mercoledì 13 aprile 2016

Piccole recensioni tra amici! Tre graphic novel tra memoir da vero maschiaccio, amori indiani, fogne, Peggy Sue si è sposata, effetto nostalgia, Jiro Taniguchi e mancate puntate di "Modern family".

 
A causa di una serie di sfortunati eventi, in questi giorni sto facendo un po' fatica a tenere il mio ritmo blogghesco, ma tenterò di recuperare.
 Come ogni tanto succede, tra l'altro, ho una quantità di libri in lettura che poi finirò più o meno contemporaneamente creando un ingorgo di recensioni.

 Nel frattempo godetevi queste tre piccole recensioni tra amici, anche stavolta sono tre graphic novel (tra l'altro vi ho risparmiato, almeno per ora quella de "Il cane che guarda le stelle" sia perché è più un fumetto che una graphic novel, sia perché è una roba di una tristezza inenarrabile).
 Non voglio tediarvi oltre, ma per farvi perdonare aggiungo lo schizzo omaggio che potete ammirare sulla sinistra e che rappresenta le varie cause della mia poca prolificità di questi giorni.

 Piccole recensioni tra amici a voi!


MASCHIACCIO di Liz Prince ed. VandaePublishing:

 Ebbene sì, alla fine anche io alla fine ho letto un e-book (su pc con le ovvie lacrimazioni del caso).
 Questo perché questa bella e anche corposa (253 pagine!) graphic novel di Liz Prince in Italia ha trovato traduzione e pubblicazione grazie a Vandaepublishing e non una casa editrice cartacea.
 Massimo rispetto e ovviamente non ci si può che complimentare per aver colto la bellezza del titolo, ma soprattutto per fumetti e graphic novel, trovo sia un peccato quando si trovano solo in formato digitale.
 Detto ciò, andiamo avanti.

 Si tratta di uno di quei bei memoir americani molto ironici, senza eccessivi orpelli o voli pindarici che in Italia non si capisce perché facciamo fatica a produrre con successo (noi o ci buttiamo sull'onirico o sulla tragedia di provincia, perché non si sa).
 Liz è una bambina allegra e con le idee molto chiare: odia glitter, il colore rosa, le principesse, le bambole, le codine, i cerchietti, gli accessori e tutte quelle robe che si ritengono debbano piacere a una bambina femmine se no aiutochesuccedenonènormale.
 Fortunatamente per lei, i suoi genitori non le fanno alcuna pressione e la assecondano: sin dall'asilo Liz va a scuola vestita come vuole, ossia, orrore, come di solito si vestono i maschi. Si azzuffa con loro, preferisce i loro giochi e usa la casa delle bambole per infilarci mostriciattoli e robot.
 I problemi iniziano quando, terminato l'asilo, la famiglia si trasferisce in Arizona, un preMessico dove le cose a scuola si fanno molto più impegnative.
Comincia così la lotta di Liz che mai per un momento pensa di cedere e racconta i suoi anni scolastici attraverso le numerose amicizie che vanno e vengono. Le belle bambine infiocchettate iniziano a prenderla in giro, i maschi magari fuori da scuola giocano con lei, ma nel sacro edificio la trattano come un'appestata.
E non migliora di certo la sua esistenza quando, per seguire le sue migliori amiche, si iscrive a un liceo cattolico dove scopre con orrore che deve andare a messa una volta a settimana in gonna.

 Il bello di questa graphic novel è che non diventa mai una tragedia, racconta, con molta grazia tutto quello che i genitori temono accada ai loro figli: il brusco contatto col resto del mondo.

Momento di commozione quando ho scoperto di non essere stata l'unica
bambina a pretendere di vestirsi da Indiana Jones
Nessun genitore vorrebbe mai che i propri figli si imbattessero in difficoltà di sorta (e anche per questo c'è la tragedia quando si percepiscono comportamenti "fuori dalla norma".
 Purtroppo, finché tutti non si impegneranno a desiderare una società migliore (e chiariamo, io non ci spero) le attenzioni continue dei genitori non potranno mai vincere contro la realtà nuda e cruda.  Una realtà fatta di cattive e retrive persone, amici che tradiscono, amici che ad un certo punto non capiamo più, delusioni d'amore, gigantesche imposizioni della società che non sappiamo neanche di dover combattere.
 Alla fine Liz trova le sue risposte, i suoi veri amici, il suo posto nel mondo e la sua felicità.
 Perché alla fine l'insegnamento nel tempo è solo uno: resistere resistere resistere.
 Fatto non irrilevante: Liz è eterosessuale fino al midollo. Voi direte: e che conta? Conta nel momento in cui per anni è stata presa in giro perché tutti credevano fosse lesbica, nello stupido pregiudizio che: A) Alle lesbiche piaccia vestirsi da maschio e giocare a calcio coi maschi. B) Non possano esistere ragazze etero che non amano trucchi, lazzi, accessori e scarpe.
 Lo darei da leggere alle scuole medie per vedere che effetto fa. Secondo me ne uscirebbero pensieri interessanti.

