lunedì 27 febbraio 2017

La grande noia. "Danse macabre" di Stephen King, un saggio sull'influenza dell'horror nella cultura pop di rara, sterminata noia. Tanti elenchi, poca ciccia e nessun'idea.

  Nel mio paese c'è un grosso castello.

 Non un castello grazioso e discreto, ma proprio un castello enorme con tanto di merlature tipiche delle illustrazioni dei libri per ragazzi su dame e cavalieri, edera rampicante e anche principessa annessa.
  Come se non bastasse a rendere tutto abbastanza fiabesco, c'è un lago a fare da sfondo e, dulcis in fundo, boschi a contornare il tutto.

 Insomma, in autunno e inverno o nelle mattine e serate molto umide, quando si alza una nebbia densa (non lattea come quella nordica e fortunatamente neanche così persistente perché scompare appena inizia a fare un pochino più caldo), coi corvi che svolacchiano e le istrici che tentano di indurre incidenti a catena sulla strada del lago, sembra proprio il set di un film horror.

 Dalla mia vecchia e sempre rimpianta casa, la sera potevo affacciarmi e vedere il castello lasciando andare i miei pensieri e immaginavo trame improbabili che solitamente però non mettevo nero su bianco.

 Almeno finché un anno non concepii e portai anche ad uno stato abbastanza avanzato una trama che solo successivamente avrei scoperto potesse effettivamente avere delle potenzialità come soggetto di Fulci.

 Nella mia storia un gruppo di giovani scout adolescenti con millemila intrallazzi tra loro, veniva ospitato per un fine settimana in un monastero dove malvagi frati e suore li avrebbero uccisi in modo seriale nei modi e per i motivi più disparati.

Ho visto "La casa dalle finestre che ridono"
 solo un paio di anni fa
 Come avessi potuto concepire un tale efferato mix di trash e horror, visto che neanche leggevo libri a tema, è un mistero glorioso sul quale ancora mi interrogo.

 In ogni caso  ricordo chiaramente che battezzai quel mio tentativo con un terrificante titolo: "Orallo", fusione che ritenevo davvero geniale tra "Horror" e "Giallo".

 Non lo terminai mai e siccome scrivevo a mano su quadernoni A4 non so neanche bene che fine abbia fatto.

 Questa lunga intro è per parlarvi di "Danse Macabre" di Stephen King, un saggio che, per tutta una serie di motivi, prometteva benissimo. 


Uno dei più famosi scrittori horror di tutti i tempi, ormai una ventina di anni fa, aveva scritto un saggio in cui parlava dell'influsso del tema horror nella cultura pop. 


 Quello che mi aspettavo, era una sorta di saggio in stile "On writing".

 Nel saggio sul mestiere di scrivere, di certo più maneggevole essendo dichiaratemente più personale, King raccontava di come fossero nati in lui l'universo delle sue storie e la metodologia con la quale portava avanti le sue storie.

 C'era quindi il grande affresco del Maine, luogo d'origine dello scrittore, torbido e nostalgico, così bello eppure così inquietante.

 Piccole vite che nascondono grandi orrori, dinamiche ipocrite che esplodono in un delirio di sangue e altre amenità. C'erano molti ricordi e una genuina esperienza personale che aveva però qualcosa di universale.

 Un tema quello dell'orrore nascosto nella normalità, molto forte: i paesaggi sono diversi, ma l'orrore della provincia è comune a tutto il mondo.

Quello che mi aspettavo insomma, era che King ci raccontasse di come avesse imparato a identificare i grandi temi horror della cultura pop a partire dai suoi ricordi e dal suo quotidiano (anche perché cercare di imbrigliare una materia così complessa in un solo saggio era faccenda difficile anche per un professore universitario consumato).

 Invece King, secondo me abbastanza inspiegabilmente, si avventura da parti a lui, spiace dirlo, non congeniali. In parole povere tenta il grande saggio con parole divulgative, ma si vede chiarissimamente che non è all'altezza.

"Danse Macabre" è, alla fine dei conti, un saggio estremamente superficiale ed estremamente empirico: io penso questo, io ricordo questo, a me sembra quest'altro, senza nessuna solidità a sostenere l'intero saggio.

