martedì 17 febbraio 2015

Un'analisi filologica di "50 sfumature di grigio" coraggiosamente letto con risultati inaspettati (no, per inaspettato non intendo che è un bel libro). Tra noia profonda, donne spaccapalle, vergini delle rocce, harmony e principi azzurri i tre motivi per cui ha, secondo me, affascinato le masse.

Come ho detto su fb e scritto anche in uno o due post precedenti, mi sono cimentata nella titanica impresa di leggere il primo libro della trilogia delle 50 sfumature di E. L. James (finora mi ero limitata, per dovere di cronaca a leggere alcuni pezzetti qui e lì). 
Due sono le cose che mi hanno spinto a sottopormi a tale esperimento di lettura:
1) Un articolo di Internazionale in cui si sottolineava che il rapporto tra i due protagonisti fosse malato e non per questioni di preferenze di giochi sessuali, ma perché lui era uno stalker.
2) Comprendere come mai migliaia di donne in tutto il mondo ocheggino al solo nome di Christian Grey e al suono del titolo di questo libro. Come il povero Mereghetti si sciroppa porcherie inenarrabili proiettate al cinema, come Aldo Grasso è costretto a visionare fiction da infarto prodotte dalla tv italiana, anche io volevo antropologicamente gettarmi in prima persona e comprendere il segreto di codesto successo.
 Ce l'ho fatta? In realtà non credo, tuttavia, con mia grande sorpresa, questo libro si è rivelato assai diverso da quello che credevo. Di cui sotto i motivi.

IL RITMO:

A sentire le donne che si danno di gomito mentre parlano ridacchiando in libreria con la sacra trilogia in mano, a leggere i blog delle fan, seconde solo a quelle di Twilight (mi spiace ma le Twilight mom per ora non le batte nessuno per assurdità, forse solo le madri fan di Marco Carta), a spiare i meme della pagina fb delle appassionate del libro, sembra di essere sull'orlo della lettura del libro che cambierà la tua esistenza.
 Ora, io avevo messo in conto che ciò non mi sarebbe accaduto, tuttavia con mio sommo sconcerto ho scoperto che questo libro è principalmente una cosa: palloso.
 E' noiosissimo-issimo-issimo-issimo-issimo-issimo. 
 Potrei scrivere issimo per una pagina.
 Già dopo le prime 70 pagine volevo ammazzarmi. Non è solo scritto in modo discutibile, ma ha un ritmo inesistente che ricorda le onde al mare nei giorni in cui non tira una bava di vento: impercettibili e trascurabili. Quando pensi che stia per arrivare un qualche tipo di climax ecco che questi due fanno sesso e basta. Si scambiano mail e fanno sesso, fanno sesso e si scambiano mail.
 Non sai per cosa stare in ansia: faranno sesso nelle prossime venti pagine? Litigheranno?
 Ah, poi, anche il sesso, non se ne vede per un'intro lunghissssssssssssssssima un corteggiamento lunghissssssssssssimo. Meno male che era un libro trasgressivo,  "Romeo e Giulietta" in confronto erano due fulmini di guerra, tempo tre secondi e già s'erano baciati. Era il 1500.

 I PERSONAGGI:
I personaggi di questa specie di romanzo che si svolge in pare qualche settimana, ma dà l'impressione di accadere in una decina di giorni scarsi, si contano sulle dita di una mano e sono talmente piatti che mia sorella piccola che scrive fanfiction sui One Direction, in confronto, è Jane Austen.

 Analizziamoli pure:

CHRISTIAN GREY:
Costui poteva uscire solo dalla penna di una donna. 
 Ventisette anni, bellissimo, ricchissimo, proprietario di un non precisato "impero delle telecomunicazioni" a cui non bada praticamente mai perché è troppo impegnato a fare sesso o a mandare mail (ricorda un po' la protagonista di The "Lady" di Lory del Santo, boss di una non specificata "agenzia pubblicitaria con sedi in tutto il mondo" che non lavora mai).
  Vittima di un'infanzia che pare scritta da Stephen King in una sera di depressione profonda, viene adottato da due miliardari in vena di adozioni (adottati anche un fratello e una sorella random). A 15 anni scopre i piaceri del sesso con un'amica della madre (vedi le sciure che te combinano?), che lo inizia alle gioie dei rapporti sado/maso, dominatore-sottomesso. 
 (Avviso che è inutile chiedermi specifiche tecniche riguardo codeste pratiche, perché mi sono sentita esentata dall'approfondimento nel momento in cui mr. Grey, davanti alle domande della sua amata tutta da istruire, le risponde: "Vai su wikipedia").
Dalla sciura primigenia la strada diventa tutta in discesa finché non incontra lei, la vergine delle rocce, Anastasia Steele, che lo conquista e di cui si innamora praticamente subito, ma che vuole piegare alle sue abitudini sessuali. Abitudini sessuali che includono il gatto a nove code, ma non il sesso anale che mai verrà praticato in tutta la trilogia, pare.
 Ha un animo da stalker ben in evidenza che lo porta a intercettare i telefoni di donne conosciute da due giorni e di far loro una piazzata per un drink in più senza nessun diritto. La cosa darebbe sui nervi oltremodo se non esistesse lei, Anastasia Steele.