NEL CUORE DI SMOG CITY di Amruta Patil ed. Metropoli d'Asia:

 Pare, da quel che ho trovato su internet, che questa graphic novel sia la terza in assoluto opera di un autore indiano e la prima di un'autrice, cosa che, tra l'altro, potrebbe anche spiegare il tratto  quasi rudimentale. 
Tra l'altro da non sottovalutare il buon prezzo:
12,50
La storia è quella di Kari, una copywriter che vive a Mumbai condividendo casa con altre ragazze.
  Ha un buon lavoro che sta per spiccare il volo, genitori che non la capiscono e vivono fortunatamente lontani, un collega con cui lavora e gira documentari sui senzatetto e un amore perduto: Ruth (poi qualcuno mi spiegherà se l'incidenza di lesbiche che si chiamano Ruth nella letteratura viene davvero dalla presunta storia d'amore lesbico nella Bibbia Ruth-Noemi).
 Le due si sono lasciate a causa delle mancanza di senso politico di Kari, (che tra l'altro è lo stesso motivo per cui entrano in crisi le protagoniste de "Il blu è un colore caldo") e da allora le loro strade si sono divise: Ruth è partita per l'occidente, Kari è rimasta a combattere i suoi fantasmi in una città sovraffollata e sovraccarica di odori, sapori, persone e ossessioni.
 Bisogna premettere che "Nel cuore di smog city" fa parte di quelle graphic novel che non procedono come un fumetto. Ci sono infatti lunghi pezzi scritti e assai meno momenti disegnati. Se dovesse avere un'altra forma, ossia se in realtà avrebbe reso meglio in forma di romanzo è un dubbio che mi è venuto a più riprese. La risposta che mi sono data è: non lo so.
 Il punto è che  si ha la sensazione di leggere comunque un romanzo con delle illustrazioni che si integrano benissimo con la parte scritta senza mai risultare superflue. Se ne accettassimo l'esistenza si potrebbe definire un romanzo illustrato per adulti.

 Detto ciò a me la storia ha sorpreso molto. Non mi aspettavo devo dire un'opera già così buona. Il livello del racconto, i personaggi che lo popolano, le relazioni tra di loro sono ben costruite, delicate, senza retorica, inutili tragedie (e vi dico che ci sono anche dei suicidi) o eccessive fisime mentali.
  Kari vive come può, rimpiangendo le occasioni perdute (ma senza far nulla per porvi rimedio), annaspando in un mondo a cui non riesce a dare un'interpretazione personale. Si fa trascinare in modo assai supino dalla corrente, da una vita che alla fine non è davvero sua, dagli evenai e dalla fogna che a cielo aperto attraversa Smog City,
 Lo fanno molte persone, poche hanno il coraggio di ammetterlo.
 Oh, a me è piaciuta davvero davvero tanto. Se siete amanti delle graphic novel con un livello di disegno elevato non saprei se fa per voi (anche se ho trovato molte soluzioni assai poetiche), se invece amate le belle storie, benissimo scritte, non abbiate tema: non ve ne pentirete.

QUARTIERI LONTANI di Jiro Taniguchi ed. Coconino Press:


Uno dei film preferiti di mio padre è "Peggy Sue si è sposata".
 Per anni io, mia madre e le mie sorelle ci siamo interrogate sul perché non essendo capace ovviamente mio padre a dare una risposta sensata al nostro quesito (non è né appassionato di cinema né tanto meno di film simili a Peggy Sue).

