In certi momenti mi
sembra di essere nata in tempi particolarmente tetri.
Siamo
sospesi in questa strana epoca in cui una buona parte di quelli che
ci governano sono degli ignoranti e contemporaneamente rischiamo il
linciaggio su fb se non abbiamo dissertato in modo filosoficamente
abbastanza elevato. L'altro giorno ho scritto su fb un fuggevole
commento sul fascismo di mezza riga e sono stata assalita: quello era
tutto ciò che sapevo sul fascismo? Certo che no, ma che senso
ha mettermi a scrivere un trattato su un social network discutendo
con gente che manco conosco e mai conoscerò? E come
controbattere a gente che scrive quanto sia giusto bruciare un libro
perché il giornalista che lo ha scritto ha “tradito”?
Perché ho sempre di più la penosa sensazione che
stiamo scivolando nel caos più completo?
Per trovare tracce di
interpretazione dei nostri tempi folli oltre all'inquietante realtà,
cerco di affidarmi ai libri ed è per questo che oggi propongo
questi due piccoli libri adatti a piccoli tragitti: “La quarta
Italia” di Joseph Roth ed. Castelvecchi, e “Noi sognavamo un
mondo diverso” ed. Imprimatur di Germano Nicolini.
Il primo è
composto da una serie di articoli che lo scrittore tedesco scrisse
alla fine degli anni '20 per il giornale "Frankfurter Zeitung" Frutto di un reportage
nell'Italia fascista, Roth, che viaggiando aveva visto già
vari mirabili esempi di dittatura, strabilia ironico e perplesso
davanti alla pericolosa idiozia di quella italiana. Sin dal suo
arrivo in stazione, costellato da giovani fascisti vestiti di
tutto punto, fieri e visibilissimi nelle loro uniformi perfette e
quasi cinematografiche, spie in borghese comprese (in Russia il
regime vegliava oppressivo, ma nell'ombra) Roth ravvisa
l'infantilismo di un popolo.
“Queste spie sembrano provare un piacere ingenuo per la loro vistosità. Il loro metodo non è sorveglianza, ma intimidazione. Si stenta a credere che così tante persone in Italia si lascino ingannare dai provocatori che con tutta la loro pericolosità mi appaiono infantili.”
Lo straniamento è
tale che Roth fatica eppure deve trovare una congruenza tra quello
che sembra un set del cinema eppure è la realtà.
“Non avevo l'impressione di essere accolto dal romanticismo trasparente di un film poliziesco bensì da una pericolosa dura inesorabilità. Mi rifiuto di pensare che queste pistolette possano sparare. Eppure possono sparare.”
Ciò che continua
a colpirlo nei giorni seguenti è l'indottrinamento delle
giovani generazioni, convinte senza alcun dubbio dei meriti e degli
ideali della causa fascista, ragazzi altezzosi che si gridano saluti
fascisti per strada, piccoli balilla ammaestrati come uccellini. Il
duce è ovunque, visibile e pressante, nelle librerie, per le
strade, sui giornali. Ed è alla censura giornalistica che
Roth dedica l'articolo più interessante. Lo scrittore
riteneva infatti che Mussolini avesse imposto pesanti sanzioni agli
editori ancor prima che ai giornalisti e una censura estrema perché
la stampa libera era di sincero ostacolo alla manipolazione
nazionale.
“Coloro che con Mussolini sono dell'opinione che in realtà oggigiorno non esista una stampa veramente “libera”, che tutti o la maggior parte dei giornali dei paesi democratici appartengono a gruppi d'interesse economico e non sono dunque in grado di rappresentare incorrottamente il bene dell'opinione pubblica nazionale. Tutti coloro che con Mussolini sono dell'opinione che con l'odierna dipendenza dei giornali controllati dal capitale, solo i giornalisti controllati dalle autorità e le penne condannate a non esercitare alcuna critica, sono chiamati a rappresentare l'opinione pubblica, tutti loro dovrebbero solamente pensare a quei giorni in cui a quella disprezzata stampa “non libera” “legata al capitale” era quasi riuscito di scatenare una vera tempesta popolare contro Mussolini. In confronto alla quale la famosa “marcia su Roma” sarebbe rimasta un gioco da soldatini di piombo. Tanta ribellione un giornale è pur sempre ancora in grado di provocarla.”
Il libro è
piccolino, ma illuminante. Non solo storicamente il punto di vista
del viaggiatore straniero è stato incredibilmente efficace
nell'isolare le falle nei sistemi altrui, ma in questo caso è
un vero, lungimirante, ironico eppur adeguatamente lucido, genio che
ci ha fatto l'onore di affrescare un accecamento nazionale.
Il secondo piccolo
libro, si collega spiritualmente al primo. E' l'intervista a Germano
Nicolini, il celebre comandante Diavolo della resistenza,
appartenente alla
generazione di giovani successiva a quella raccontata da Roth, quella
finita dritta nel carnaio della II guerra mondiale e ne uscì
adeguatamente temprata. Se personalmente mi metto a pensare a qualche
modello di vita che ci aiuti a ritrovare una retta via in questo
delirio, non riesco a trovare nessuno di più plausibile di
quella generazione lì che fu ormai dei nostri nonni e
bisnonni.
Ciò che
colpisce di questa intervista non sono tanto le avventure partigiane
(che comunque vengono raccontate per credo volontà
dell'intervistatore, il giornalista Massimo Storchi solo in minima parte), ma
il dopoguerra. Emergono i tratti validi, valorosi e fermi di un
mondo che disgraziatamente non esiste più. Non una mitica età
dell'oro, ma un posto dove il senso del dovere e l'umanità non
erano solo isolati atti eroici.