ANASTASIA STEELE:
 Non si capisce se sia bella o brutta. Pare che nonostante non faccia sport e mangi come un uccellino sia una sorta di gnocca stratosferica che guida un vecchio maggiolino, vuole lavorare nell'editoria e nel frattempo si mantiene agli studi lavorando in una ferramenta. Cenerentola spicciame casa.
 Nonostante sia talmente gnocca e trasudi feromoni da ogni poro è arrivata a ventuno anni vergine e con uno o due pomiciate sul groppone (ah, come ha fatto notare qualcuno nei commenti, dimenticavo che costei non si è manco MAI masturbata). Fantascienza is in.
 Quando incontra mr Grey però vuole saltargli immediatamente addosso, cosa che fa e ripete di continuo traendone svariati orgasmi che le danno molto da pensare: chi sono? Dove vado? Perché mi innamoro?
 Codesta ragazza possiede due doti naturali:  nonostante non abbia mai fatto sesso, è una sorta di divinità in materia (epico il pezzo del sesso orale) e soprattutto è un'immane spaccapalle.
In qualsiasi caso concordo con la gnoccaggine di Dakota Johnson
 Se c'è un motivo per cui questo libro rimanda il femminismo indietro di millanta anni non è tanto la relazione tra lei e mr Grey basata sul rapporto "stalker-io ti salverò", ma l'esistenza del personaggio di Anastasia. Noiosa, inutile, senza senso, parla sempre sempre sempre, si crede spiritosa e non lo è, chiede in continuazione a questo tizio che problemi ha, qual è il suo passato, chi sono le sue donne, perché non si fa fare questo e quello, lei ha bisogno di sapere, lei deve capire.
 Ad un certo punto, fossi stato in Grey l'avrei presa, rivestita e spedita in Congo col mio jet privato. Una piaga monumentale. E invece, nonostante questo assillamento da fidanzata onnipresente e onnipretendente, lui la ama, la ama, fa per lei cose mai fatte prima, come presentarla alla madre, dormire con lei, fare il sesso alla vaniglia (pare che fare sesso in modo "normale" si dica così, suppongo su Saturno). 
 Inoltre ciò che ammazza definitivamente il personaggio è la scelta stilistica di farle dire una cosa e fargliene pensare un'altra. Quando parla è pure senziente, ma due righe dopo scopri che aveva prodotto un pensiero da oca che solo il suo super-Io aveva tenuto a freno a fatica. Per non parlare di quando sente "la sua dea interiore", essere metafisico che danza coi veli, si sotterra, si lusinga e fa altre cose, come un tamagochi, ogni volta che lei prova una forte emozione. Di tutte le donne sulla terra, Mr Grey sceglie lei. Poi uno dice che la verginità non è sopravvalutata.

GLI INUTILI PERSONAGGI DI CONTORNO:

I familiari di entrambi: che ci sono, non contano niente, non dicono nulla. Padri assenti, madri sagge, fratelli misti.
Gli amici: Mr Grey non ha amici, ma ha un tirapiedi ex marine che è un incrocio tra Lerch e Mami di "Via col vento",
 Ana è più fornita: ha due bonazzi che le vanno dietro e ai fini della trama servono solo a ingelosire mr Grey,  una migliore amica che se la fa, guarda caso, col fratello di mr Grey e fosse amica mia verrebbe padellata di continuo perché non si fa i cavoli suoi mai.
Fine.

ELEMENTI DI DISTURBO CHE MI HANNO ECCESSIVAMENTE SFRACASSATO LE OVAIE:

1) Non si può scrivere un libro in cui una tizia si morde il labbro ogni tre righe e ogni tre righe lui svalvola al suono di "Miss Steele sai che effetto mi fai quando mordi il labbro". Ad un certo punto ti viene voglia di menarla anche a te Miss Steele.

"Hate mail", autore ignoto
2) 'Ste caxxo di mail. Io non avrei mai potuto stare con mr Grey per un motivo principale che è più grave dell'orientamento sessuale e pure della stanza delle torture e del piacere: le mail.
 Ma due esseri umani con una vita possono umanamente passare ore e ore e ore a mandarsi mail in cui non si dicono una ceppa?? 
 Si stuzzicano, scherzano (male tra l'altro perché entrambi hanno seri problemi con l'ironia e i tre quarti delle volte non capiscono che l'altro scherza), si confessano, si domandano, si chiedono, si vezzeggiano, prendono lo stesso appuntamento per sedici volte, si rassicurano. Abbattetemi. Io non reggo due messaggi su whatsapp ogni tre ore figuratevi una maratona di grafomania. 

3) L'ascensore. Sembra che l'ascensore sia megaerotico. Non so come mai, ma a me inquietano e basta, dalla luce alle dimensioni ridotte. Se non altro ho capito perché venissero citati di continuo nei racconti Sperling privè che avevo fumettato questa estate.

4) La fissa per il cibo di mr. Grey. Ogni volta che 'sto tizio vede Ana che fa onore al suo nome e non mangia quasi mai, la costringe a mangiare. La prima cosa che le chiede è: "Hai mangiato?" e si incavola se non lo fa, se non beve, se non si ingozza come un tacchino. Detta così sembra magari anche che si prenda cura di lei, ma in realtà è una roba disturbante, viene ripetuta di continuo, come un'ossessione e l'ho trovata assai peggiore del fatto che lui si presentasse a casa di lei e sua madre di punto in bianco, materializzandosi durante un post cena madre-figlia alcolico. E' quando non sei manco libera di mangiare quando desideri allora DEVI scappare, non se il fidanzato con calma e tatto ti propone le palline vaginali.

5) Il fatto che tutti pensino immotivatamente che mr Grey sia gay. Quando un personaggio x deve esprimere una sua opinione su 'sto tizio, la prima cosa che dice è: "Pensavo fossi gay", così, en passant. Ma perché??

IL TRAMA:
 Sviscererò bene la trama domani nel fumetto, vi basti sapere che principalmente si stuzzicano male e fanno sesso bene. Parte centrale è la firma di un contratto tra lei, giovane donna appena iniziata alle meraviglie del sesso che sogna solo un principe azzurro e lui, giovane principe azzurro dal passato terribile e con voglie poco usuali. Tale contratto, che nel primo libro rimane solo su carta e mai firmato, prevede una serie di robe sessuali che i due possono o non possono fare siglando un accordo per cui lui è il dominatore e lei la sottomessa. E non stiamo parlando della Miriano, anche se forse, alla luce di ciò, dovremo rivedere il vero significato del suo imperdibile libro.

PERCHE' DUNQUE QUESTO LIBRO HA AVUTO TANTO SUCCESSO?

