In questo mese del pride vorrei produrre all'incirca millemila post, ma il tempo tiranno non me lo concede.
Ne ho messi però in cantiere svariati e cercherò di postare in giro sui social tutti i suggerimenti random che riuscirò (cercando di fare anche qualche fumettino).
Intanto che li termino (ne ho iniziati almeno 5 probabilmente usciranno poi a raffica tutti insieme), godetevi questo piccole recensioni tra amici queer almeno per un terzo.
Big bottino perché tutti e tre i libri meritano davvero!
Let's go!
Let's go!
IL MIO ANNO DI RIPOSO E OBLIO di Ottessa Moshfegh ed. Feltrinelli:
Si può scrivere un intero libro su qualcuno che dorme e indefessamente vuole solo dormire? Sì.
Ci aveva già provato in verità Banana Yoshimoto in "Sonno profondo", ma in quel caso era un racconto lungo che raccontava di una sorta di esaurimento che non lasciava le forze se non per dormire.
Ne "Il mio anno di riposo e oblio" di Ottessa Moshfegh invece, la bellissima e abbastanza viziata protagonista senza nome, decide che la sua vita, dopo la morte di entrambi i genitori in un breve lasso di tempo, è in stallo.
E' bella, ricca, vive a Manhattan, lavora per una pretenziosa galleria d'arte, eppure ha una sola amica (che peraltro mal sopporta), un ex che torna a più riprese solo per umiliarla, e non capisce se i suoi genitori appena defunti l'abbiano mai davvero amata.
Decide così di voler diventare una persona nuova e invece di partire in un viaggio per mezzo mondo in stile Mangia, prega, ama, decide di usare un solo verbo: dormire.
Si convince che se dormirà per un anno intero, al suo risveglio, sarà una persona nuova.
Si procura così una psichiatra compiacente (o forse più che altro una vera pazza) che la riempie di medicine adatte allo scopo senza fare troppe domande (quelle che fa peraltro le dimentica) e inizia la sua avventura.
La storia procede raccontando il suo tentativo di dormire e tutto ciò che accade ad impedirglielo, meglio conosciuto come "la sua vita che, per quanto scarna, non scompare neanche se lei decide di farlo".
Incredibilmente la trama è tutta qui, eppure la Moshfegh riesce, grazie a una scrittura scorrevolissima e una forte dose di black humor, a tenerla in piedi senza annoiare, fino a un finale che lascia un po' perplessi, ma che non posso svelarvi OVVIAMENTE.
Molto consigliato.
Di seta e di sangue di Qiu Xiaolong ed. Marsilio:
Amo moltissimo Qiu Xiaolong, giallista cinese (che non vive in Cina) in grado di costruire pregevoli trame investigative coinvolgenti e mai artificiose.
Il protagonista è l'ispettore Chen, curioso esempio di dissidente integrato nel sistema, troppo intelligente per farsene fagocitare, ma anche per opporvisi apertamente e strenuamente
Sospeso tra le sue indubbie e brillanti capacità investigative e la volontà di dedicarsi allo studio della letteratura cinese, Chen porta avanti le sue indagini senza forzature o misteriose intuizioni , il tutto mangiando spesso cose che per i nostri stomaci occidentali sono davvero strong (se siete animalisti fatevi molto coraggio).
La cosa più interessante dei suoi gialli è l'ambientazione: la Cina, un mondo distopico eppure realmente esistente, in cui un presente capitalista e un passato comunista si saldano in un modo che ha dell'inquietante e dell'orwelliano.
Inoltre, per noi stolti occidentali che studiamo poco e male la storia dell'Oriente, è davvero una fonte di informazioni e un ripasso storico di quello che fu il periodo maoista visto che, solitamente, tutti i crimini su cui indaga affondano le proprie radici nel passato.
In "Di seta e di sangue" un misterioso serial killer uccide giovani ragazze del mondo dell'intrattenimento dopo averle denudate e aver infilato loro un qipao rosso (il tipico abito cinese che in realtà in questo libro si scopre essere tipico solo di una minoranza etnica).
Il qipao per intenderci |
Perché le uccide? Perché fa indossare loro proprio un qipao?
Le storie con i serial killer sono sempre ad altissimo tasso di rischio. Di solito finiscono in un casino assurdo o in un bicchier d'acqua, questa invece mantiene la sua promessa fino alla fine.
