sabato 25 luglio 2020

Quando scappi devi correre il più lontano possibile. "La ferrovia sotterranea" di Colson Whitehead, per metà sfolgorante e per metà "corri!".

 Quando ci si decide a leggere una di quelle storie ambientate negli Stati Uniti durante il periodo dello schiavismo, bisogna prepararsi psicologicamente.

 Un po’ come quando ci si avventura nelle storie ambientate durante il nazismo. Sai che stai andando a toccare gli abissi della malvagità e della bassezza umane e che la fiducia in una tendenza fondamentalmente buona e civile dell’umanità sta per subire l’ennesimo duro colpo.

 Eppure sono spesso storie di una bellezza incredibile, probabilmente per dar ragione ad un vecchio adagio di Orson Welles: Sai che cosa diceva quel tale? In Italia sotto i Borgia, per trent'anni, hanno avuto assassinii, guerre, terrore e massacri, ma hanno prodotto Michelangelo, Leonardo da Vinci e il Rinascimento. In Svizzera hanno avuto amore fraterno, cinquecento anni di pace e democrazia, e che cos'hanno prodotto? Gli orologi a cucù.”

 Premettendo che io preferirei gli orologi a cucù, “La ferrovia sotterranea” si aggiunge ai tanti bei libri southern, come l’intera bibliografia di Fannie Flagg (primo su tutti “Pomodori verdi fritti alla fermata di Whistel Shop”, immotivatamente tenuto spesso nella narrativa rosa), “Amatissima” di Tony Morrison, “Il cuore è un cacciatore solitaraio” di Curson McCullers o il bel “La vita segreta delle api”, solo per citarne alcuni.

 La protagonista de “La ferrovia sotterranea” è la giovane Cora
 Siamo nella prima metà dell’800 e vive in Georgia, uno degli stati più duri nei confronti delle persone di colore. C’è ancora lo schiavismo ovviamente, si intravede la forte contrapposizione che porterà alla guerra civile americana e gli schiavi non sono neanche considerati persone, ma semplici proprietà del latifondista di turno che decide tutto: se farli vivere o morire, con chi farli sposare, a chi vendere i loro figli.

 Le condizioni di vita variano molto da piantagione a piantagione, anche se sono generalmente pessime. I bianchi hanno il terrore di una qualche rivolta degli schiavi di colore, ormai, in alcuni stati del sud, maggioranza rispetto a loro.

 Eppure gli schiavi non si organizzano (anche perché non è difficile immaginare anche l'ora l'esito di un'eventuale rivolta da parte di un gruppo non armato e difficilmente coeso). Cercano in ogni modo di sopravvivere e di trarre delle piccole gioie da una vita fondamentalmente infernale e molto breve. 

 Ogni tanto qualcuno sogna di scappare negli stati del nord, dove le persone di colore sono trattate in modo non egualitario, ma più civile. Ogni tanto qualcuno ci prova, quasi nessuno ci riesce e chi viene catturato, assieme a chiunque lo abbia aiutato (bianco o di colore che sia) vengono puniti atrocemente.

 La madre di Cora è tra i pochissimi che siano mai riusciti a scappare e che, soprattutto, non siano mai stati riacciuffati da nessun cacciatore di taglie. Forse, qualcuno ipotizza, è arrivata fino in Canada che curiosamente è uno stato che gli statunitensi sembrano sempre disprezzare vagamente eppure, risulta, si comporta spesso ben più civilmente di loro.

 Un giorno un ragazzo della piantagione propone a Cora di fuggire e lei accetta. Inizia da lì un’avventura che all’inizio è sfolgorante poi, per ragioni che sarebbe interessante sapere da Colson Whitehead, ad un certo punto sembra arenarsi.

 Cora infatti scappa attraverso una mitologica ferrovia sotterranea. Una ferrovia segreta completamente interrata dove passano ogni tot treni pronti a portare gli schiavi fuggiaschi verso gli stati del nord.

 Sembra che esistesse effettivamente un sistema di itinerari segreti per favorire la fuga degli schiavi grazie a persone di buona volontà, sia di colore che bianche, ma i documenti al riguardo sono ovviamente pochissimi. Come si legge anche nel libro di Whitehead, chiunque venisse anche solo sospettato di aiutare i fuggitivi rischiava dalla tortura alla morte passando alla distruzione di tutti i propri beni.

 Se la prima parte del libro è davvero sfolgorante, dopo si arena leggermente, soprattutto perché non è chiarissimo come mai Cora commetta nella seconda parte lo stesso identico errore della prima: invece di capire che una fuga è una fuga che rischia di non finire mai e proprio per questo è sempre meglio andare il più lontano possibile, si ferma a oltranza nei luoghi in cui finalmente sente un anelito di libertà, salvo poi essere brutalmente riportata alla realtà.

 Ci può anche stare eh, che, nati e vissuti in condizione di schiavitù il passaggio all’idea che la vita possa essere davvero libera e non una sorta di versione migliore del passato, sia qualcosa difficile da elaborare, ma Cora non sembra mai riflettere davvero su questo suo personale stato di sudditanza psicologica.

 Sembra avere una sorta di risveglio durante la prima parte, quando realizza che in Carolina del sud sì, le persone di colore vengono trattate meglio, ma per essere sottomesse in altri modi, più sottili, ma poi non sembra far tesoro di questa sua condizione.

 Intendiamoci è un gran libro, ma ha pur sempre vinto il Pulitzer quindi credo fosse lecito aspettarsi una tensione narrativa e un finale all’altezza.

 Invece sembra quasi che Whitehead abbia deciso di voler insistere sulla sola brutalità dell’oppressione, che va anche bene, ma stona un po’ nel ritmo narrativo della storia che, proprio come il titolo, sembra un treno lanciato nel buio della notte, ansioso di vedere se non la luce accecante in fondo al tunnel, almeno la fine del tunnel.

 Invece sembra arenarsi su un binario morto e non per sfortuna, ma per lo stesso identico errore che la protagonista compie, sensatamente la prima volta, insensatamente la seconda.

 Bisogna sempre scappare il più lontano, il più lontano possibile e non fermarsi mai a guardare indietro, altrimenti si rischia di rimanere statue di sale, come la storia biblica.

Ed è quello che succede al finale di questo libro. Invece di spingere sull'acceleratore e arrivare alla fine, bella o brutta che fosse, ha preferito rimanere immobile.

In ogni caso, un bel libro, assolutamente da leggere e sono molto curiosa di leggere "I ragazzi della Nickel".

1 commento:

  1. Grazie della recensione!Avevo sentito parlare di questo libro e ne ero già molto incuriosita. Ho scoperto le vicende legate alla "ferrovia sotterranea", alla fuga degli schiavi e alla rete di persone disposte ad aiutarli dal libro L'ultima fuggitiva di Tracy Chevalieri: se non lo conosci te lo consiglio!

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