I motivi sono vari, in primis lo schema è usuratissimo et collaudatissimo.
 La donzella casta e l'uomo di potere malvagio vanno in giro dai tempi di "Pamela" di Richardson, della sempre citata "Tess dei d'Uberville" di Hardy, di "Jane Eyre", di "Justine e le disgrazie della virtù" ecc. ecc.
 Non che voglia paragonare le 50 sfumature a questi libri, ma l'archetipo c'è ed è storicamente molto molto forte nell'immaginario collettivo.
 In secundis, come scritto, questo libro è palesemente scritto da una donna che ha creato un uomo ok, con l'ansia di possesso, ma che si trasforma in realtà in una specie di ghepardo addomesticato, visto che abbaia tanto, ma poi appena la tizia si mette a frignare che vuole dormire con lui, lui prende un aereo e dorme abbracciato a lei. L'idea propria di tante donne di addomesticare un uomo selvaggio, loro uniche domatrici nell'universo, vede qui un trionfo senza ostacoli nè travagli interiori, (quelli li lasciamo ai personaggi non bidimensionali).
 In terzis e qui tocca dirlo, questo libro ha un solo lato positivo: le scene di sesso sono descritte bene. 
 Ora voi direte che il vero erotismo è altro e io vi do ragione. Tuttavia dovete immaginare che la stragrande maggioranza delle donne che legge questo libro (o che ha dato vita a questo delirio) o prima leggeva gli Harmony o non leggeva proprio. 
 Avete mai letto un Harmony? Io sì. 
 Ho una zia molto yè yè, che ne faceva incetta durante le estati in Sardegna. Ogni tanto, nella noia, gliene prendevo uno. Le scene di sesso erano esilaranti: gli uomini erano dotati di enormi verghe, di scettri virili, di spade palpitanti. Può una spada palpitare? Non voglio manco sapere come faccia.
 In confronto a 'ste robe, la James ha descritto delle scene pulite pulite, senza metafore con le spade e senza cose particolarmente ridicole. Per eserciti di donne abituate alle "else scintillanti" è stato, credo, come vedere la Madonna.
 Risultato:
Non mi preoccuperei più di tanto per lo stato psicoemotivo delle masse, manco degli adolescenti. In libreria arrivano libri per under 18 MOLTO peggiori, come quello della ragazzina messa incinta da un tizio che la molla, poi torna dopo cinque anni e tra i due è di nuovo amore. Queste sono le cose di cui preoccuparsi, altro che le 50 sfumature. In confronto alle trame medie dei libri per adolescenti mr Grey è quasi un santo e dico tutto.

 E voi che ne pensate? L'avete letto?A domani per una trama particolareggiata!

mercoledì 11 febbraio 2015

Un confuso post su quell'arcano concetto che è: l'indipendentòs kai agathòs. Indipendente (libreria e casa editrice) è per forza anche buono? Oppure la concezione manichea della vita non è applicabile manco in questo campo? Ditemelo voi.