 Non è che per forza i saggi di critica letteraria debbano essere pallose e continue citazioni di ricerche precedenti o rimandi storici, e infatti molti non lo sono. Tuttavia, non si può neanche costruire un saggio su un argomento enorme come il genere horror senza portare, anche in modo blando, anche in modo divulgativo, un sostegno filologico al riguardo.

 King si limita a riconoscere quattro archetipi da cui avrebbe avuto origine l'intero genere: dottor Jekyll e mr Hyde (ossia la parte oscura e selvaggia del singolo che prende possesso dell'uomo civilizzato e razionale), Frankenstein (ossia la hybris umana, la volontà dell'uomo di andare oltre i propri limiti e accostarsi al divino finendo solo per impazzire e creare aberrazioni), il vampiro (il dionisiaco nascosto nell'oscurità da cui siamo spaventati e al contempo sedotti) e il fantasma (la paura della morte e di ciò che nasconde).

Non a caso uno dei pochi libri che mi è venuta
voglia di leggere è "L'invasione degli ultracorpi"
che King ritiene basi tutto il terrore e la tensione
di fondo su un'allegoria della nevrosi maccartisya
 Su questa brevissima teoria iniziale, su cui non cita nessuna fonte, continua a insistere nel suo lunghissimo excursus privo di un reale senso logico.

 I capitoli infatti affrontano semplicemente lunghi e interminabili elenchi di libri e film dei quali King ha vaghi ricordi, spesso neanche pertinenti.

Gli unici capitoli che portano un qualche senso di curiosità sono quello sui radiodrammi (forse il più interessante in assoluto) e quello sugli sceneggiati tv.

 Il motivo è presto detto, King riesce a isolare, anche tramite, in questi casi, ricordi personali particolareggiati e calzanti, la grande fonte di angoscia che influenzò un'intera generazione americana: il maccartismo.

 Il costante terrore delle infiltrazioni comuniste, la caccia alle streghe (peraltro curiosamente simili al periodo storico in cui stiamo vivendo, nel quale il terrore delle infiltrazioni terroristiche regna sovrano) e il clima di sospetto generale che porta a vedere in chiunque altro un nemico, un estraneo, un alieno.

Per il resto è terra bruciata.

 Il capitolo sui film prende principalmente in esami il fattore del fascino dei trash in molti film horror di serie b e c (e qui ci sarebbe tranquillamente stata una disamina sul camp o sulla sublimazione del brutto, ma ovviamente King se ne guarda bene raccontandoci solo di come si sganasciasse dalle risate), mentre quello sui libri mostra chiaramente la sua incapacità nel maneggiare un argomento del genere.

 Non solo è un capitolo breve, ma è completamente sconclusionato: cita pochi libri, vagamente, quasi a caso, facendo di continuo riferimento ai suoi, senza un reale senso logico o una volontà di costruire un quadro coerente.

Alla fine della fiera sembrava uno di quei classici film che durano tre ore, sembra che non finiscano mai, ficcano dentro la qualunque e comunque non ti lasciano niente.

Cosa ho visto? Cosa ho letto? Perchè?

 King qui purtroppo fa quello in cui nessuno scrittore dovrebbe mai inciampare: fa perdere un sacco di tempo utile ai suoi lettori. E non va proprio bene. Mi spiace.

 Perciò, a meno che non siate dei grandissimi fan di King o del genere horror, il mio consiglio è: anche no.

Voi che ne pensate? Qualcuno lo ha letto? Ho toppato alla grandissima ed è tipo il più grande dei capolavori di King?

9 commenti:

  1. Diversi (troppi) anni fa lessi l'edizione italiana ridotta e ne conservo un buon ricordo. Dopo un altro bel po' di anni (sempre troppo lontani dall'oggi) riuscii a leggere l'edizione originale completa in inglese e non vi trovai nulla di quel che ricordavo mi fosse piaciuto nell'edizione ridotta italiana.
    Non ho approfondito ulteriormente, probabilmente il primo libro era un articolo lungo con lo stesso titolo del saggio? Forse il traduttore aveva fantasticato troppo? O fui io a confondere due libri di due autori diversi?
    Bah!
    Comunque confermo la delusione nel leggere il saggio kinghiano integrale.