Il comandante partigiano
Diavolo, al secolo Germano Nicolini, infatti, nel dopoguerra venne
accusato dell'uccisione di un prete durante l'attività
partigiana. Nonostante si sapesse chi fossero i veri responsabili
venne incarcerato per dieci anni. Il partito gli propose due volte
una fuga sicura nell'est, ma lui rifiutò e in carcere studiò
alacremente economia. Una volta uscito iniziò a lavorare in
una cooperativa,
“Iniziai dall'apprendistato perché non avevo esperienza, ma me la sono cavata piuttosto bene fino ad arrivare al direttore di CopItalia, ma ho sempre mantenuto il mio attaccamento all'ideale cooperativo: la partecipazione aziendale era fondamentale, bisognava inserire nel processo decisionale il parere dei dipendenti. Quando ci fu da rivedere il contratto nazionale mi alzavo all'alba per fare i lavori più umili della filiera, andavo nei magazzini di ortofrutta a vedere come si lavorava. Ero nella commissione nazionale che trattava il nuovo accordo, dovevo sapere di cosa stavo parlando. La cosa ovviamente non piaceva. Chiedevamo “Ma chi te lo fa fare?”. Ma dovevo farlo. Il ruolo di chi lavorava era per me fondamentale. Io facevo così e credo fosse giusto, ma erano altri tempi.”
Tempi che, per quel che
ho visto, lavorativamente io ormai sono praticamente fantascienza, ma
forse perché era il classico momento di cambiamento e
rivolgimento totale dopo una grande devastazione. Con foga Nicolini
dice che:
“Un sogno ce l'avevamo! Cioè il sogno di un miglioramento della vita [...]Si chiedeva il miglioramento della vita, perché la mia libertà è tale nel momento in cui porta con sé la libertà degli altri. Io non mi posso sentire libero se gli altri non sono nella mia stessa condizione, pur con delle differenze. La meritocrazia è necessaria certo: serve qualcosa che spinga al miglioramento, per poter far bene, per andare oltre all'incentivo economico, una soddisfazione morale.”
E cosa vede nel
presente un simile uomo del secolo?
Avevo già citato la lettera di Ulivi nella sua versione integrale nel post sui libri che più mi avevano fatto piangere. |
“Oggi questa nostra democrazia, tutt'ora zoppa e incompiuta sta vivendo un vuoto di potere politico molto rischioso, come dimostrano segni intollerabili di nostalgia del fascismo. E' politicamente delittuoso far finta di non vedere [...] Nei miei tanti incontri coi ragazzi delle scuole non tralascio mai di ricordare il monito di un giovane martire della resistenza modenese, Giacomo Ulivi, studente diciannovenne fucilato dai fascisti nel novembre del 1944. Prima dell'esecuzione, nella sua lettera agli amici, scrive: “No, non dite di essere scoraggiati, di non volerne più sapere. Pensate che tutto ciò è successo perché non ne avete più voluto sapere.” Esortazione a coloro che ancora oggi non ne vogliono più sapere e, sfiduciati, si ritraggono dalla lotta per quel mondo diverso che noi resistenti sognavamo.”
Dopo aver letto
questo secondo piccolo libro penso di aver trovato una risposta, per
quanto triste, al mio dilemma sulla follia dei nostri tempi. Non
c'è direzione né logica perché non esiste più
nulla di collettivo per cui sognare. Non interessa a troppi che
l'altro sia libero, che tutti siano nella stessa condizione, che
tutti migliorino la propria vita. Si vuole solo scavare scavare
scavare alla ricerca di qualcosa per sé, della colpa, dello
scaricamento di responsabilità per poter gridare “La colpa è
tua, il resto è mio. Ridammi i miei soldi, il potere che mi
hai tolto, il tesoro che hai rubato.”
La domanda è: per
farci cosa? Per costruire cosa? Per ottenere cosa?
Nicolini e gli altri
sognavano un mondo diverso, io
per ora rivedo solo apparire le metaforiche, ridicole, poliziesche,
infantili pistolette che facevano tanto sorridere eppur
terrorizzavano Roth.
E' un tema che in questi giorni credo stia travolgendo tutti... direi che cade a fagiolo questo post di Wu Ming:
RispondiEliminahttp://www.wumingfoundation.com/giap/?p=15987
Grazie per i suggerimenti, ora più che mai mi pare utile rinfrescare la memoria.
Io sto leggendo questo:
http://corrierefiorentino.corriere.it/firenze/notizie/arte_e_cultura/2012/9-marzo-2012/ribelli-partigiani-che-raccontano-2003620467474.shtml
LaPi scusa se rispondo solo ora! Il libro che suggerisci non lo conosco, lo cercherò! Nel frattanto ti consiglio "La resistenza taciuta" e per il 25 Aprile un post sulle partigiane donne non ce lo toglie nessuno!
EliminaTi seguo da diverso tempo ed è la prima volta che commento: ti ringrazio per i due suggerimenti, che trattano un aspetto di un periodo storico quale la II Guerra Mondiale che a me interessa molto. Ho già diversi libri, ma questi non li conoscevo. Ho rimediato subito, in quanto ho già comprato quello di Nicolini. Lo trovo interessante e decisamente attuale.
RispondiEliminaSono contenta ti sia piaciuto! Oltretutto i libri come quelli di Nicolini sono secondo me molto interessanti per controbattere a tono ai grande revisionisti dei giorni nostri.
EliminaCiao! Insieme al libro di Nicolini, ho comprato "Senza tregua" di Giovanni Pesce, ed. Feltrinelli sullo stesso argomento, libro più corposo rispetto al libro ma sempre autobiografico.
EliminaE in libreria sta attendendo di essere riletto "Le donne nel regime fascista" di De Grazia Victoria ed. Marsilio, che a suo tempo usai per la tesi di laurea.