 Due settimane fa disgraziatamente non lavoravo di domenica.
 Dico disgraziatamente perché, se non fosse che altrimenti non vedrei mai civilmente la mia dolce metà che fa un orario da ufficio di epoca fordista, a me lavorare la domenica (pazzi a parte) piace perché mi libera da quella schiavitù ben raccontata da Venditti in "Buona Domenica".
 Ossia, quell'ansia da inizio settimana mista a svogliatezza che ti assale in un pomeriggio che ti senti in dovere di impegnare in ogni modo. Ma vabbeh, comunque, nel tentativo di impegnare codesto pomeriggio, mi sono trascinata in una camminata infinita per arrivare ad una libreria indipendente tanto decantata e parecchio lontana dalla mia amata abitazione.
 Si narravano leggende maravigliose su codesto posto così ho pensato che ne valesse indubbiamente la pena. Invece, dopo quasi due ore di cammino, entro in questo posto e scopro di essere precipitata in una sorta di iperspazio hipster figheggiante.
 La struttura era carina, il bar delizioso, peccato per il catalogo in vendita sospeso tra il pretenzioso, l'insipido, l'inutile e lo scelto male.
 A prescindere dal gusto personale dei librai che magari poteva non coincidere col mio (magari dal blog do un'altra impressione, ma non credo di essere l'arbiter elegantiae della selezione libraria), il problema era decisamente un altro. Era una libreria palesemente allestita in modo diciamo "politico".
 Erano:
1) Quasi completamente assenti libri di grandi case editrici nella sezione di narrativa.
2) Presenti ampi spazi di case editrici indipendenti che non si capiva se fossero state pescate dal mucchio con un criterio logico o no (alcune erano palesemente cooool tipo la Minimum Fax, ma di altre non si capiva bene).
Se si parla di stalinismo librario non posso non mettere
un significativo manifesto maoista
3) Ok, vuoi tenere le piccole e medie case editrici, seppure con criteri misteriosi, perché tanto quelle grandi le tengono tutti e vuoi differenziarti, però....la scelta  del catalogo era inquietante. Un mix di titoli che non avevano nessun appeal tra vecchiaggine, palese noia e nessun criterio che apparisse logico neanche in questo caso (classici mischiati con romanzi di scarso interesse con chicche letterarie che prese singolarmente comunicavano assai poco, magari in un percorso ragionato sarebbe stato un filino diverso).
 In due ore lì dentro sono riuscita a trovare 3 e dico 3 titoli vagamente interessanti e ci ho messo del serio impegno.
 La saggistica mi è parsa scelta discretamente a caso e il top è stata la parte sulle graphic novel. Aveva uno spazio ampio, non si capiva se per motivi di amore da parte del libraio o perché fosse cooool (era coooool anche la clientela, tutta gggggiovane e benvestita, io boh, mi trascinavo a leggere in libreria in nessun particolare stato estetico quando studiavo), ma riusciva nello straordinario intento di avere poco e niente.
 Escludendo Zerocalcare, che pur pubblicato dalla Bao fa tendenza ed è uno di noi, c'erano case editrici scelte in modo randomico, con particolare attenzione per i collettivi indipendenti. Cosa fichissima e giustissima (molti li avevo visti al BilBolBul), ma perché? Cioè perché quasi solo quelli? Se si cercava di ravvisare un senso logico nella composizione del catalogo era impossibile comprendere cosa passasse per la mente dei librai.
 Idem per la parte dei bambini. Esistono tanti libri bellissimi che erano riusciti accuratamente ad evitare proponendo una scelta estetica molto simile a quella delle graphic novel: i disegni e le storie privilegiate erano quelle un po' underground o con disegni molto particolari o con messaggi non proprio da bambini (per capire cosa intendo per libri da bambini non da bambini leggete "Confesso che ho desiderato" Kite edizioni), discretamente inquietanti.
 Sono uscita da lì con un grande interrogativo: ma ha senso tenere una libreria con un catalogo palesemente "politico"? Cioè ha senso allestire una libreria non secondo un gusto personale, un occhio al commercio (perché ripeto, il commercio dei libri è sempre commercio) e un tentativo di fare una proposta sensata al cliente/lettore?
Se non avete fatto il classico goooglate kalòs kai agathòs!
 Perché se ci fosse stato un gusto personale allora i librai avrebbero dovuto spiegare come fosse razionalmente possibile non amare manco un libro edito da Einaudi o Rizzoli, che va bene la malvagità delle grande case editrici ecc, ma escono tante belle cose anche da lì. 
 Noto che molti bookblogger e molte querelle delle case editrici indipendenti nascono da un assunto che non trovo completamente giusto: "indipendente=buono", un indipendentòs kai agathòs.
 Come se non fosse possibile che le case editrici indipendenti, pur avendo un'eccezionale cura (ormai perduta da quelle grandi) nella grafica, nel formato, talvolta persino nella carta, possano prendere delle cantonate maestose, produrre cose discutibili, tradurre robe che si sarebbe stato meglio lasciare solo in lingua originale.
 Idem, non ha senso, a mio parere, e lo dico da lettrice che compra anche e spesso nelle librerie indipendenti (e che come scritto nel post sulle migliori librerie della mia vita riconosce che una libreria indipendente con un libraio capace e appassionato del suo lavoro in modo serio è un tesoro per la vita), pensare che una libreria indipendente sia per forza migliore di una di catena o per forza migliore in generale. 
 La libreria di quella domenica pomeriggio era francamente orrenda, con un catalogo assurdo. E mi ha ricordato un'altra libreria, sempre gestita in modo "politicamente figo" da proprietari giovani assai maleducati con la clientela e più impegnati a trafficare con gli amici che con i clienti (ovviamente secondari, e ve lo dico in questo caso da una che sta dall'altra parte della barricata) in cui ho cercato di andare qualche volta prima di rinunciare, presa dall'irritazione totale.
 Cosa voglio dire con questo post?
1) Una libreria progettata per essere pheeeeega per me non ha nessun senso. Non lo ha perché attuare una politica del genere alla cultura è controproducente sia per il commercio e secondo me offensivo per il lettore che non ha bisogno di essere guidato come un bambino verso "il bene".
2) Molti lettori che danno addosso alle catene e dicono di sostenere le indipendenti poi comprano la qualunque su Amazon.
 Dal mio punto di vista è inutile dire che il panorama culturale si appiattisce, i centri storici stanno diventando tutti uguali, ormai in centro c'è solo Prada e una volta qui era tutta campagna, se poi non si usa il proprio potere (di clienti e quindi di soldo) per fare qualcosa.
 Cioè se frignate per la libreria tanto graziosa del centro che chiude e poi sventagliate il buono regalo di Amazon allora sò lacrime di coccodrillo.
3) Come avevo scritto in un post tempo fa, abbandoniamo l'equazione orwelliana: libraio indipendente buono-libraio di catena cattivo. Anche io vorrei da morire una libreria mia, piccolo particolare: non c'ho i soldi. Non c'ho manco una casa da impegnare, non ho nessuna garanzia, non ho niente. Ma amo i libri. Che devo fà? L'unico modo è lavorare per altri. E' capitata, per ragioni numeriche di assunzione ovviamente, che fosse una catena e non un indipendente, sono meno brava o attendibile per questo? E il mio "padrone" se indipendente è per forza più bravo o migliore di me?
4) Leggere indipendente è cosa buona e giusta e caldeggiabile. E' giusto dare spazio e pubblicità alle realtà che non possono permettersi visibilità, però io lo confesso non ho MAI scelto un libro per la casa editrice. Io scelgo quello che mi piace. Quello che consiglio in questo blog è frutto di ciò che vedo a lavoro, del mio interesse, dei miei giri in altre librerie ecc. ecc. Prima viene il contenuto poi il resto. Questo perchè per me indipendentòs kai agathòs non esiste. Esiste il gusto personale.

Spero si sia capito il senso di questo confuso post.
Non si offenda nessuno, ma parliamone, secondo me è un argomento fondamentale. Talvolta sembra ci siano dei tabù: i libri si vendono per fare (anche) soldi, l'editoria serve (anche) a fare soldi (per questo ad esempio trovo assurde le incitazioni a non vendere i libri di Fabio Volo o della Newton in nome della cultura, saranno discutibili, ma vendono e pagano affitto e stipendi). Montroni aveva scritto un libro con un titolo esemplificativo: "Vendere l'anima". E' quel che si fa e non è vergogna, per nessuno.

 Voi che ne pensate? Sempre che riusciate a capire cosa volevo dire -.-

martedì 10 febbraio 2015

"E la chiamano estate" anche quell'estate in cui l'infanzia corre via e l'età adulta si presenta con uno strano benvenuto. La graphic novel delle cugine Tamaki e la loro magica capacità di ricreare quel momento da cui non si torna indietro.

