venerdì 11 ottobre 2013

Ogni occasione ha il suo libro. Un piccolo luminoso saggio per chi viaggia sui mezzi ma per poco tempo. Zadie Smith, "Perché scrivere".

Qualche tempo fa, consigliai due libretti piccoli e comodi da portare in giro. E' vero che una delle obiezioni più grandi che si fa alla carta stampata e favore dell'e-reader è: in questo modo si porta meno peso. Ma è anche vero che a meno che stiate prendendo un Frecciarossa Torino-Napoli o non stiate tentando di arrivare da Ponte Milvio alla Tuscolana, difficilmente avrete il tempo di leggere consequenzialmente Anna Karenina. Sempre più spesso mi capita di leggere i libri in modo spizzicoso, cioè un pezzetto fastidioso alla volta, col risultato che finché non arrivo alla parte centrale, la trama mi rimane abbastanza nebulosa (dimentico i fatti o non riesco a collegarli bene), e in ogni caso l'inizio rimane sempre avvolto da una fastidiosa incertezza. Accade perché finisce che leggo dieci pagine in treno la mattina, venti in pausa pranzo e tre la sera, aggiungendo il fatto che tendo a leggere 5 o 6 libri in contemporanea, il caos è servito.
Zadie Smith in una foto con un senso:
lo scrittore legge un libro.
 Come risolvere la perigliosa questione? Se Ranganathan diceva che ogni lettore ha il suo libro, allora deve esistere un libro adatto per ogni occasione. Così ho risolto scegliendo alcuni libri piccoli, brevi e leggeri, ma non per questo meno interessanti, che entrano senza drammi nella borsa.
Oggi vi propongo uno dei più belli che mi è capitato tra le mani: "Perché scrivere" di Zadie Smith ed. Minimum Fax 5,90 euros 75 pagine.
Zadie Smith è questa ancor abbastanza giovine scrittrice inglese (di origine anche giamaicana) che fece il botto anni fa ormai, col romanzo "Denti bianchi". Una storia di integrazione e sincretismo culturale in una Londra anni '80, in cui due famiglie, una perfettamente inglese e una di origine bengalese e musulmana, convivono in un'amicizia che attraversa i padri e i confusissimi figli. Ok, descritta così pare la trama di un libro pieno di spezie, cibo e amore, targata Garzanti. Invece dovete aspettarvi (per chi non l'ha letto) una lezione avanzata di ciò che succede alle prime e alle seconde generazioni di migranti che d'un tratto non sono più migranti, ma locali, eppur non sono locali, ma qualcos'altro ancora. Una lezione, che, in questi tristi tempi di affondamento barconi e clandestinità potrebbe insegnarci qualcosa.

