venerdì 17 luglio 2015

Due libri meno conosciuti sul gruppo più famoso della storia: i Beatles! Tra componenti perduti in Germania, tagli di capelli alla francese, leggende metropolitane, amori finiti male e messaggi dall'aldilà due consigli di cui non vi pentirete!

Quando ero bambina, alcune mie amiche avevano dei genitori, padri in genere, appassionati di musica seria.
 Questi genitori coscienziosi allevavano la prole a base di Pink Floyd, Deep Purple, Rolling Stones, Beatles, Queen e altri gruppi che hanno fatto la storia della musica.

 Mio padre aveva altri gusti, più nostrani. Così, ricordo queste estati a base di musicassette degli Alunni del sole, Alberto Fortis, Homo Sapiens e Mattia Bazar.

 Qualcuno che gorgheggiasse in inglese non era previsto neanche di striscio, magari è per anche per questo che sono tanto incapace nelle lingue straniere, chi lo sa (padre non prendertela se leggi questo post).

 Comunque, ovviamente sapevo chi fossero i Beatles, ma ascoltai distrattamente i loro cd (tra l'altro avevo una curiosa edizione con scritte in giapponese sul retro), fino al primo anno delle superiori, quando avvennero due cose.

Innanzitutto mia madre pensò bene di portarmi a far tagliare i capelli da un parrucchiere di un minuscolo paese vicino al nostro, conosciuto tra il volgo col significativo soprannome de "er bigamo", malgrado fosse accertato che di moglie ne avesse avuta effettivamente sempre e solo una.

 Lei lo considerava una sorta di mago del taglio perché riusciva a riprodurre il suo, sempre identico, da almeno vent'anni. A me, pensò bene di fare un taglio identico a quello di Alessandra Martinez in "Fantaghirò".

 Ovviamente, poichè dovevo subito distinguere come una delle sfigate della classe, questo avvenne pochi giorni prima dell'inizio del quarto ginnasio. Nella vergogna e dileggio generali tentai di mimetizzarmi col banco per giorni.

 Poi, avvenne la seconda cosa, imprevedibile: tra le mie compagne di classe c'era una very appassionata degli scarafaggi di Liverpool che, un giorno, esordì sconcertata dicendo, "Posso dirtelo? Con questi capelli sei identica a Paul McCartney! Io ho sempre pensato di somigliare a Lennon, per i capelli rossi, capisci?"

 Mi si aprì un mondo, quello stupido caschetto bombato poteva non essere solo fonte di risa, ma anche di orgoglio musicale!

 Così cercai di documentarmi come potevo e la mia compagna di classe, (poi diventata una delle mie migliori amiche, ma dopo quest'opera di carità non poteva essere il contrario), produsse alcune tra le ultime musicassette in commercio perché potessi ascoltarle.

  In realtà ormai il danno degli alunni del sole era fatto e l'unica canzone dei Beatles che effettivamente significa qualcosa è quella canzoncina inquietantissima che è "Norwegian wood" (tizio indispettito dal fatto che una tipa non gliel'ha data dopo avercelo fatto credere, le dà a fuoco casa).

Tuttavia questa, comprendo per voi, completamente inutile questione dei capelli, mi è tornata alla mente leggendo una graphic novel pescata per caso alle bancarelle: "Baby in Black", la vera storia di Astrid Kirchherr e Stuart Sutcliffe ed. Blackvelvet di Arne Bellstorf autore amburghese.

 Come molti sapranno, in principio, quando i "Beatles" erano dei ruspanti ragazzotti di provincia inglese che speravano di sfondare, avevano un quinto componente, un compagno di scuola di John Lennon tirato dentro al gruppo a suonare il basso.

 Era un ragazzetto particolarmente avvenente, con un viso delicato e quel certo non so che da attore francese della nouvelle vague. Si chiamava Stuart Sutcliffe e la sua vera aspirazione era diventare un pittore di livello.

Rosicare per la bellezza di entrambi è comprensibile
 Durante i lunghi mesi che il gruppo di Liverpool passò ad Amburgo con la viva speranza di incappare in un produttore discografico, alle loro esibizioni iniziò a andare sempre più spesso una bionda e graziosa ragazza tedesca, Astrid, che, ben lungi dall'essere una vezzosa groupie della prima ora, era in realtà una promettente fotografa.

 Iniziò così la loro amicizia, le prime fotografie in cui, ingelatinati e avvolti in giubotti di pelle da veri teppisti i cinque posavano per lei che, sin da subito aveva sentito qualcosa per Stuart.

 Ve la faccio breve perché pare un romanzo, ma è tutto vero. 

 Stuart e Astrid si innamorano, lui lascia il gruppo e si ferma ad Amburgo.
 Qui studia e dipinge come un forsennato, ha molto talento e inizia ad essere notato, questo, nonostante sia continuamente tormentato da epici mal di testa che gli impediscono talvolta di alzarsi dal letto. I medici dicono che è la stanchezza, i, nervosismo, il fumo e il vino.