 Il regista Virzì ha un fratello che ambisce a fare il suo stesso lavoro e che un po' di anni fa sfornò un film innocuo che però mi rimase assai impresso, era "L'estate del mio primo bacio".
 Il titolo che promette zuccherosità post Non è la rai, con Ambra in cerca di un principe azzurro o un altro di quei filmacci anni '80, inizio anni '90 con gente sfigata che sposava riccastri conosciuti in vacanza in nome di questo piccolo grande amore, in realtà racconta più che un primo bacio, un'estate. 
E non un'estate qualsiasi, ma quelle estati forse ormai perdute, in cui madri che non lavoravano (oh non fraintendete non sto dicendo che era una cosa buona eh!) o nonni in pensione trasportavano vagonate di nipoti in luoghi periferici, generalmente su un mare, un lago o in montagna, ove si possedeva una casa che era tendenzialmente un buco e che si ritrovava in uno stato di mummificazione inquietante dopo un anno esatto di assenza e chiusura.
 Questi luoghi periferici, generalmente disabitati o quasi, prendevano vita come cittadelle fantastiche e assumevano il curioso status di vita alternativa, con amici diversi, amori diversi, parenti diversi e abitudini diverse. La seconda particolarità dei bei tempi che furono era l'assoluta incomunicabilità con la vita precedente: no internet e talvolta no telefono, impedivano anche le più normali conversazioni con i legami primari della nostra vita precedente.
 Avendo un nonno sardo, io, ingrata, sono stata trasportata per anni, tra mille ingratissime proteste, per tre mesi sani in terra oltretirreno, in un paese bellissimo sul mare, che in inverno contava 200 abitanti, quando ero piccola in estate ne contava 2000 e ora credo si aggirerà intorno al decuplo. 
Lì, passavo questi tre mesi in uno stato di pena continua.
 Avevo sì amici trascinati da altre parti d'Italia in quei luoghi dimenticati da Dio (Sardegna selvaggia rules!) perciò non ero esattamente come Robinson Crusoe costretta a parlare solo con mia sorella piccola, in qualità di Venerdì, ma mancavano i fondamentali mezzi di civilizzazione.
 Innanzitutto non avevo tv (indimenticabile il tentativo di mio padre di vedere le corse di Formula 1 tramite una specie di tv palmare di epoca premoderna) e per conoscere quello che avveniva oltremare dovevo usare con parsimonia scarse schede telefoniche alla cabina del paese che aveva sempre una fila assurda o (follia) scrivere lettere, che per la metà venivano perdute dal servizio postale italiano.
 Quando tornavo, tre mesi dopo, abbronzata e in megasalute, mi ritrovavo con tutti i miei amici che nel frattempo avevano fatto cose a mio dire ben più favolose delle mie: altro che mare cristallino, spiaggia bianca e amici di tutta Italia! La vita si era svolta altrove! Tutti si erano puntualmente fidanzati tra di loro e avevano anche avuto il tempo di lasciarsi (fidanzamenti delle scuole medie s'intende), si erano formati gruppi rivali di amicizie insospettabili e nessuno sembrava disposto a riassorbirmi in quanto elemento che non aveva vissuto nessuno psicodramma collettivo estivo. Le mie migliori amiche si erano fatte altre migliori amiche e io venivo gettata in una tale confusione che per tanti anni ho pensato di essere arrivata a vent'anni senza nessun coinvolgimento emotivo/sentimentale perché ci si innamora d'estate e io d'estate ero lontana dalla vita vera, relegata su una spiaggia sarda (sì lo so, è evidente un'enorme gigantesca falla nel ragionamento.
 Come ovvio, svariati anni dopo, con ferie estive di al massimo due settimane, non solo maledico quell'adolescente rincoglionita che avrebbe potuto lamentarsi ben di meno, ma ho una grande nostalgia per quella irripetibile possibilità di precipitare per tre mesi in un altro mondo, come se in un anno fosse possibile vivere due vite.
Questo lunghiiiiiissimo preambolo di ricordi non richiesti, è per spiegare quanto sia eccezionale una delle graphic novel che ha fatto più parlare di sé l'anno scorso: "E la chiamano estate" delle cugine canadesi Jillian e Mariko Tamaki ed. Bao Publishing. L'avevo già consigliata quale regalo di Natale, ma merita indubbiamente un approfondimento.
 I libri che vedono un legame fortissimo tra la fine dell'infanzia e l'inizio della vita adulta con un'estate fondamentale, sono innumerevoli. A questa stagione viene conferito un potere liberatorio che rientra quasi nel campo della magia e probabilmente un motivo c'è: l'estate è l'unica stagione dell'anno in cui la vita quotidiana subisce un mutamento. E' difficile cogliere i cambiamenti quando l'orizzonte è sempre piattamente uguale, gli amici gli stessi, il tran tran identico. Ma quando ti tolgono la scuola, quando la migliore amica parte per il mare, quando si viene spediti in un campo scuola, immediatamente la vita muta radicalmente. Ci si sconvolge quasi che possa essere la stessa vita che vivevamo fino al giorno prima della gavettonata dell'ultimo giorno di scuola.
 "E la chiamano estate" è uno dei tanti libri su questo mitico passaggio, ma è forse uno dei pochissimi in grado di ricreare quell'atmosfera di sospensione carica di elettricità di quella tragica estate in cui "tutto cambia". Due amiche, Rose e Windy  si incontrano tutti gli anni ad Awago, piccolo paese a metà tra il mare e la boschività canadese, abitato da quella vasta umanità un po' sconcertante che si può ravvisare talvolta nella profondissima provincia.
  Anche quell'ennesima estate sembra identica a tutte le precedenti, eppure c'è qualcosa che mina i loro pomeriggi a mangiare, gironzolare e fare lunghi bagni. Ben due misteri aleggiano sulla loro serenità: perché i genitori di Rose litigano tanto e sua madre è sempre tanto triste? E cosa accade tra i ragazzetti del paese, tutti più grandi e con un giro sentimentale così complesso da sembrare inestricabile?
 Il ritmo, volutamente lento, permette alle autrici di ricreare quella noia sonnolenta delle estati preadolescenti che sembrano lunghe il quadruplo di quando si è adulti.
  Le cose che sono sempre bastate iniziano a stare strette e si inizia a desiderare la libertà negata dai genitori. 
 Si vuole uscire con i ragazzi più grandi che sembrano tanto affascinanti (e spesso sono solo più confusi dei preadolescenti), si vogliono vedere i film proibiti di cui tutti parlano  , si vuole iniziare ad essere visti come persone a cui non tutti i segreti vengono nascosti in nome di una protezione verso le brutture del mondo che inizia a vacillare.
 Le cugine Tamaki sono riuscite a intrappolare in un libro quella sensazione indefinita di attesa continua di quelle estati in cui  le cose che prima sembravano fondersi indistintamente con l'orizzonte ci appaiono per la prima volta in tutto il loro splendore, ma anche il loro orrore.
  La  delusione, quasi immediata, è la  cesura definitiva con l'infanzia, come la mela di biblica memoria: una volta che hai conosciuto, che hai saputo cosa c'era dietro il velo, il paradiso perfetto, inattaccabile, è ormai svanito per sempre.
E' la coscienza che si sveglia. E' il mondo che diventa vero, i particolari che finalmente assumono un significato e i misteri si svelano rivelando una realtà di adulti che non è splendente come si immaginava.
 "E la chiamano estate" anche quell'estate da cui non si torna indietro.
 Straconsigliato a tutti coloro che hanno vissuto un'estate particolare o venivano trascinati in questi luoghi indefiniti che non esistono più, raggiunti ormai da qualsiasi banda larga e a tutti coloro che amano le belle davvero belle graphic novel.
 Faccio un azzardo, ma secondo me, rimarrà un classico.