Pecca forse un po' di schematismo nella parte psicologica, ma che bellezza leggere finalmente un giallo che è un giallo e non qualcosa che procede per caso, intuizione, sesto senso e altri deus ex machina vari ed eventuali.
I gialli dell'ispettore Chen sono tutti slegati gli uni dagli altri, anche lui ha una vita privata, ma non intensa come Ricciardi, un po' più, per intenderci, alla Montalbano.
Succede qualcosa, ma quasi mai niente di così sconvolgente da precludere al lettore la possibilità di leggere i gialli nell'ordine che preferisce.
Succede qualcosa, ma quasi mai niente di così sconvolgente da precludere al lettore la possibilità di leggere i gialli nell'ordine che preferisce.
Davvero bello, straconsigliato.
IL PRINCIPE E LA SARTA di Jen Wang ed. Bao Publishing:
Molti avranno visto aggiungere all'ormai conosciuto acronimo Lgbt anche una q finale domandandosi cosa caspita potesse mai essere.
Qualcuno avrà ricevuto una risposta senza eccessive spiegazioni: Queer, la classica parola straniera che uno si trova in giro senza che nessuno si prenda mai la briga di dire cosa sia perché tanto devi saperlo (tipo il Bureau sulle navi che per anni ho finto di comprendere prima di consultare un dizionario).
Al contrario del Bureau però, la parola Queer è effettivamente intraducibile, esattamente come un altro mysterioso termine ombrello "Camp" (che magari sarebbe meno misterioso se qualcuno ripubblicasse il libro della Sontag "Note sul camp").
Letteralmente dovrebbe significare "eccentrico-stravagante" e viene solitamente usato all'interno della comunità Lgbt per indicare qualsiasi variabile esistente nel mondo Lgbt sia in termini di orientamento sessuale che di identità di genere, ma non solo.
In verità il termine queer, come dimostra la bellissima graphic novel di Jen Wang, "Il principe e la sarta", è così inafferrabile da poter raccogliere al suo interno anche quegli etero che non si riconoscono in pieno nell'omologazione loro imposta dagli stereotipi culturali.
Nella storia, ambientata in una sorta di Belle epoque molto fantasiosa, la sartina Frances ha aspirazioni da stilista e disegna modelli innovativi e sensazionali sognando prima o poi di disegnare splendidi vestiti per i nascenti grandi magazzini e per il balletto.
Un giorno un suo vestito viene notato da una persona molto speciale che la assume in gran segreto per produrre meravigliosi vestiti, il più innovativi possibili: gonne piene di farfalle, svolazzanti abiti agrumati, stoffe colme di fiori.
Il committente però non è una bella principessa, ma un principe, che si sente libero solo quando si infila splendidi abiti da sera e lunghe parrucche che può pettinare.
La sartina non fa tante domande, per lei l'importante è poter dare sfogo alla sua arte e il principe finalmente vive di notte una vita di libertà, malgrado di giorni i genitori insistano perché trpvi moglie.
E qui arriva la variabile interessante.
Il principe e la sartina si innamorano. Il motivo per cui al giovane principe piace vestire lunghi abiti sta semplicemente nel fatto che gli piacciono, è, quel che si dice, un crossdresser.
Non si sente una donna, finge di esserlo solo perché è l'unico modo per indossare gli abiti favolosi che adora. Ecco, questo è molto queer anche se i protagonisti sono etero.
La fissazione sul significato culturale, in questo caso sessuato, dei vestiti è una vecchia ossessione del genere umano.
Sembra molto importante distribuire subito le preferenze in tale ambito: alle donne piacciono le gonne agli uomini no (ma se sono scozzesi o di qualche cultura a noi ignota sì), alle donne piacciono i fiocchi agli uomini no (ma ai dandy sì), alle donne piace il rosa agli uomini no (ma a Formigoni sì) e via discorrendo.
Si capisce che è una cretinata visto che è impossibile nascere con la voglia predeterminata di mettersi le scarpe col tacco e il rossetto eppure viviamo un'intera esistenza dandolo per scontato.
Il principe e la sarta racconta con una dolcezza e una delicatezza impagabili una piccola storia queer che ha tanto da insegnare nella sua apparente semplicità.
Davvero bello. Superconsigliato in questo mese del pride!
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