado a nozze: cresciuta con Freddie Mercury nelle orecchie, mia madre mi propinava Bee Gees e Deep Purple, passando per Bowie, in adolescenza scelsi i Placebo (che conservavano giusto un aspetto androgino e una confusione totale sugli orientamenti sessuali), con i Darkness sono rinata e Mika mi piace nei momenti di follia.

    Penso di aver letto solo un paio di volte delle biografie di musicisti e star musicali, ma annoiano anche me.

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    1. Se scritte bene le biografie sono fenomenali. Quelle sui musicisti/cantanti soffrono di un problema grave spesso: sono scritte da autori che sono anche fan sfegatati. Il risultato è che finiscono per essere mitizzazioni o hanno momenti di vuoto allucinanti (lo scrittore dà per scontato che noi sappiamo a cosa si sta riferendo perché per lui, superfan, è un dato ovvio, mentre per me, profana, è completamente ignoto).

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  2. Anche secondo me il falsetto è un'usanza ben strana, però mi sono dovuta arrendere all'evidenza: nonostante io di base adori i 'vocioni' maschili un po' rochi, pur tuttavia, musicalmente parlando, apprezzo tantissimo il 90% dei falsettisti. Non so come sia 'sto fenomeno, ma tant'è, a quasi 40 anni mi sono arresa a 'sto gusto strano che non so da dove mi nasca, e mi godo le canzoni cantate in falsetto senza riserve.

    E sì, pure io mi ricordo i Darkness, eccome :)

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