 Su Fumettologica potete trovare un'anteprima delle prime pagine, così potete dare un'occhiata anche agli straordinari disegni.

 E qualcuno l'ha già letta? Cosa ne pensa?

domenica 8 febbraio 2015

Cose realmente avvenute! Lo giuro! "Figli".

Ed ecco la seconda vignetta del fine settimana! 
Molti clienti ripongono tante speranze nei libri che comprano: riusciranno a far innamorare la donna dei loro sogni? Riusciranno a far incavolare l'amica femminista? Riusciranno a uscire con una donna chiarendo che non la vogliono sposare?
Lo stesso Orwell, nelle sue memorie da libraio, citava questi clienti che si potrebbero definire i "ditelo con un libro".
 Di cui sotto una signora che riponeva davvero parecchie speranza nei tomi di psicologia di cui aveva fatto incetta. Forza signora siamo tutti con lei!
Cose realmente avvenute! Lo giuro! "Figli"!


venerdì 6 febbraio 2015

4 regole semplici semplici (eppure inapplicate nel 90% dei casi) per una presentazione libresca di sicuro successo: passione, musica, buon gusto, pochi amici e un po' di verve che non state a messa!

 Ieri, mentre scrivevo il preambolo al fumetto sulle mie disavventure alla presentazione di un libro lunedì scorso, mi stavo un po' dilungando su cosa a mio modesto parere, si dovrebbe fare e non fare quando si porta in tour un amico libro.
Attensciòn!
 Non sono consigli del tipo: proponetevi così e cosà al libraio, ma consigli più su come rendere gradevole e appassionante una presentazione degna di questo nome.
 Non dico che sia facile e non mi permetto nemmeno di insinuare che i miei consigli siano dogmi assoluti (alla papità bookblogghesca non sono ancora giunta), tuttavia da fruitrice di molte presentazioni a cui ho assistito spesso per obbligo lavorativo (leggi: mi trovavo a lavoro durante l'evento), mi permetto di dare qualche consiglio.
 Non fosse altro che magari riesco ad evitare a qualcuno quelle presentazioni più noiose della messa di Pasqua a mezzanotte.
 Insomma, se vi interessa qui di cui sotto ci sono i miei 4 ingredienti per una presentazione di sicuro successo! Pronti a far faville?

L'AUTORE:
 Voi direte, che consiglio è?
L'autore è il punto focale di ogni buona presentazione che si rispetti: ci siamo trascinati fin lì per vederlo e ci aspettiamo qualcosa che ovviamente non può essere uno spettacolo, ma un minimo deve destare la nostra attenzione.
 C'è un solo problema: l'autore, bene che va, sa scrivere, non è certo detto che sappia anche intrattenere o rendersi simpatico al pubblico. 
 Un po' c'ha ragione: il suo compito è scrivere cristianamente e con competenza (se si tratta di saggistica in particolare), non istrioneggiare, tuttavia, sempre ricordandosi che il magggico mondo dell'editoria ha comunque a che spartire col commercio, tra i suoi compiti c'è anche, aiutare a vendere il suo libro. Può piacere o non piacere, ma nella vita soprattutto lavorativa, si fanno tante cose a noi odiose, gli scrittori (a meno che non si stia parlando di qualche divinità letteraria), non fanno eccezione. Perciò caro autore mio il tuo compito è:
1) Essere presente a te stesso e mostrarti interessato. Non esiste che sei scocciato o con la faccia del "cosa mi tocca fare".
2) Essere vagamente partecipativo. Non sei l'anima della festa? Va benissimo, ma sforzati di dirci perché hai scritto il libro e perché tra mille milioni dovremo comprarlo. Ho capito che te l'hanno pubblicato e hanno creduto in te, ma non basta. Devi convincermi che ci può essere qualcosa per cui valga la pena metterti in coda tra le mie letture al posto degli altri millanta libri che teoricamente avrebbero la precedenza.
3) Fai il santo piacere di non dire che sei lì perché ti hanno obbligato e te ne staresti volentieri dietro la tua santa scrivania. Non ti hanno mandato a spalare carbone in miniera.

I CO-PRESENTATORI:
  Pare 'na stupidaggine, ma come ha dimostrato il fumetto di ieri, i co-presentatori sono FONDAMENTALI. Magari hai l'autore meglio predisposto del mondo, ma le persone che lo accompagnano riescono a rovinare tutto. L'one man show non se lo permette manco Umberto Eco, quindi almeno una (secondo me meglio due) controparti, dovrebbero essere presenti a fare domande e magari a fare considerazioni intelligenti su un libro che si spera abbiano letto.
Invece spesso i co-presentatori: 
A) Non hanno letto il libro.
B) Si dimenticano di non essere loro i protagonisti della serata e sproloquiano a tutto andare su cose che non c'entrano niente e/o lasciano poco spazio all'autore, l'unica persona di cui ci dovrebbe teoricamente fregar qualcosa.
 C) In realtà, seppur pieni di buona volontà, sono stati scelti senza un criterio logico e finiscono per fare la figura di Raffaella Carrà che cerca di fare la simpatica in un programma che è una copia di X factor: sì, ok tanta buona volontà, sei bravo, ma perchè stai qui?
 Diverse le cause che portano una pessima scelta dei copresentatori, prime tra tutte: portare un amico e non una persona vagamente esperta in nome del "lui mi conosce meglio di chiunque altro" o invitare randomicamente l'unica persona con qualche appeal mediatico che potrebbe accendere un interesse tra le masse. Per persona con mediatico appeal parlo di chiunque, dall'attore al sindaco, al direttore della sagra paesana dove ci si appresta a diffondere il verbo libresco.
  Io punterei più che altro su qualcuno che sappia quello che fa e possa sopperire alle mancanze dell'autore: es. se lo scrittore diventa un peperone ogni volta che apre bocca, che il copresentatore lo metta a suo agio e riesca a parlare in sua vece in caso di crisi di panico.