Sta di fatto che (non c'è molto spoiler al riguardo), Stuart muore a 22 anni per aneurisma.

 Astrid continuò la sua strada e, nonostante un'onorevole carriera di fotografa professionista, ho scoperto che viene ricordata per essere "colei che inventò il taglio di capelli dei Beatles".

  In un'epoca in cui i consulenti estetici non esistevano, lei, che portava i capelli biondissimi e cortissimi, convinse prima Stuart e poi gli altri a privarsi dell'amata gelatina, consegnando alla storia quel taglio alla paggio Fernando che sfoggiano durante i loro primi gorgheggi di successo.

 Il libro è condotto in modo semplice ed esauriente e i disegni sono davvero particolari. 

Arne Bellstorf non usa molti particolari, ma con pochi tratti riesce a consegnare dei personaggi straordinariamente somiglianti agli originali.

 Il perenne fumo della sigaretta di Astrid, la mancanza di parole nel finale, come a indicare un silenzio mortale che sommerge ogni cosa, un Paul McCartney minorenne e squattrinato e un Lennon che stuzzica i tedeschi gridando a fine concerto che "La guerra comunque l'abbiamo vinta noi!", restituiscono uno spaccato del periodo amburghese dei Beatles davvero notevole senza essere pesante, didascalico o agiografico.

 Già che ci sono voglio segnalare un'altra perla sui Beatles, precisamente su Paul, anche questo frutto di una bancarella di tanti anni fa. Da brava ignorante di musica, ignoravo anche che esistesse una leggenda metropolitana a proposito del buon Paul che molti affermano non essere il Paul originale, ma un sosia perfetto arruolato da Beatles e staff dopo un mortale incidente incorso al Paul primigenio, denominato in quanto fake "Faul".

Il libro dovrebbe essere ancora in
commercio, ma col titolo "Paul is dead?"
 Leggenda vuole che una notte del 1969, Paul, uscito dalla sala prove, desse un passaggio a una ragazza che faceva autostop, talmente disperata per una contorta questione di aborto da non accorgersi di avere proprio lui accanto.

 La sventurata ebbe la sfortuna di riconoscerlo e fangirlare forsennatamente all'altezza di un incrocio, Paul si distrasse e pam venne coinvolto in un incidente mortale.

 Ma Paul non poteva morire e così ecco saltare fuori lui: Faul!

 Il folle komplottismo a tema canterino ebbe un suo complesso seguito per chi ovviamente credeva a questo scambio di persona e ci fu il solito delirante ricercare indizi su questo fantomatico evento in ogni dichiarazione dei Fab Four, sulle copertine (alcune si prestavano) dei loro lp, sulle dichiarazioni dei loro amici e anche sulla fisiognomica del baronetto Paul.

 La mole di tali inconfutabili prove è stata tale da dar vita ad una serie di libri tra cui "Il caso del doppio Beatle" di Glauco Cartocci Robin Edizioni, appunto il dettagliatissimo libro che recuperammo su una bancarella di una (mi pare) festa dell'Unità e io e la mia amica leggemmo per non so quante ore in macchina fuori da casa mia.

 La cosa interessante (e inquietante) fu che alla fine, quando accendemmo la radio per farci un po' di sottofondo, le frequenze ci restituirono "I'm the Warlus".

 Giacobbo direbbe che il vero Paul ci stava mandando un messaggio dall'aldilà.


3 commenti:

  1. Perdonami, non c'entra nulla, ma quando hai detto "autore amburghese" mi sono venuti in mente i "galletti amburghesi" di una nota ditta di prodotti avicoli! XD
    Che poi, credevo di essermeli sognati, ché non ne ritrovavo traccia, e invece ho scoperto che l'espressione "galletto amburghese" fu oggetto di un contenzioso legale fra produttori di polli negli anni '80 e la ditta produttrice ne perse talmente in immagine da rischiare la chiusura e la messa sul lastrico di un'intera valle alpina. Ah, però! :-O

    Anche in casa mia di musica inglese n'è sempre girata poca. Mia madre ascolta tuttora solo musica italiana, e mio padre, a parte Pink Floyd e Jethro Tull (due album in croce per entrambi i gruppi), non ci ha mai offerto altro che classica.
    Questo per dire che pure io sono cresciuta abbastanza disadattata, in termini musicali. E quando, da adulta, ho scoperto che mio padre conosceva anche Doors e Deep Purple, ho quasi avuto uno shock! °_°

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  2. Ciao, sono Glauco Cartocci. Ho visto solo ora il tuo carinissimo commento sul mio libro. Mi farebbe piacere scambiare quattro chiacchiere. Se vuoi puoi cercarmi su Facebook (profilo personale e gruppo- Il Club di GC) o scrivermi una mail a glaucart@tiscalinet.it
    A presto, spero

    GC

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    Risposte
    1. Wow!! Sei tu in persona! L'ho scritto subito alla mia amica, che serata che ci hai donato, con l'inquietante tocco finale dalla radio! :)

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