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  2. Possiedo un'edizione Theoria di inizio anni '90 di questo libro. Non so se sia integrale o meno, ma posso dire di avere adorato leggerla! Infatti l'ho pure riletta successivamente, ricavandone un sacco di spunti di lettura/visione per approfondire la mia conoscenza del genere horror (che, anche se mi piace, non è certo il mio genere d'elezione; né peraltro io mi considero una fan sfegatata di Stephen King, benché in certi periodi della vita io abbia letto diversi suoi romanzi).
    Non so, leggendo il tuo post la mia impressione era che stessi parlando di un libro completamente diverso dal mio. O forse ai tempi io mi entusiasmai tanto perché, aldilà della tesi saggistica esposta (di cui mi fregava il giusto), adoro quando uno scrittore parla delle letture/visioni che gli piacciono e delle sue esperienze con libri/film/tv, ecc.
    Insomma, io di "Danse Macabre" ho un ottimo ricordo, ma non so se abbiamo letto la stessa cosa ^^;

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    1. P.S.: Buttando un occhio all'OPAC, in effetti l'edizione Theoria del 1985 era molto ridotta (meno di 170 pagine), ma la mia, del 1992, già consta di quasi 450 pagine, e non dovrebbe essere molto diversa dalla Frassinelli editata anno scorso, che di pagine ne ha poco più di 500. Boh ^^;
      A me comunque ciò che ho letto piacque molto. Dopodiché, de gustibus ecc. ;)

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    2. In realtà anche io mi aspettavo un'esposizione di quello che gli piaceva o meno, ma la parte sui libri è davvero miserella, mentre quella sui film è un continuo dire che si sganasciava davanti ai film di serie B-C-Z. Mi ha un po' deluso, poi sì, de gustibus :)

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    3. Mah, guarda, forse a me è piaciuto molto anche per il tono usato da King nell'esposizione. Niente sicumera da "io sono il Re", almeno per come l'ho percepito io, ma piuttosto un atteggiamento che potrebbe avere un qualsiasi nerd seduto a bere birra con degli amici e a straparlare di... cose. Sono dettagli che apprezzo. E apprezzo ancora di più dopo aver letto "libri sui libri" scritti con tale supponenza da farti venire voglia di cacciare le dita negli occhi all'autore per dispetto (qualcuno ... *coff coff* ... ha detto ... *coff* Nick Hornby? :P)

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    4. Di Hornby ho letto un solo libro e non mi ha entusiasmato. Alcuni lo amano alla follia, altri lo trovano sopravvalutatissimo. Io penso di aver di meglio da leggere.

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    5. Mi riferivo in particolare ai libri di Hornby non di narrativa, ma proprio dedicati a parlare/recensire/perculare altri libri. Ne ho letti un paio e, secondo me, ne emerge un'immagine di Hornby non esattamente maestro di simpatia...
      Per il resto, ho letto un paio di suoi romanzi e riconosco che sia tanto tanto bravino a scrivere, ma imho è uno che si diverte a fare la panna, nel senso che monta-monta-monta un sacco di situazioni e temi anche importanti, ma alla fine la panna smonta e lui risolve tutto in maniera assai banale e con riflessioni degne giusto di un Bacio Perugina (o magari ho solo avuto sfi*a io nel leggere quelle due storie lì, chissà...)
      Curiosamente, il non saper affrontare i finali delle sue storie è un difetto che, nella mia testa, lo accomuna proprio a Stephen King. Con tutto che "il Re" è, appunto, più simpatico ;P

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  3. Io di King ho letto praticamente tutto, sono indietro di cinque o sei volumi ma gli altri cinquanta e passa li ho, ho tutte le sue raccolte di racconti... e pure i fumetti de La Torre Nera!
    Ma non leggerò mai i suoi saggi. Non mi interessano. Di lui non voglio sapere cosa gli piace, cosa ne pensa di X, quante ore scrive, cosa mangia.
    Mi piace immaginarlo finché scrive, questo sì; mi piace leggere le piccole introduzioni ai racconti in cui spiega come è arrivato all'idea, questo anche. Ma lì mi fermo.

    Secondo questa recensione non mi perdo nemmeno granché :D

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    1. "On writing" mi era piaciuto molto però, ma c'è da dire che si trattava di una sorta di autobiografia e io amo molto il genere.

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