INTRATTENIMENTO:
 Ovviamente se siete Franzen non avete bisogno di fare qualcosa di complementare alla vostra presentazione, tuttavia, soprattutto se siete esordienti, secondo me prevedere, nei limiti del possibile (se il posto dove presentate è d'accordo e attrezzato ecc.), una parte che vada oltre lo schema: blablabla-autore-blablabla-dibattito/domande (oh per favore fatela 'sta parte che l'autore che si nega è out da quel dì).
 Per qualcosa di complementare non intendo danzatrici del ventre o clown che fanno palloncini per i bimbi, ma un qualcosa che possa essere inerente.
  Se state presentando un libro di astronomia, magari prevedete due slide interattive, se è un romanzo coinvolgete un attore capace che legga il pezzo in un modo un po' più passionale (pure qui, autori scegliete bene i pezzi da leggere, che facciano capire qualcosa del romanzo!!), se si tratta di racconti romantici portatevi un chitarrista che faccia il sottofondo musicale senza che incappiate nei drammi della Siae. Sono cose che sembrano piccole e invece colpiscono l'immaginario e se fatte bene non solo incuriosiscono, ma danno anche l'idea che l'evento sia stato particolarmente pensato e curato.
 Unico vero problema: il buon gusto. In questo caso si svelerà la vaga idea estetica dell'autore o dell'editore e si rischia con facilità di cadere nel trash. Perciò misura e lasciate il corpo di ballo piumato a casa, non serve dispiegare tutta la vostra potenza, serve dispiegare quel minimo di potenza che aiuti a far risaltare il libro.

LA PASSIONE:
 Pare 'na caxxata e invece alla maggior parte delle presentazioni a cui sono andata io, sembrava di essere a messa in attesa dell'amen. 
 Quello che più manca ad una presentazione è spesso la passione. Scrivere, se lo si fa sul serio, è un atto molto passionale, in tutti i sensi: passionale perché nel libro si riversano tutte le proprie aspettative, il proprio amore, i ricordi, una visione del mondo, una storia che si ha, per qualche motivo, l'ansia di raccontare (se si tratta di saggistica di un argomento che è al centro dei nostri pensieri per mesi o anni), e passionale in "passione di Cristo" style.
 A quante presentazioni avete sentito scorrere effettivamente amore lacrime e sangue? Io gran poche.
Quando qualcuno vi dice che scrivere è un'attività tanto carina e sollevante sappiate che o mente o non scrive sul serio: scrivere come diceva il buon Capote è una frusta, che ti viene consegnata da dio unicamente per l'autoflagellazione.
 Quest'autunno ho assistito (a lavoro) a quella di Recalcati per il suo libro "L'ora di lezione", dedicato alla passione che serve nell'insegnamento per crescere buoni figlioli e cittadini. Ora, mai avuta la minima fascinazione per Recalcati, la didattica e la pedagogia (inoltre lo avevo già sentito altre volte e avevo pseudodormito), ma in quell'occasione, vuoi che fosse particolarmente ispirato, vuoi che l'argomento lo toccasse molto da vicino, fece una perorazione davvero fantastica. Mescolò ricordi di infanzia milanese, alla politica, ad una maestra straordinaria, a rimembranze generazionali e a molto altro. Non sembrava neanche lui. Alla fine sentivi di voler leggere il libro per sapere se fosse in grado di colpirti allo stesso modo.
 E' questo quello a cui serve una presentazione: ispirare alla lettura.

E voi siete d'accordo? Mettereste altre regole? Pensate che le mie siano farlocche? Testimoniate!

mercoledì 4 febbraio 2015

Libri per bambini che forse hanno più da insegnare agli adulti. Seconda infornata di titoli bambineschi, stavolta non per piangere, ma per imparare cose che avremmo dovuto conoscere tanto tempo fa o che forse conoscevamo, ma diventando vecchi barbogi, abbiamo dimenticato.

Come mi sento oggi
Con estrema fatica, che questi giorni mi sento lanciata in un frullatore e poi shakerata come un mojito nella vita, eccovi il post del giorno, la seconda parte dei miei personali consigli dei libri illustrati per bambini.
 Forza, che si inizi, genitori e non, che tutti i libri di seguito possono insegnare molto di più agli adulti che non ai bambini, misteriosamente e forse neanche tanto.


TUTTI I LIBRI DI SATOE TONE Kite edizioni:
 Satoe Tone è una giovane illustratrice giapponese che ha fatto fortuna, ebbene sì, in Italia.
 Partita da Tokyo, dopo aver tristemente fallito le sue aspettative di gloria in Inghilterra, alla volta di Bologna (da cui era affascinata dopo aver visto i lavori alla fiera del libro per ragazzi), si fa notare da una casa editrice italiana, la Kite edizioni, che inizia a pubblicarla.
   Il suo primo lavoro è il soffice e struggente "Questo posso farlo". Soffice perché i disegni tondeggianti eppure eterei, i pastelli così morbidi da costruire batuffoli di cotone, danno la sensazione tangibile di poter stringere il protagonista della storia, un bianco uccellino che non sa fare niente. Non riesce a nuotare, a cantare e neanche a volare. Si sente inutile. Poi scopre che c'è una cosa che sa fare benissimo: diventare un albero. Così pian piano si ricopre di rami, foglie e fiori meravigliosi, e le sue piume scompaiono, inghiottite dalla corteccia e dagli arbusti. Dov'è finito quel tenero uccello? E' morto? O si è solo trasformato in qualcosa che non pensava sarebbe mai stato possibile?
 Di questa illustratrice favolosa consiglio tutti i suoi libri, tra i quali "La terra vista da qui", favola ecologica di raro incanto, su 84 pinguini alla perigliosa ricerca di un posto pulito dove rifugiarsi e trovare pace. Ovunque essi vadano esiste solo inquinamento e sporcizia e puzza, possibile che l'unico rimedio sia ritirarsi sulla luna? Il finale sembra tanto scontato eppure, se leggerete il libro, scoprirete con estremo stupore, come, tristemente non lo sia.