 Dopo aver letto "Quartieri lontani" forse ho capito cos'è quell'inspiegabile fascino che tanto appassiona il mio amato genitore. Peggy Sue e quest'opera di Jiro Taniguchi esplorano entrambi quel topos visto e rivisto (ma sempre efficace) che è la possibilità, per una persona, di tornare indietro nel tempo ad un preciso momento della propria vita.
  La trama. Hiroshi è un quasi cinquantenne che attraversa quel classico momento di scoramento della propria esistenza in cui il distacco tra ciò che si avrebbe desiderato e ciò che in realtà si ha, è talmente enorme da renderci estranei a noi stessi. Chi è quella persona che lavora, litiga con le proprie figlie e discute con la propria moglie? E' davvero lui? E cosa ne era stato del futuro che aveva immaginato? Dei suoi progetti? Com'è arrivato fin lì?

 Forse è la forza di questo rimpianto che, durante un pellegrinaggio sulla tomba di sua madre, lo rispedisce indietro nel tempo all'estate dei suoi 14 anni.
 Un periodo che Hiroshi non ricordava di anelare con particolare forza, eppure scopre, con la sorpresa di chi ha dimenticato, di essere stato pieno di eventi, di gioie familiari, di quella freschezza delle prime esperienze adolescenziali come il primo amore o giro in moto. Rivede la nonna, sua mamma, compagni di classe che ha perso di vista da anni (o che sono morti) e rivede lui, suo padre. Un uomo che li aveva abbandonati molti anni prima, proprio in quella fatidica estate.
 Così quel ritorno indietro nel tempo diventa un'indagine per scoprire come un uomo con una moglie bellissima, due figli che amava e un lavoro sicuro, un giorno, senza nessuna ragione particolare, avesse deciso di svanire per sempre.
 L'effetto nostalgia funziona sempre, interessante in questo caso scoprire le ferite di un Giappone post-bellico che uscì rovinosamente sconfitto dal conflitto mondiale. Il prezzo che ne pagarono i sopravvissuti e le loro famiglie fu saldato solo nel corso di molti anni e a costo di decisioni inspiegabili per un ragazzino.

 Mi sento di consigliare la lettura parallela de "L'uccello che girava le viti del mondo", a mio parere il vero capolavoro di Haruki Murakami, in cui le scene della guerra tra Cina e Giappone sono dei capolavori (molto crude e vivide avviso). 
 L'operazione nostalgia di Taniguchi ha un finale in cui la comprensione prende il sopravvento sulla recriminazione. Qualcosa che dovremmo ricordare tutti meglio in questi tempi in cui spesso dimentichiamo che ognuno di noi ha una storia, vecchi amori, mai sanati dolori.

 E voi ne avete letto qualcuno? Vi incuriosiscono? Testimoniate!

11 commenti:

  1. Libraia, non so come dirtelo, ma il fatto che tu lasci intendere che "fumetti" e "graphic novel" siano entità distinte, da lettrice più che ventennale di fumetti (di quasi tutti i tipi), mi urta come poche altre cose... ^_^;;;

    Per il resto, ho letto anni fa "Nel cuore di Smog City" ma, devo dire, non ne conservo un ricordo particolarmente pregevole. Rammento poco della trama, ma il volume è/era nello scatolone destinato ai libri di cui sbarazzarsi: qualcosa fra me e l'opera deve essere andato proprio storto... °_°

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    1. In realtà io vedo una differenza tra fumetti e graphic novel. Per me la graphic novel è un romanzo in forma di fumetto, mentre il fumetto è un fumetto. Questo non vuol dire che reputi il fumetto una forma d'arte minore, ma che, secondo me, c'è una profonda differenza d'intenti.
      Nel caso de "Il cane che guarda le stelle" siamo un po' sul filo, ma alla fine della giostra, nonostante la profondità della storia, non siamo ancora sul livello di concezione di un romanzo che ha altre dinamiche.

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    2. Per me "fumetto" è un linguaggio. Un linguaggio con suoi propri codici specifici. Con quel linguaggio puoi raccontarci tutto. Dal romanzo autoconclusivo alle storie a puntate pluridecennali, alle strisce o vignette comiche, ecc.
      Posso accettare una distinzione fra "graphic novel" e "fumetto seriale", volendo. Ma dire che una graphic novel non è un fumetto, per me equivale a dire che un affresco non fa capo alla pittura (perché non è su tela)...

      Peraltro, se si cerca una definizione univoca di graphic novel, ci si rende conto che anche fra gli addetti ai lavori c'è una gran confusione e ognuno interpreta la locuzione a modo suo.
      Resto convinta che "graphic novel" sia solo un'etichetta modaiola buona per quelli che si vergognano a dire che leggono fumetti. Ma dire "leggo graphic novel, io, mica fumetti!", imho equivale a dire "leggo saggistica io, mica libri!".
      Questione di insiemi e sottoinsiemi.