 Ma appunto non è questo il libro che consigliavo, ma "Perché scrivere", due piccoli saggi, uno sul ruolo dello scrittore nel nostro tempo, uno sul fallimento che ogni opera, anche di successo, porta allo scrittore. ,  Perché, nella nostra epoca, qualcuno sente ancora la necessità di mettersi a sedere e scrivere il libro che (lui o lei pensa) cambierà la storia? Come fa a non sentirsi ridicolo in questo mondo privo di senso?
Per rispondere si aggrappa ad una lunga schiera di grandi scrittori che prima di lei si sono posti in ogni epoca, angosciati, questo dubbio, sentendosi assediati sempre e comunque dalle nuove tecnologie, da nuovi modi di pensare, da altre generazioni. Per la serie: nulla di nuovo sotto il sole. E cita un George Orwell che non conoscevo, il quale individua ben quattro motivi per scrivere, di cui il migliore, quello che la stessa Smith dice che andrebbe stampato sulle magliette (che io peraltro comprerei) è Puro Egoismo:
 "La grande massa degli esseri umani non è formata da persone intensamente egoiste. Dall'età di trent'anni in poi, o giù di lì, abbandonano quasi del tutto la sensazione di essere individui: e vivono soprattutto per gli altri, o semplicemente schiacciati sotto il peso di un lavoro abbrutente. Ma c'è anche una minoranza di persone armate di talento e forza di volontà che si ostinano a vivere la propria vita fino alla fine, e gli scrittori appartegono a questa categoria. Gli scrittori seri, vorrei aggiungere, sono in genere più vanitosi ed egocentrici dei giornalisti, benché meno interessati ai soldi."
Gli altri tre motivi sono "L'entusiasmo estetico", "L'impulso storico" e lo "Scopo politico". Tutti, assicuro, ugualmente condivisibili.
 E la Smith, ancora si domanda, che senso ha essere Scrittori in un mondo con internet?
"Su internet è probabile che il tuo nome si sganci da quella pagina e diventi semplicemente un "contenuto" che gira per il mondo, è accessibile a chiunque e forse verrà considerato scritto da nessuno. Ma allora come verranno pagati gli scrittori? Non ne ho idea. Forse ogni cittadino pagherà una tassa per la cultura. Forse gli scrittori torneranno a cercare la protezione dei mecenati."
Una roba insomma che pare cataclismatica, eppure con gli esempi e soprattutto i lamenti degli scrittori famosi e ormai stramorti da lei citati, diventa improvvisamente una cosa accettabile, solo l'ennesimo capitolo di quel libro sulla storia dei libri che certo non finirà ora perché ci destreggiamo con gli e-reader. Tuttavia non porsi domande rimane secondo me da sciocchi. Ogni cambiamento porta con se una rivoluzione, il progresso non è mai pacifico. 
 Il secondo saggio è interessante per chi scrive o aspirerebbe a farlo, ma anche per chi legge. La frottola del libro nato per ispirazione infusa dal dio non regge più da anni, ma anche la faccenda del lavoro duro inizia a mostrare le sue crepe. La Smith pone come archetipo il fallimento. Il libro è sempre un fallimento, perché, per quanto successo abbia, tradirà sempre le aspettative dello scrittore. Non basta essere bravi, non basta impegnarsi né avere talento. Tra lo scrittore e il suo libro si frapporrà sempre un fantasma: colui che lo scrittore è. Una sorta di terzo incomodo che non può consentire alle parole ai pensieri di modellarsi in modo assoluto, potendovi solo aspirare. E' per questo che esistono pochissimi scrittori eccelsi, anche perché, citando Rezzori da lei citato:
"Nel profondo del cuore, chiunque abbia dedicato la sua vita alla scrittura sa che, come in ogni altra arte, bisogna essere eccellenti. E se non si è eccellenti, si è mediocri. E quando si scopre di essere irrimediabilmente mediocri, si prova un dolore che spezza il cuore."
Indicativamente, perciò, se non vi si spezza, raramente sarete dei veri buoni (anche se non eccellenti) scrittori.  

3 commenti:

  1. "Nel profondo del cuore, chiunque abbia dedicato la sua vita alla scrittura sa che, come in ogni altra arte, bisogna essere eccellenti. E se non si è eccellenti, si è mediocri. E quando si scopre di essere irrimediabilmente mediocri, si prova un dolore che spezza il cuore."

    E' una frase verissima, ma vorrei alzare un ditino per far sapere a tutti che almeno una eccezione esiste: suono in un gruppo rock PROPRIO PERCHE' non è richiesta l'eccellenza, è sufficiente essere "bravi". Certo, poi servono abbondantissime dosi di "impulso stoico" per mandare avanti la baracca (provateci voi a mettere d'accordo 4-5 teste ogni volta). Ma, dopo tutto, ringrazio il destino che mi ha messo un basso in mano, anzichè una penna e un foglio bianco :D

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    1. Grazie per l'intervento! E' inconsueto e proprio per questo graditissimo! Gli scrittori, secondo me, son sempre molto troppo severi con loro stessi, anche quelli che potrebbero tranquillamente risparmiarselo. Perfino Susan Sontag diceva di non trovarsi particolarmente intelligente... O.o
      Lunga vita al tuo basso! :D

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    2. Più che al mio basso, l'augurio di lunga vita va fatto all'impulso stoico di cui sopra! :D

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