"UN VIAGGIO" di AARON BECKER ed. Feltrinelli :
Chi ha visto quel meraviglioso film che è "Il labirinto del fauno", horror sui generis, perché le brutture  che si affollano favolose sulla testa e purtroppo sul destino dei bambini appartengono più alla realtà che alla fantasia, riconoscerà il gessetto che la protagonista d questo silent book, usa per sopravvivere al suo mondo grigio.
 Questa bimba ignorata dai genitori troppo occupati, in una città senza colori troppo frettolosa, scopre per caso di poter aprire varchi disegnandoli semplicemente sulle superfici grazie al suo gesso rosso. Volerà raggiungendo veicoli volanti assurdi e cercherà di salvare un bellissimo uccello preso in gabbia. Anche lui risplende nel suo pervinca, su uno sfondo piatto e stanco: a chi appartiene? Chi l'ha rapito?
 I libri per ragazzi che fondono la fantasia e la realtà in un unico mondo, rimangono inarrivabili, come "La storia infinita" e "Un ponte su Terabithia", perché quando si è ormai troppo adulti fa sempre bene ricordare che c'è stato un tempo in cui credevamo davvero che tutto fosse possibile e tutto potesse esistere.

"LA VALLE DEI MULINI" di VALERIA DOCAMPO E NOELIA BLANCO Terre di Mezzo editore:

Nella valle dei mulini le persone vivono la loro vita tranquilla, il vento soffia e smuove i mulini nei campi, leggeri. Un giorno però vengono inventate le macchine perfette e non c'è più bisogno di far nulla
 Gli esseri umani potranno smettere di lavorare, leggere, disegnare e sognare, avranno solo momenti perfetti costruiti per loro dalle loro macchine perfette: perché impegnarsi tanto quando qualcuno fa cose al posto tuo e anche meglio di te? 
 La vita così inizia a scorrere talmente monotona che persino il vento non sente più il bisogno di soffiare e tutto si ferma, in una perfezione devastante. Però, in una piccola bottega, una sarta che lavora per una macchina perfetta in grado di confezionare abiti senza sbavature, sogna di poter cucire vestiti meravigliosi, inventati da lei, e la notte disegna e rimane sveglia a pensare. E' una di quelle notti che conosce un'altra persona con un sogno, l'unica rimasta a sperare oltre lei: un uomo che vorrebbe spiccare il volo, come un uccello. Dall'incontro nasce una magia dimenticata nella valle dei mulini: la passione per qualcosa, rubata dalla perfezione delle macchine. Così, la piccola sarta decide in gran segreto di cucire un abito che consenta all'uomo di volare, ma dove trovare la stoffa adatta?
 Una fiaba moderna dai disegni splendidi, sull'invasività della tecnologia: siamo così impegnati a vivere qualcosa di perfetto, che ci dimentichiamo di vivere tutto il resto, il meglio.

"IO E LEI" di MARINELLA BARIGAZZI e PETER H. REYNOLDS ed. Stampatello:
 Ogni tanto parlo dello Stampatello, casa editrice nata dal desiderio di una coppia lesbica con figli, di produrre anche nel nostro retrogrado paese dei libri per le cosiddette famiglie arcobaleno, ossia le famiglie con genitori dello stesso sesso. Non è ancora molto conosciuta, ma forse i più avranno sentito il loro titolo più celebre "Piccolo uovo", disegnato da Altan e fortissimamente osteggiato dai teocon e dai leghisti che hanno anche cercato di osteggiarne la presenza nelle scuole. 
 "Io e lei", nello specifico, non ha nulla a che vedere con le tematiche omosessuali o di genere, parla invece di quel meraviglioso tipo di amicizia che sempre rimane al cuore di tutti: l'affetto profondo che ci lega agli amici di infanzia.
  Non c'è niente da fare, si possono conoscere persone meravigliose, fare amicizie feconde e proficue nel corso di tutta la vita, ma gli amici d'infanzia avranno per sempre un ruolo particolare, un affetto di diversità insondabile. Se gli amici da adulti si scelgono per tanti motivi, tendenzialmente l'affinità profonda, quelli d'infanzia spesso sono persone che, se avessimo conosciuto a vent'anni, non sarebbero diventati altro che vaghi conoscenti. Poche cose finiscono per legarci davvero a loro (non puoi fare la conta delle cose che hai in comune quando hai 2 anni), ma tra queste ce n'è una fondamentale: il ricordo di quando ancora non si era le persone che siamo, un periodo che per nessun motivo e in nessun modo potrà mai essere ripetuto. In questo libro piccolo piccolo, due bambine abitano vicino e sono inseparabili, fanno tutto insieme anche se una delle due sembra molto più fortunata: è ricca, ha genitori che fanno cose meravigliose, gira il mondo ed è piena di giochi bellissimi. Eppure le cose non stanno come sembrano, perché ci sono cose che nessuna ricchezza può comprare.
 Da regalare a tutte le bambine con un'amica del cuore e a tutte le donne adulte che hanno un'amica d'infanzia che è rimasta nella vita come una sorella.

 E voi ne avete letto qualcuno? Vi incuriosisce qualcosa?

domenica 1 febbraio 2015

Cose realmente avvenute! Lo giuro!"Boom".

In questo fine settimana poco vignettoso (ma recupererò quanto prima), ecco una vignetta molto classica: lo storpiamento del cognome del povero malcapitato autore.
Cose realmente avvenute! Lo giuro! "Boom"!


Ovviamente stiamo parlando di lui, lo storico Arrigo Petacco. 


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