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    3. Libraia, qual'è la differenza d'intenti?? la questione mi interessa moltissimo. Anche io ho sempre concepito il fumetto come linguaggio. È fumetto se la narrazione è portata avanti per immagini, tutto qua. E non ho mai sentito definizioni diverse con una buona tenuta logica, tanto che considero anch'io graphic novel un'etichetta modaiola per ipocriti come la lettrice sopra. Ti prego esplicita la tua concezione. OK le dinamiche del romanzo, che si possono replicare nel "graphic" novel,ma quali sono le dinamiche del fumetto come genere?

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  2. Posso togliermi una curiosità? Per caso lo possiedi un tablet? Forse no...
    Sai quanto ti sarebbe più facile postare la tue divertenti vignette se le disegni li sopra?!
    Io poi ormai i libri li leggo tutti in ebook, tranne i fumetti....

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    1. Dunque, no non possiedo un tablet, ma possiedo una tavoletta grafica che ho provato a imparare come si usa ma: A) Per me è abbastanza difficile e non ho molto tempo da dedicarci (se fossi un'illustratrice di professione di sicuro mi ci applicherei, ma per me vuol dire solo togliere tempo ad altre cose al momento) B) In realtà disegnare sulla tavoletta grafica non è così immediato come sembra, almeno per me. Già il fatto che la tavoletta non ha l'attrito del foglio e che devi disegnare mentre guardi lo schermo e muovi la mano da un'altra parte mi manda in crash.
      Al momento perdo meno tempo facendole a mano e scannerizzandole.
      Per quel che riguarda gli ebook è proprio un mio limite, non ce la faccio. Mi distraggo, perdo il filo, mi dà fastidio che compro un libro e non ce l'ho fisicamente e dopo un po' mi si incrociano gli occhi. Quindi io mi tengo la carta :)

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  3. Mi ha incuriosito molto il libro di Taniguchi,segno!Grazie!!!

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  4. voglio Maschiaccio! sono io! da bambina mi regalavano bambole e le distruggevo per giocare invece ai cowboys-versus-indiani con i cugini impadronendomi di arco-frecce-pistole-fucili! le gonne e i capelli lunghi a trecce mi sono stati imposti fin verso ai 14 anni, quando ho imposto taglio corto e pantaloni... e sono etero pure io, anche se il rosa e i fronzoletti vari li odio da sempre! :-)

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    1. Maschiaccio è davvero carino (secondo me apprezzerai anche il finale)! ;)

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  5. Ma io sono stata l'unica bambina che non si è mai accorta che le gonne, le trecce etc. fossero socialmente obbligatorie?! O che usava le barbie per giocare agli indiani vs cowboys (in forme di organizzazione lesbo-matriarcali peraltro perché ken non me regalavano)? Ho smesso con gonne e vestiti tra i 6 e i 23 anni e nessuno ha mai battuto ciglio. Semmai ricordo che i miei genitori hanno tentato di impormi il denim da piccola (erano gli anni '90 e in difesa loro il cotone si strappava in una settimana). Mia madre ha anche tentato di impormi i pantaloni di velluto a coste e giacche di panno per tutte le elementari, ma ha gusti estetici improponibili. Si litigava solo quando mia zia mi regalava costosissimi completi da reale inglese e almeno una volta dovevo metterli (sigh), e per i matrimoni (orrore). A scuola è anche possibile che fossi così alienata da non accorgermi delle critiche, ma io ricordo solo che i maschi non mi volevano per giocare con loro perché le femmine no. Tranne le due eccezioni menzionate non ho mai fatto battaglie per poter non essere femminile, tanto che il problema me lo sono posto dopo i 20 anni e ancora non ho definito bene la questione. Leggerò maschiaccio comunque.

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    1. devo dire che anche io, fortunatamente, ho scansato tanti tipici traumi adolescenziali, altri invece li ho presi in pieno. Credo che dipenda semplicemente di quanta fortuna abbiamo, del contesto sociale, delle persone che abbiamo la ventura o la sventura di incontrare. Se avessi incontrato il tipico personaggio che ti additava come la sfigata o la pazza o peggio ancora della classe o del gruppo, probabilmente volente o nolente avresti avuto vita difficile. Per fortuna le persone senzienti esistono, sono molte e possono permetterci di vivere una tranquilla e paciosa vita adolescenziale con la loro sola tranquilla e paciosa presenza.

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